"Immagini come sarebbe il mondo, se tutti vivessimo veramente il comandamento dell'amore?". Stavamo conversando a partire da questo interrogativo, durante l'intervallo, nel cortile della nostra scuola. Avevamo appena undici o dodici anni, ed era una domanda piena di idealismo e di ingenuità ‚Äì ma allo stesso tempo profonda.
del 20 febbraio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          'Immagini come sarebbe il mondo, se tutti vivessimo veramente il comandamento dell’amore?'. Stavamo conversando a partire da questo interrogativo, durante l’intervallo, nel cortile della nostra scuola. Avevamo appena undici o dodici anni, ed era una domanda piena di idealismo e di ingenuità – ma allo stesso tempo profonda. Così profonda che, dopo vent’anni, me ne ricordo ancora come se fosse accaduto ieri. Conversammo a lungo dei progetti per un mondo migliore: eravamo dei bambini, e comprendevamo ancora poco o niente del mondo reale. Un’infanzia felice          Ho avuto la grazia di crescere in una famiglia felice. Sono il primo di quattro figli, anche se per molto tempo siamo stati solo tre: Thomas, Valentin e Barbara. Markus, il “pilastro” della famiglia e il sole dei nostri genitori, è nato molto più tardi, quando io avevo già quasi vent’anni. Guardando indietro, ho molti bei ricordi della mia infanzia: quante estate felici in montagna, con i nonni, gli zii, e soprattutto i cugini! Quante gite in mezzo alla natura con la famiglia, nella mia terra d’origine, il Tirolo, dove sono nato e cresciuto! Quanti momenti di vita familiare in casa dei nonni, dopo la messa domenicale o in qualche altra occasione, come compleanni, matrimoni, prime comunioni, onomastici, eccetera! Era un ambiente sano e protettivo, e solo molti anni più tardi mi sarei reso conto che ci aveva difeso da molti guai, che più tardi ho potuto constatare con tristezza in alcuni amici. I miei genitori – e in verità tutta la famiglia, soprattutto la mia mamma – era fortemente integrata nella parrocchia. C’era sempre da partecipare a qualcosa: le recite natalizie, il coro, la gioventù cattolica, le attività a sostegno degli anziani, dei poveri e degli ammalati. Ovviamente siamo stati anche chierichetti, orgogliosi di poter servire così vicino all’altare. Ricordo sempre quella Messa della Notte di Natale in cui mi addormentai sulla candela che avevo tra le mani. Mi svegliai solo grazie all’odore di bruciato dei miei capelli strinati, appena in tempo per evitare il peggio. O quell’altra volta in cui, durante l’omelia, tra me e me sognai come sarebbe stato predicare dal pulpito, e rivolgere una terribile arringa ai fedeli di sotto. Chi avrebbe immaginato che, alcuni anni più tardi, avrei davvero celebrato messa e predicato omelie? Dopo una profonda esperienza religiosa dei miei genitori a Medjugorje, abbiamo iniziato a recitare il rosario in famiglia ogni giorno. Questo ha contribuito grandemente a renderci più uniti come famiglia (ricordo specialmente e con molta ammirazione mio papà, con tutto il suo lavoro e le sue preoccupazioni, in ginocchio, che pregava per tutta la famiglia). Musica, libri e pallone          Sono grato ai miei genitori per avermi iscritto fin da piccolo alla scuola di musica. Prima ho imparato a suonare il flauto. Dopo il flauto venne il coro dei giovani. Questo era più divertente, perché facevamo anche dei viaggi. Poi, il pianoforte – quella fu una mia idea, e mi costò cara, perché mio padre mi aveva avvertito: “Pensaci bene, perché se davvero vuoi che ti compriamo un pianoforte, che costa molto, poi lo devi sopportare fino alla fine!”. Così, una volta passato l’entusiasmo iniziale, dovetti sopportare tre anni di lezioni di pianoforte. Dopo il pianoforte, mi iscrissi alle lezioni di organo. Pensavo che sarebbe stato più interessante, e potevo contare sull’appoggio della mia mamma: lei, nei suoi sogni e senza dire niente mi vedeva già come grande organista (se non sacerdote!), impegnato a render gloria a Dio e a tenere concerti in tutto il mondo.          Il piacere per la lettura nacque in me quando scoprii una collezione di libri di avventura nella cantina di casa nostra. Appartenevano a mio padre. Fu l’inizio di una passione: leggevo in ogni minuto di tempo libero tra le cinque del mattino e le dieci di sera. Libri di avventure, di investigatori, di misteri, di fantascienza, di tecnica, e anche romanzi… divoravo tutto. Arrivavo a leggere romanzi di mille pagine nel giro di poche ore! Infine, c’era il pallone. Mi allenavo due o tre volte la settimana per giocare le partite nel fine settimana. Fu un periodo, da una parte, molto bello, dall’altra, anche di grande impegno e per questo molto formativo. Dovevo sacrificare molte cose per la squadra. Agli allenamenti, i primi anni, andavo sempre in bici: all’andata era facile perché la strada era in discesa. Ma il ritorno – circa 5 chilometri in salita dopo due ore di allenamento – restava sempre una sfida. In questo ambiente sportivo imparai i valori inestimabili dell’amicizia, del sacrificio, della forza di volontà e dello spirito di squadra.          In quel periodo iniziai anche a provare attrazione per le ragazzine insieme agli effetti di quell’avventura che è l’amore. Al principio, solo degli ingenui biglietti d’“amore”, cose da bambini inconsapevoli di cosa veramente significasse questa parola. Solo alcuni anni più tardi, paradossalmente già legionario e consacrato all’Unico Amore, iniziai a comprendere cosa davvero implicasse e richiedesse l’amore. L’avventura della vita          Ma anche nel mio caso giunse l’inevitabile adolescenza, e con essa i primi germogli di dissenso – e più tardi di aperta ribellione – contro tutto ciò che sapeva di formalismo, di principi, di regole fisse. Ricordo che gli ultimi anni prima di entrare all’università furono un’autentica lotta prolungata per la presunta libertà, la “mia libertà”: di uscire con gli amici, di avere una fidanzata, di affermare la mia identità. Si può immaginare la mia gioia quando alla fine potei uscire da casa mia e iniziare l’università lontano dal controllo dei miei genitori, lontano dall’autorità. Certo, avere un appartamento proprio (anche se in affitto), una macchina propria (anche se usata), un lavoro proprio (anche se come “dipendente” di mio padre, come responsabile dell’impaginazione della rivista mensile del Movimento per la Vita) mi dava una sensazione di libertà e mi faceva sentire realizzato. Dall’altra parte, l’ambiente intorno alla mia vita da studente, mentre studiavo Disegno Grafico e Scienze dello Sport in Austria, non era molto sano. In questo periodo di autoaffermazione – sono arrivato anche ad essere rappresentante degli studenti nella Facoltà di Scienze dello Sport – ho dovuto anche riflettere su ciò in cui credevo. Ho potuto conservare la fede cattolica grazie a tutto quello che mi era stato trasmesso in famiglia. Un punto fisso nella mia vita, anche se lontano da casa, era certamente la messa domenicale. Alla fine, queste semplici cose, la preghiera – anche se sporadica – e i sacramenti, mantennero aperto il canale affinché la grazia di Dio potesse operare nella mia vita. Erano tempi di sbandate e andirivieni nella mia vita, in cui ero piuttosto diviso tra ciò che sapevo fosse giusto, e ciò che credevo fosse più divertente. Il trascendente          Per illustrare la ricerca di senso che portavo dentro di me, basta ricordare due esperienze. La prima è un’avventura che mostra fino a che punto Dio era entrato nella mia anima. Mentre tutti già da anni si preparavano al grande passaggio da un millennio all’altro, anche i miei amici ed io organizzavamo per il 31 dicembre di ogni anno le “nostre” feste. Dovevano essere speciali, per quanto possibile lontane dalla “civiltà” e dalle sue regole fisse. E ogni festa doveva superare quella dell’anno precedente, e quindi assumeva forme sempre più eccessive. Avevamo solo una vita ed eravamo giovani, perciò dovevamo godercela! Tuttavia, all’avvicinarsi della festa di fine d’anno del 2000, dentro di me ero così stufo di tutta quell’allegria artificiale ed effimera degli anni precedenti che decisi di fare qualcosa di diverso. A mezzanotte volevo stare, con altri due amici, sulla vetta di una montagna di tremila metri, per dare il benvenuto al nuovo millennio. C’erano solo due “piccoli” dettagli: volevamo andarci di notte, e c’erano almeno tre o quattro metri di neve in vetta! Nonostante questi pericoli, dopo un’escursione preparatoria il giorno precedente, iniziammo la nostra conquista la sera del 31 dicembre. Ancora nei pressi del parcheggio incontrammo diversi amici intenti a preparare un’altra festa, che ci dissero: “Volete salire adesso sull’Ifinger? Ma siete matti? Restate con noi, invece, qui sta per cominciare la festa!”. Senza fermarci con loro, iniziammo la nostra avventura salendo sulla montagna. E, nonostante la neve, il freddo, l’oscurità, il tempo limitato, in poco più di tre ore di salita, proprio alle 23,50 arrivammo in vetta!          Fu una vera impresa, ma ci riuscimmo. Che vista stupenda sulle montagne, le stelle, le città e, anche da lassù, dei fuochi d’artificio! Pieni di gratitudine nei confronti di Dio per la nostra amicizia, per tutto quello che ci aveva dato nel corso di quell’anno, intonammo emozionati il canto del Te Deum, a quasi tremila metri di altitudine. Pensavo a tutti i miei amici lì sotto, che in quel momento stavano perdendo il loro tempo e le loro energie in banalità.          Noi avevamo fatto qualcosa di differente, qualcosa che ci resterà per sempre. Ed era proprio quel desiderio di trascendere, di fare qualcosa di grande nella vita, ciò che in quel momento mi riempì di gioia e di pienezza.          Proprio questo desiderio di trascendere sarà uno dei motivi che mi avrebbero poi aiutato in maniera significativa a scoprire la mia vocazione al sacerdozio.          L’altra motivazione che mi portavo dentro, molto dentro, era una tremenda sete d’amore. L’amore è ciò che muove tutto, ogni uomo aspira ad esso, porta in sé questa attrazione naturale all’amore, che cresce particolarmente durante la propria adolescenza – anche se non solo allora, ovviamente. Durante gli anni dei miei studi ad Innsbruck ho sperimentato l’amore umano e ringrazio Dio per questi bei momenti della mia vita. Fu un periodo con momenti meravigliosi, anche se altre cose non furono tali. Fu anche lì che Dio mi fece vedere che alcuni li ha destinati ad un amore più grande, più eccelso. Certo, mi è costato rinunciare, ma è inestimabile quello che ho guadagnato nel donarmi con tutte le mie forze, con tutto il mio cuore e con tutta la mia anima al Creatore e Redentore, in segno di gratitudine per l’amore che Lui per primo ha provato per me e mi ha dimostrato dando la vita per me sulla croce! In salvataggio di mio fratello          Nel 1993 per la prima volta erano passati a casa nostra alcuni legionari. Avevo già da allora un rapporto un po’ ambiguo con questi “preti”: già per cominciare, dovevo lasciar loro la mia camera e dormire su un materasso in soffitta. Poi, s’interessavano alla mia vita, mi facevano domande, erano perennemente sorridenti e di buon umore (che invidia!). Così, ogni volta che venivano, io facevo in modo di essere molto impegnato nelle “mie faccende”. Ma giunse il giorno fatidico nel gennaio del 2000, quando mio fratello Valentin, appena tornato da un viaggio a Roma, informò solennemente tutta la famiglia che voleva entrare nel noviziato dei Legionari di Cristo. Di sicuro fu un duro colpo per me, che stavo cercando per conto mio la maniera di vivere – e di sopravvivere – come cristiano autentico, in un mondo apparentemente contrario a tutto quello che la Chiesa cattolica difendeva. Non che io fossi stato un cattolico esemplare, anzi. Ma posso affermare che cercavo con sincerità e idealismo la verità e l’autenticità. Perciò quella rivelazione di mio fratello, per me – come per molti dei miei parenti e amici – fu come un autentico fulmine dal cielo. E mentre mio fratello sparì in pochi giorni, lasciò a me il gravoso compito di dare a tutti quanti quelle spiegazioni che io stesso non avevo. Non era forse vero che era impazzito lasciando tutto: i suoi studi, la sua carriera, il suo futuro, i suoi amici, i suoi progetti, per rinchiudersi in un monastero e gettare così alle ortiche la sua giovane vita? Io non ci capivo niente. Chi erano questi legionari, e che cosa volevano? Così che non ne potei più, e un bel giorno – me lo ricordo molto bene, era il sabato 26 febbraio del 2000 – presi la macchina e con altri due cari amici andammo direttamente al noviziato, senza avvisare nessuno. Per vedere in cosa si era cacciato mio fratello.          Fu davvero grande la mia sorpresa quando, anziché vedere un luogo triste e solitario, incontrai venticinque ragazzi, pieni di energia e carità e, soprattutto, che sprizzavano gioia da tutti i pori! Rimasi a bocca aperta. Come potevano questi giovani, che avevano lasciato tutto, essere così contenti? E suscitarono in me una sana invidia. Dal momento che mio fratello Valentin doveva andare in una parrocchia la sera in cui io arrivai, ci invitarono sul momento a unirci ad un gruppo di giovani che stavano facendo il loro ritiro spirituale proprio quello stesso sabato. Era l’ultima cosa che avremmo voluto fare in quel momento, ma dato che non c’era un’alternativa migliore… Chi avrebbe pensato che quel ritiro si sarebbe tradotto in molte grazie spirituali per la mia anima!          A questa prima visita al noviziato ne seguirono molte altre, con cadenza più o meno mensile. Il noviziato esercitava su di me un’attrazione singolare, come un luogo in cui si respirava pace, serenità e silenzio, e come un’opportunità per ricaricare le pile nella lotta quotidiana per l’autenticità e la verità. La confessione e la direzione spirituale ogni mese mi aiutarono molto a conoscere e ad amare Dio e a vivere meglio le verità della fede. Iniziai a interessarmi seriamente al Regnum Christi. Quando, dopo la Pasqua, alcuni giovani mi invitarono a partecipare con loro ad una missione in Messico quell’estate, non ci pensai due volte, e mi iscrissi. Pensavo che saremmo andati a portare viveri e generi di prima necessità ai poveri, ma la mia sorpresa fu grande quando – ormai sul posto – compresi che quella era piuttosto una missione di evangelizzazione. Che bella estate, un mese tra i più poveri dei poveri, in cui offrii una parte del mio tempo, e ricevetti un pizzico di eternità! Questo fu il grande insegnamento di Dio per me: chi dà generosamente, riceve in abbondanza!          Al ritorno dal Messico, P. Giuseppe Gamelli, che era stato il mio direttore spirituale in quegli ultimi mesi, mi invitò a trascorrere ancora alcuni giorni a Roma, e accettai con piacere, dal momento che era anche l’anno del giubileo, e in quei giorni si svolgeva la Giornata Mondiale della Gioventù con Giovanni Paolo II e due milioni di giovani. Di fatti, trascorsi gli ultimi giorni nella sede della direzione generale della Legione di Cristo insieme ad un gruppo di giovani in discernimento vocazionale. Non mi era ancora passato per la mente che forse il sacerdozio poteva fare per me, ma percepivo che Dio mi voleva dire o chiedere qualcosa di più grande. Fu attraverso una lunga lotta interiore di fronte al tabernacolo che mi feci la domanda – forse per la prima volta con consapevolezza – se per caso, chissà, magari… Dio mi stava invitando a consacrarmi totalmente a Lui. Avevo visto con stupore oltre quattrocento giovani legionari felici e, in un sussulto di generosità, anche se dopo una vera e propria battaglia interiore, dissi a Dio: “Se loro possono, e se tu veramente lo vuoi, anch’io potrò. Ma devi aiutarmi!”. Non posso descrivere la pace e la serenità che hanno pervaso in quel momento il mio cuore turbato.          Fu come se una tonnellata di pietre fossero sparite dalla mia anima angosciata! Fu così sublime quel momento, che a distanza di anni posso ancora trarne consolazione e forza nei momenti difficili. Ora non restava che informare la mia famiglia. La reazione          Pochi giorni dopo, stavo seduto di fronte ai miei genitori. Eravamo andati a mangiare la pizza, tutti insieme, e io ero abbastanza nervoso. Alla fine della cena, feci il grande annuncio. All’inizio ci fu un gran silenzio, quasi non potevano crederci: “Come, anche tu?”. Ma presto mi abbracciarono, e mi diedero la loro benedizione. Quel che più mi colpì, a parte la fede dei miei genitori, furono le lacrime di mio padre. È un uomo forte, alto quasi due metri, non lo avevo mai visto piangere. Ma erano lacrime di gioia, di gratitudine, di orgoglio. Sono davvero grato ai miei genitori, che hanno lasciato che anche il loro primogenito se ne andasse in seminario. Negli anni seguenti, potevo sempre contare sulle loro preghiere e il loro sostegno spirituale. Anche molte altre persone hanno pregato per me e per mio fratello Valentin, e le ringrazio di cuore. Era come avere sempre un esercito inginocchiato alle mie spalle: personalmente, mi ha dato grande forza e motivazione per perseverare fino ad oggi. Amare e vivere          La grande lezione che Dio mi ha dato, e continua a darmi tutti i giorni, è che chi vuole vivere deve amare. Perché amare è vivere! Dopo molti anni, e solo avendo sperimentato la gioia di consacrarmi totalmente a Dio, alla fine avevo trovato la risposta a tutti i miei desideri e il senso della mia vita: amare, e non in maniera umana. Amare come ama Dio: offrendosi, tutti i giorni. Grazie, Signore, perché sei così buono con me!
P. THOMAS MARIA GÖGELE è nato a Merano, in Südtirol (Alto Adige), il 28 novembre 1977. Ha studiato Disegno Grafico e Scienze dello Sport ad Innsbruck, in Austria. Il 14 settembre del 2000 è entrato nel noviziato della Legione di Cristo, a Gozzano. Ha completato gli studi umanistici a Salamanca, in Spagna, e il biennio di filosofia a Roma. Per due anni è stato responsabile della formazione nella Scuola Irlandese di Monterrey, in Messico. Ha studiato teologia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum a Roma e, prima della sua ordinazione sacerdotale, è stato membro dell’équipe di formatori nel noviziato di Gozzano per due anni. Dall’autunno del 2010 si occupa di pastorale giovanile e vocazionale in Austria. È stato campione italiano di Eisstockweitschiessen (una disciplina sportiva invernale), e rappresentante degli studenti all’università (Facoltà di Scienze dello Sport).
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