«Non potrò mai esprimere la mia grande gioia; ogni giorno con tre gocce di vino e una goccia d'acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale!».
del 01 gennaio 2002
“Quando sono stato arrestato, ho dovuto andarmene subito,a mani vuote. L’indomani, mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere le cose più necessarie: vestiti, dentrificio…Ho scritto: ‘Per favore, mandatemi un pò di vino, come medicina per il mal di stomaco’. I fedeli subito hanno capito. Mi hanno mandato una piccola bottiglia di vino per la Messa, con l’etichetta ‘medicina contro il mal di stomaco’, e delle ostie nascoste in una fiaccola contro l’umidità.[…] Non potrò mai esprimere la mia grande gioia; ogni giorno con tre gocce di vino e una goccia d’acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale! […] Ogni volta avevo l’opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù, di bere con lui il calice più amaro. […] Erano le più belle messe della mia vita”.
Questa breve testimonianza riassume la santità del Card. Van Thuan, arcivescovo vietnamita, deceduto nel 2002 a Roma, espulso dal suo Paese dopo aver trascorso tredici anni in prigione, di cui nove in isolamento. Nominato presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”, viene invitato da papa Giovanni Paolo II a predicare gli esercizi spirituali alla Curia Romana nell’anno 2000. Riportiamo una delle ventidue meditazioni sulla speranza nel mondo di oggi che nacquero in quel contesto dal cuore di questo Pastore che come l’Apostolo Paolo dalla prigione seppe guidare il gregge a lui affidato senza perderne nessuno, ma perdendosi per tutti, e seppe affidarsi con fede intrepida al Signore, non lasciando mai spazio alla disperazione, ma condividendo tutto con Cristo in perenne comunione di amore e di preghiera.
Il testo che segue è tratto da: F. X. Nguyen Van Thuan, Testimoni della Speranza - Esercizi spirituali tenuti alla presenza di Giovanni Paolo II, Edizioni Città Nuova, Roma, 2000, pp. 71-80. Restiamo a disposizione per l'immediata rimozione se la presenza on-line di questo testo sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
«Per una strana alienazione - ha scritto il grande teologo ortodosso Evdokimov - l'uomo di questo mondo vive nel passato, nei suoi ricordi o nel1'attesa del suo avvenire; quanto al momento recente, egli cerca di evaderne, esercita il suo spirito inventivo per meglio 'ammazzare il tempo'.
Quest'uomo non vive nel qui e ora, ma in fantasticherie di cui è inconsapevole. (...) Il passato e il futuro, nella loro astratta dislocazione, sono insistenti, e non hanno accesso all'eternità; questa non converge che verso il momento presente e e non si dà che a chi si rende totalmente presente in quel momento. E’ solo in questi istanti che la si può raggiungere e vivere nell'immagine del presente eterno» (1).
Vorrei, in questa meditazione, soffermarmi sul momento presente. E’ nel presente che inizia 1'aventura della speranza. Esso è l'unico tempo che possediamo nelle nostre mani. Il passato è già passato, il futuro non sappiamo se ci sarà. La nostra ricchezza è il presente.
Vivere il presente è la regola dei nostri tempi. Nei ritmi frenetici della nostra epoca, occorre fermarsi nel momento presente come unica chance per «Vivere» veramente ed introdurre, sin d'ora, la nostra vita terrena nel corso della vita eterna.
Via alla santità
Dopo il mio arresto, nell'agosto del 1975, vengo trasportato durante la notte da Saigon fino a Nhatrang, un viaggio di 450 km, in mezzo a due poliziotti. Ha inizio l'esperienza di una vita da carcerato: non ho più orario. Un proverbio vietnamita dice: «Un giorno in prigione vale mille autunni in libertà». L'ho sperimentato: in prigione tutti aspettano la liberazione, ogni giorno, ogni minuto.
In quei giorni, in quei mesi tanti sentimenti confusi mi arrovellano la mente: tristezza, paura, tensione. Il mio cuore è lacerato per la lontananza dal mio popolo. Nel buio della notte, in mezzo a questo oceano di angoscia, piano piano mi risveglio: «Devo affrontare la realtà. Sono in prigione. Se aspetto il momento opportuno per fare qualcosa di veramente grande, quante volte mi si presenteranno simili occasioni? C'è una sola cosa che arriverà certamente: la morte. Occorre afferrare le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in modo straordinario».
Nelle lunghe notti in prigione, mi rendo conto che vivere il momento presente è la via più semplice e più sicura alla santità. Nasce da questa convinzione una preghiera:
«Gesù, io non aspetterò; vivo il momento presente, colmandolo di amore.
La linea retta è fatta di milioni di piccoli punti uniti l'uno all'altro.
Anche la mia vita è fatta di milioni di secondi e minuti uniti l'uno all'altro.
Dispongo perfettamente ogni singolo punto e la linea sarà retta. Vivo con perfezione ogni minuto e la vita sarà santa.
Il cammino della speranza è fatto di piccoli passi di speranza. La vita di speranza è fatta di brevi minuti di speranza.
Come te, Gesù, che hai fatto sempre ciò che píace al Padre tuo.
Ogni minuto voglio dirti: Gesù, ti amo, la mia Vita è sempre una 'nuova ed eterna alleanza' con te.
Ogni minuto voglio cantare con tutta la Chiesa: Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo...».
Impegno e dono
Nel Vangelo, Gesù ci esorta sempre di nuovo a vivere il presente. Egli ci fa chiedere al Padre il pane solo per «oggi» e ci ricorda che basta l'affanno di «ogni giorno» (cf. Mt 6, 34).
Egli ci interpella totalmente in ogni attimo. E allo stesso tempo ci fa dono di ogni cosa. Sulla croce, al ladrone che gli dice: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno», risponde: «Oggi sarai con me in paradiso» (cf. Lc23, 42-43). In questa parola: «oggi» vi è tutto il perdono, l'amore di Gesù.
San Paolo accentua al massimo l'identificazione con Cristo in ogni momento, al punto da creare una nuova terminologia assai espressiva: confixus cruci (Gal 2, 20), consepulti (Rm 6, 4; Col 2, 12), conmortui sumus, convivemus (2 Tm 2, 11; c£ 2 Cor 7, 3), consurrexistis (Col 3, 1). L'Apostolo parla dell'unione di Gesù con noi come di una realtà indefettibile, una vita senza intervallo che impegna tutto il nostro essere ed attende la nostra risposta: Cristo è morto ed è ritornato alla vita, per essere il Signore dei morti e dei vivi. Per questo «sia che viviamo, sia che moriamo siamo del Signore» (cf. Rm 14, 8-9). «Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» (1 Cor 10, 31).
Nel Quarto Vangelo, questa dimensione cristologica si apre alla dimensione trinitaria: «Perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me» (Gv 17, 22-23).
“Nel presente «in sinu Dei»”
Tutti i santi e i grandi testimoni concordano sull'importanza del presente. Essi vivono uniti a Gesù ciascun momento della loro vita, secondo il proprio ideale incarnato nel loro essere. Per Ignazio di Loyola è Ad maiorem Dei gloriam, per Elisabetta della Trinità In laudem gloriae, per Giovanni Bosco Da mihi animas, per Madre Teresa è Misericordia. Per Raul Follereau è Gesù nei lebbrosi, per Jean Vanier Gesù negli handicappati mentali.
Impersonando, nell'attimo presente, il loro ideale, i santi vivono una vita che si realizza nella sua essenza.
Scrive san Paolo della Croce:
«Fortunata l'anima che riposa in sinu Dei, senza pensare al futuro, ma procura di vivere momento per momento in Dio, senz'altra sollecitudine che di far bene la sua volontà in ogni evento» (2).
E Teresa di Lisieux afferma:
«La mia vita è un baleno, un'ora che passa, è un momento che presto mi sfugge e se ne va. Tu lo sai, mio Dio, che per amarti sulla terra non ho altro che l'oggi» (3).
«Chi conosce la via della santità - dice una grande figura spirituale del nostro tempo - torna e ritorna appassionatamente all'ascetica che essa richiede: vivere in Dio nell'attimo presente della vita. Così si è completamente alienati da tutto ciò che non è Dio e immersi in Dio ovunque Egli è presente. Allora la nostra vita non è più tanto 'esistere', ma pienamente 'essere', perché Dio, Colui che è, è in essa» (4).
Discernere la voce di Dio
Discernere tra le varie intime voci quella di Dio (cf. GS 16), per compiere nel presente il suo volere, è un continuo esercizio, cui i santi si sono docilmente sottoposti. Ed in questo continuo esercizio, il discernimento si fa sempre più facile perché la voce di Dio dentro di noi si amplifica, si irrobustisce.
Alle volte non è semplice. Ma se crediamo all'amore di Dio possiamo compiere con tranquillità quella che pensiamo essere la sua volontà, con la fiducia che, se non lo è, Egli ci rimetterà sul giusto binario.
«Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno», ricorda Paolo ai Romani (Rm 8, 28).
E Raissa Maritain scrive: «I doveri di ogni istante sotto le oscure apparenze nascondono la verità del divino volere; essi sono come i sacramenti del momento presente» (5).
Origene ci lascia questo bel consiglio: «Non è in un luogo che bisogna cercare il santuario, ma negli atti, nella vita e nei costumi. Se essi sono secondo Dio, se si conformano ai comandi di Dio, poco importa perfino che tu sia in casa o in piazza: che dico 'in piazza'? Poco importa perfino che tu ti trovi in teatro: se stai servendo il Verbo di Dio tu sei nel santuario, non avere alcun dubbio» (6).
Come colmare ogni momento d'amore
Quando ero costretto alla residenza obbligatoria nel villaggio di Cay Vong, sotto la sorveglianza della polizia, giorno e notte mi sentivo ossessionato dal pensiero: «Popolo mio! Popolo mio che amo ,tanto: gregge senza pastore! Come posso entrare in contatto con il mio popolo, proprio nel momento in cui hanno più bisogno del loro pastore? Le librerie cattoliche sono state confiscate, chiuse le scuole; le suore, i religiosi insegnanti sono dispersi; alcuni vanno a lavorare nei campi di riso, altri si trovano nelle 'regioni di nuova economia' in mezzo al popolo, nei villaggi. La separazione è uno choc che distrugge il mio cuore.
Io non aspetterò - mi sono detto -. Voglio vivere il momento presente, colmandolo di amore; ma come?».
Una notte viene una luce: «Francesco, è molto semplice. Fai come san Paolo quando era in prigione: scriveva lettere a varie comunità».
La mattina seguente, ho fatto un cenno a un ragazzo di sette anni, Quang, che ritornava dalla messa alle 5, ancora nel buio, e gli ho chiesto: «Di' a tua mamma di comprare per me vecchi blocchi di calendari». A tarda sera, di nuovo al buio, Quang mi ha portato i calendari e tutte le notti di ottobre e di novembre 1975 ho scritto alla mia gente il mio messaggio dalla prigionia. Ogni mattina il ragazzo veniva a prendere i fogli per portarli a casa e far ricopiare il messaggio dai suoi fratelli e dalle sue sorelle. È nato così il libro Il cammino della speranza, pubblicato ora in 11 lingue.
Nel 1989, quando sono finalmente uscito dalla prigione, ho ricevuto una lettera di Madre Teresa, con queste parole: «Non è il numero delle nostre attività che importa, ma l'intensità di amore che mettiamo in ogni azione».
Quell'attimo che sarà l'ultimo
Vivere attimo per attimo con intensità è il segreto per saper vivere bene anche quell'attimo che sarà l'ultimo. Scrive Paolo VI nel suo «Pensiero alla morte»:
«Non più guardare indietro, ma fare volentieri, semplicemente, umilmente, fortemente il dovere risultante dalle circostanze in cui mi trovo, come Tua volontà. Fare presto. Fare tutto. Fare bene. Fare lietamente: ciò che ora Tu vuoi da me, anche se supera immensamente le mie forze e se mi chiede la vita. Finalmente, a quest'ultima ora» (7).
Ciascuna parola, ciascun gesto, ciascuna telefonata, ciascuna decisione, devono essere la cosa più bella della nostra vita. Riserviamo a tutti il nostro amore, il nostro sorriso, senza perdere un secondo.
Ogni attimo della nostra vita sia
l'attimo primo
l'attimo ultimo
l'attimo unico.
Vorrei concludere questa meditazione con una preghiera della santa suor Faustina Kowalska:
«Se guardo il futuro, m'investe la paura,
Ma perché inoltrarsi nel futuro? Mi è cara soltanto l'ora presente,
perché il futuro forse non albergherà nella mia anima.
Il tempo passato non è in mio potere
Per cambiare, correggere o aggiungere qualche cosa.
Né i sapienti, né i profeti han potuto far questo. Affidiamo pertanto a Dio ciò che appartiene al passato.
O momento presente, tu mi appartieni completamente,
Desidero utilizzarti per quanto è in mio potere (...)
Perciò, confidando nella Tua Misericordia, Avanzo nella vita come un bambino, E ogni giorno Ti offro il mio cuore Infiammato d'amore per la Tua maggior gloria» (8).
François Xavier Nguyên Van Thuân
François Xavier Nguyên Van Thuân era nato il 17 aprile 1928 a Huê (Viêt Nam). Discendeva da una famiglia che annoverava nel suo albo genealogico numerosi martiri. Sua nonna, che non sapeva né leggere né scrivere, ogni sera, dopo le preghiere della famiglia, recitava il rosario per i sacerdoti. Sua madre Elisabeth lo aveva educato cristianamente fin da quando era bambino. Ogni sera gli insegnava le storie della Bibbia e gli raccontava le testimonianze dei martiri, specialmente dei suoi antenati. In tale contesto familiare, François Xavier si sentì chiamato alla vita sacerdotale e l’11 giugno 1953 fu ordinato sacerdote.
Dopo la laurea in Diritto Canonico conseguita a Roma nel 1959, torna in Viet Nam come professore e poi Rettore del seminario, vicario generale e Vescovo di Nha Trang a partire dal 1967.
Il suo impegno a Nha Trang era molto intenso. Sotto la sua guida, nell’arco di otto anni, i seminaristi maggiori passano da 42 a 147, mentre quelli minori da 200 diventano 500. Il motto del giovane Vescovo vietnamita è “Gaudium et Spes”, gioia e speranza. Sarà il programma di tutta la sua vita.
Il 24 aprile 1975 Van Thuân viene promosso da Papa Paolo VI Arcivescovo Coadiutore di Saigon (oggi Ho Chi Min), ma pochi mesi dopo la sua nomina viene imprigionato. Era il 15 agosto 1975, festa dell’Assunta. Aveva 47 anni e, con il solo “bagaglio” di un rosario che aveva in tasca, venne inviato in un campo di rieducazione, dove rimase per tredici lunghi anni, nove dei quali li trascorse in assoluto isolamento. Con sé nella prigione non aveva potuto portare nemmeno la Bibbia. Allora aveva escogitato di raccogliere tutti i pezzetti di carta che avrebbe trovato per realizzare con essi una minuscola agenda, sulla quale, servendosi della propria memoria, avrebbe riportato tutte le frasi del Vangelo che ricordava: erano più di 300.
Questo “Vangelo” è stato il suo vademecum quotidiano, lo scrigno prezioso al quale attingere la forza necessaria per superare i momenti terribili della sua detenzione. Capì che “occorre afferrare l’oggi, colmandolo d’amore”, come aveva scritto. Così, a poco a poco, quel buio inferno del carcere diventa un monastero, dove prega per suoi fedeli, per i suoi carcerieri, per la Chiesa e per il mondo, offrendo quella sua triste condizione di prigioniero anche attraverso la Messa. Quando era stato arrestato gli avevano permesso di scrivere una lettera ai parenti per domandare le cose più necessarie. Van Thuân chiese loro un po' di vino come medicina contro il mal di stomaco. Quelli compresero il significato vero della sua richiesta e gli mandarono una bottiglietta con il vino della Messa, con sopra l’etichetta: “medicina contro il mal di stomaco”. In questo modo il presule incarcerato poteva celebrare la sua Messa ogni giorno, con tre gocce di vino e una di acqua mescolate nel palmo della mano e un po’ di pane nascosto in un pacchetto di sigarette.
La celebrazione dell'Eucaristia è stata in quei tredici anni di persecuzione il momento centrale delle sue giornate. “In quei terribili anni di isolamento, i più duri della mia vita – ha ricordato spesso il Prelato vietnamita - vedevo solo due guardie che avevano l'ordine di non rivolgermi parola. Mi sentivo abbandonato da tutti e ho provato la stessa sofferenza di Gesù, solo sulla Croce. Ho pensato ai miei parrocchiani, ai fedeli, ai sacerdoti, ai religiosi, ai seminaristi che erano fuori, anche loro abbandonati e nella sofferenza, molti uccisi. In quell'abisso della mia debolezza, fisica e mentale, ho ricevuto la Grazia della Madonna. Non potevo più celebrare, ma ho recitato centinaia di volte l'Ave Maria, e la Madonna mi ha dato la forza di essere unito a Gesù inchiodato sulla Croce: ho sentito come Gesù abbia potuto salvare l'Umanità, lì, solo sulla Croce, nell'immobilità assoluta.
Le guardie poco a poco mi capirono. Diventammo amici. Mi aiutarono. Mi permisero di tagliare un pezzo di legno in forma di Croce. Lo nascosi nel sapone. Mi tagliai un pezzo piccolo piccolo di filo elettrico. Mi prestarono due piccole tenaglie. Mi aiutarono a lavorarlo. La Croce che porto è fatta con il legno della prigione e quel filo elettrico! Questa Croce è una continua chiamata: amare sempre! Perdonare sempre! Vivere il presente per l'evangelizzazione! Ogni minuto deve essere per l'amore verso Dio”.
Scarcerato il 21 novembre 1988 ed espulso dal suo paese, Van Thuân venne in Italia, dove fu nominato Presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”, quindi, dopo aver predicato gli Esercizi spirituali quaresimali al Papa e alla Curia Romana nell'anno del Grande Giubileo, col successivo Concistoro del 21 febbraio 2001 fu creato Cardinale. Appena un anno dopo, il 16 settembre 2002, la sua dipartita, dopo una lunga e dolorosa malattia.
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1 1 P. Evdokimov, Le età della vita spirituale, Bologna 1968, 257-258.
2 San Paolo della Croce, Lettere, I, Roma 1924, pp. 645-646.
3 Teresa di Lisieux, (Poésie) Mon chant d'Aujourd'hui, in: Euvres complètes, Paris 1996, pp. 645-646.
4 Chiara Lubich, Scritti Spirituali/2, Roma 19843, p. 129.
5 Diario di Raissa, a cura di J. Maritain, Brescia 1968, p. 146. 6 Omelia sul Levitico, 12, 4: SC 287, 182.
6 Omelie sul Levitico, 12,4:SC287,182
7 Paolo VI, Pensiero alla morte, in: « L’Osservatore Roma¬no», 5 agosto 1979, p. 5.
8 Davanti a Lui. Pagine dal Diario, Milano 1999, pp. 31-32.
card. François Xavier Nguyen van Thuan
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