Due aerei per due - diverse - storie, una canzone - di Bennato - per la stessa, unica, purtroppo "sempreverde", tragedia.
Era la primavera del 2010 quando uscì “Un aereo per l’Afghanistan”, ma le sue parole erano già state pensate e scritte da Edoardo Bennato tre anni prima.
Dietro ai suoi sottili occhiali neri e con la sua consueta critica graffiante e d’avanguardia, Bennato ci portava, al ritmo della sua chitarra, dentro la pancia di un C-130 diretto a Kabul.
“Guarda quell’aereo che sta per partire per l’Afghanistan… guarda quei ragazzi” – diceva – “ben equipaggiati ed addestrati… strumento di aggressione o missione di pace, cos’è?… decidilo tu.”
Provoca, Bennato “Chi è che ha in mano i fili e chi li fa ballare?”
È tragicamente attuale questo rock, ha del profetico nel suo denunciare. Sono strofe di qualità, riflessive… non sono solo canzonette.
Riascolto questo testo dopo tanti anni. È amarissimo e fa male.
Guardo quei ragazzi, oggi.
“Non è finzione”, già cantava il cantautore partenopeo. No, non lo era, e non lo è.
In questi vent’anni a Kabul, di quei giovani italiani, 54 non sono più tornati, se non sotto il tricolore steso sui loro feretri. Giovani vite con forti ideali, valori e diritti fondamentali da difendere. Voglio davvero credere che il loro sacrificio non sia stato vano. Voglio crederci da madre, da moglie, ma in questo momento soprattutto da donna.
Grazie, è ciò che riesco a scrivere oggi.
Quel C-130 è ritornato a casa, pochi giorni fa.
La sua pancia brulicava di voci diverse da allora, bollente di corpi accatastati al limite del possibile.
Barcone volante…
Non più soldati ordinati e composti in un volo di andata.
È un viaggio di ritorno per lo stesso aereo ma, per centinaia di donne, uomini e bambini in fuga è adesso un viaggio di sola andata.
Operazione “Aquila Omnia” viene chiamato questo ponte aereo delle nostre Forze Armate in Afghanistan. Li guardo in quella balena di ferro, scappati, stremati e spaventati. Di certo avranno pregato, nel silenzio della loro paura.
Il loro Dio, il nostro stesso Dio.
Ali d’aquila li sorreggono adesso, come quelle del Salmo 90. Ali forti in cui trovano rifugio, in cui non temeranno più i terrori della notte, né freccia che vola di giorno…
Io riesco a cantare quel salmo meraviglioso, il più consolante della Scrittura.
Al popolo afghano non è più consentito cantare.
Ma nel cuore lo faranno ancora più intensamente di tutti noi.
E il loro canto salirà in alto, molto in alto…
“e ti rialzerà, ti solleverà su ali d’aquila, ti reggerà sulla brezza dell’alba, ti farà brillare come il sole, così nelle sue mani vivrai”
Ed arrivano così nelle nostre città, straniere e sconosciute. Nulla in mano. Famiglie intere, con anziani e bambini. Siamo noi adesso la loro casa, facendoci vicini, buoni samaritani in questa loro difficilissima fuga.
di Lella Noce Ginocchio
tratto da vinonuovo.it
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