Ascesi è oggi parola sospetta, se non del tutto assurda e incomprensibile per molti uomini e, ciò che più è significativo, anche per un gran numero di cristiani. In realtà «ascesi», termine che deriva dal greco askein, «esercitare», «praticare», indica anzitutto l'applicazione metodica, l'esercizio ripetuto, lo sforzo per acquisire un'abilità e una competenza specifica
del 01 gennaio 2002
«Non si nasce cristiani, lo si diventa» (Tertulliano). Questo «divenire» è lo spazio in cui si inserisce l’ascesi cristiana. Ascesi è oggi parola sospetta, se non del tutto assurda e incomprensibile per molti uomini e, ciò che più è significativo, anche per un gran numero di cristiani. In realtà «ascesi», termine che deriva dal greco askein, «esercitare», «praticare», indica anzitutto l’applicazione metodica, l’esercizio ripetuto, lo sforzo per acquisire un’abilità e una competenza specifica: l’atleta, l’artista, il soldato devono «allenarsi», provare e riprovare movimenti e gesti per poter pervenire a prestazioni elevate. L’ascesi è dunque anzitutto una necessità umana: la stessa crescita dell’uomo, la sua umanizzazione, esige un corrispondere interiore alla crescita anagrafica. Esige un dire dei «no» per poter dire dei «sì»: «Quando ero bambino, parlavo e pensavo da bambino ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato»scrive san Paolo (1Corinti 13,11). La vita cristiana poi, che è rinascita a una vita nuova, a una vita «in Cristo», che è adattamento della propria vita alla vita di Dio, richiede l’assunzione di capacità «non naturali» come la preghiera e l’amore del nemico: e questo non è possibile senza un’applicazione costante, un esercizio, uno sforzo incessante. Purtroppo il mito della spontaneità, che domina ancora in questa fase di adolescenze interminabili e che porta a contrapporre esercizio e autenticità, si rivela un ostacolo determinante alla maturazione umana delle persone e alla comprensione dell’essenzialità dell’ascesi per una crescita spirituale.
Certo, deve essere chiaro che l’ascesi cristiana resta sempre un mezzo ordinato all’unico fine da conseguire: la carità, l’amore per il Signore e per il prossimo. Non è possibile senza la continua esperienza di cadute, di fallimenti, di «peccati», che fan sì che l’ascesi cristiana rettamente intesa sia sempre assolutamente indissociabile dalla grazia: «Che uno possa vincere la sua natura non è tra le cose possibili» (Giovanni Climaco). La storia cristiana ha conosciuto molte deviazioni ed eccessi dell’ascesi, ma ha anche sempre saputo condannare tali eccessi che riducevano la vita cristiana a un insieme di imprese eroiche. E ha saputo farlo anche con senso dello humour: «Se praticate l’ascesi di un regolare digiuno, non inorgoglitevi. Se per questo vi insuperbite, piuttosto mangiate carne, perché è meglio mangiare carne che gonfiarsi e vantarsi» (Isidoro Presbitero). Essa non mira al perfezionamento del proprio «io», ma all’educazione dell’«io» alla libertà e alla relazione con l’altro: il suo fine è l’amore, la carità. L’ascesi prende sul serio il fatto che non si possono servire due padroni e che l’alternativa all’obbedienza a Dio è l’asservimento agli idoli. Anche l’interiorità va educata, anche l’amore va sempre affinato e purificato, anche le relazioni vanno rese sempre più intelligenti e rispettose: questo dice l’ascesi! In particolare, «il sudore e la fatica» (Cabasilas) dello sforzo ascetico sono l’apertura al dono di Dio, il disporre tutta la propria persona a ricevere il dono di grazia; possiamo riassumere la dimensione cristiana dell’ascesi in questa affermazione: la salvezza viene da Dio in Gesù Cristo. L’ascesi non è altro che l’accettazione a essere se stessi soltanto per grazia di quell’Altro che ha nome Dio, è il dire di sì a ricevere la propria identità nella relazione con questo Altro. In particolare, l’ascesi corporale, che ha rivestito spesso connotati meramente negativi e di disprezzo del corpo, soprattutto a seguito dell’assunzione di un modello antropologico di tipo dualista, afferma come essenziale per la conoscenza teologica il coinvolgimento dell’intero corpo! Senza questa dimensione il cristianesimo si riduce a esercizio intellettuale, a gnosi, oppure alla sola dimensione morale.
Di più, essendo a servizio della rivelazione cristiana che attesta che la libertà autentica dell’uomo si manifesta nel suo divenire capace di donazione di sé, per amore di Dio e del prossimo, aprendosi al dono preveniente di Dio, l’ascesi tende a liberare l’uomo dalla philautia, cioè dall’amore di sé, dall’egocentrismo, e a trasformare un individuo in persona capace di comunione e gratuità, di dono e di amore. Ancora una volta, la tradizione cristiana antica mostra capacità di auto critica nelle parole di un padre del deserto che constata: «Molti hanno prostrato il loro corpo senza alcun discernimento, e se ne sono andati senza trovare alcunché. La nostra bocca esala cattivo odore a forza di digiunare, noi sappiamo le Scritture a memoria, recitiamo tutti i Salmi, ma non abbiamo ciò che Dio cerca: l’amore e l’umiltà». Solo un’ascesi intelligente e condotta con discernimento risulta gradita a Dio. E risulta umanizzante e non disumanizzante. Risulta capace di aiutare l’uomo nel compito di fare della propria vita un capolavoro, un’opera d’arte. Forse non è casuale che askein sia utilizzato, nella letteratura greca antica, anche per indicare il lavoro artistico. Questo dunque il fine dell’ascesi: porre la vita del credente sotto il segno della bellezza, che nel cristianesimo è un altro nome della santità.
Enzo Bianchi
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