Bambini (invisibili?) in rete

Le tecnologie inseguono i bambini perché sono il futuro. Li vogliono. Perché producono fatturato. Ma non vogliono lavorare per creare aree protette adatte a loro...

Bambini (invisibili?) in rete

del 29 settembre 2017

Le tecnologie inseguono i bambini perché sono il futuro. Li vogliono. Perché producono fatturato. Ma non vogliono lavorare per creare aree protette adatte a loro...

 

Fingono di non vederli. Fingono che non esistano. Perché il problema è grosso. E occuparsene è tutt'altro che facile. Stiamo parlando dei milioni di bambini che hanno un profilo social. E che ogni giorno accedono a contenuti multimediali «adulti». Dove violenza, odio, scurrilità e sesso spesso la fanno da padrone.
Ufficialmente per aprire un profilo social bisogna avere almeno 13 anni. Lo prevede la legge americana, alla quale Facebook, YouTube, WhatsApp, Snapchat e Twitter si rifanno. Solo in Italia (fonte We Are Social) gli iscritti a Facebook tra i 13 i 17 anni sono 1 milione 130mila. Quanti siano a livello mondiale non lo sa di preciso nessuno.
A giorni arriverà in libreria "Nasci, cresci e posta - I social network sono pieni di bambini: chi li protegge?", un volume di Città Nuova, scritto dal giornalista e collaboratore di Wired Simone Cosimi e dallo psicoanalista e psicoterapeuta Alberto Rossetti. Citando lo studio "The Cyber Effect" di Mary Aiken, cyberpsicologa forense e professoressa aggiunta all'University College di Dublino e al Geary Institute for Public Policy, nonché consulente dello European Cyber Crime Centre dell'Europol, «un quarto dei bambini fra i 9 e i 10 anni, e la metà di quelli fra gli 11 e i 12 anni, usano Facebook». Ovviamente lo fanno mentendo sulla loro età. L'accesso a YouTube, che è di fatto un social, è ancora più facile. Per vedere la maggior parte dei contenuti non serve nemmeno iscriversi. E basta cliccare anche su un titolo innocuo come «Peppa Pig» per trovarsi tra i video correlati filmati con parodie sboccate che a loro volta rimandano a video non adatti ai bambini.
Insomma, siamo sempre alle solite. Le tecnologie inseguono i bambini perché sono il futuro. Perché è facile trasformarli in consumatori «bisognosi» di un nuovo gadget, una nuova bambola o un nuovo hoverboard da 300 euro. Li vogliono. Perché producono fatturato. Ma non vogliono lavorare per creare aree protette adatte a loro. E quando annunciano «YouTube a misura di bambini» lo fanno più per immagine che non perché sono interessati davvero a proteggerli. Non è un caso che non sappiamo neanche quanti bambini ci sono sui social, cosa fanno e con chi interagiscono.
Possibile che nemmeno la politica se ne interessi? In realtà il 16 dicembre 2015 i governi dell'Unione europea, insieme con l'Europarlamento, hanno stabilito di portare da 13 a 16 anni il limite per iscriversi a Facebook, Snapchat, Instagram e gli altri social (e persino per aprire una casella di posta elettronica). Tuttavia, hanno deciso «di attribuire la facoltà alle singole nazioni di conservare la soglia attualmente in vigore se lo riterranno opportuno».
Il nuovo Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali è entrato in vigore il 24 maggio 2016 ma diventerà definitivamente applicabile in via diretta in tutti i Paesi UE a partire dal 25 maggio 2018. Dal 2018, termine ultimo per il recepimento da parte dei singoli Stati, per iscriversi al social network fondato da Mark Zuckerberg potrebbe non bastare più avere tredici anni come previsto ora. Quella che sembra un'ottima notizia, contiene però un problema non da poco: non è chiaro chi dovrà vigilare in merito e quali saranno le eventuali sanzioni. E c'è da scommettere che, per calcolo o anche solo per pigrizia, la maggior parte dei Governi terrà il limite attuale dei 13 anni.
A confermarci l'importanza di questo che è e resta uno scandalo c'è la dichiarazione di Simon Milner, policy director di Facebook per il Regno Unito, Medio Oriente e Africa che confessò al The Guardian: «Facebook non ha una soluzione per risolvere questo problema». Tanto, come si dice, sono bambini. A chi interessa tutelarli? Per fortuna ci sono sacerdoti come don Di Noto che da anni operano in questa direzione. Don Fortunato ha scritto anche una lettera aperta ai bambini digitali. La trovate qui:
https://buff.ly/2xI6sDW .

 

Gigio Rancilio

https://www.avvenire.it

 

 

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