Visto che il mercato dei devices tecnologici è ormai globalizzato, è probabilmente nella cooperazione internazionale che andrà cercata nei prossimi anni una risposta globale ai problemi dell'uso scorretto, bullistico e dis-educativo dei nuovi strumenti di comunicazione.
del 30 aprile 2013
In questi giorni si parla molto di cyberbullismo in Italia (se ne è occupato anche il garante della privacy) e ovunque nel mondo. Il tema è stato uno dei più discussi dai ragazzi anche in occasione della manifestazione ‘Tablet school’ di Bergamo, lo scorso 5 marzo. E diventa sempre più importante. E preoccupante.
La moltiplicazione esponenziale dei devices elettronici a disposizione dei giovani ‘nativi digitali’ nelle società contemporanee, con poche differenze tra Paesi economicamente sviluppati e Paesi in via di sviluppo (o addirittura in ritardo di sviluppo), solleva per la scuola, ma prima ancora per la società degli adulti, l’inedito problema di una grave sconnessione - mai verificatasi in precedenza - tra il linguaggio e le modalità comunicative delle generazioni non native digitali (cui appartengono quasi tutti gli insegnanti ma anche quasi tutti i decisori politici in campo educativo) e quello dei giovani nati tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo.
Per la prima volta il linguaggio statico degli adulti, costruito sulla base dei testi scritti, smette di essere il modello comunicativo dominante, quello che deve essere insegnato ai giovani, per essere affiancato, e per certi aspetti sostituito, da quello dinamico, digitale e multimediale delle nuove generazioni in tutto il mondo.
Per questo, come si mostra in un recentissimo saggio intitolato Il ciberbullysmo di G. Mura e D. Diamantini, pubblicato da Guerini e associati nella collana Qua-si (Qualità della vita nella Società dell’Informazione) diretta con Diamantini dal noto sociologo Guido Martinotti, le misure di prevenzione e repressione del fenomeno allo studio dei diversi Paesi sono molto simili, ma tutte condividono la preoccupazione che gli adulti (genitori, insegnanti, le stesse forze dell’ordine in caso di reati) non riescano a governare il fenomeno perché non lo conoscono o non lo capiscono.
Il volume cerca comunque di informare sulle iniziative intraprese, soprattutto a livello internazionale, per fronteggiare la proteiforme attitudine del cyberbullismo a rigenerarsi con la stessa velocità con la quale cambiano gli apparati tecnologici, i software, i social networks e le applicazioni. E visto che il mercato dei devices tecnologici è ormai globalizzato, è probabilmente nella cooperazione internazionale che andrà cercata nei prossimi anni una risposta globale ai problemi dell’uso scorretto, bullistico e dis-educativo dei nuovi strumenti di comunicazione.
(da TuttoscuolaFOCUS N. 467/583)
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