C'è ancora la Confessione?

Tutti i cristiani che si riuniscono per una celebrazione penitenziale ammettono, proprio con questo atto, di essere dei peccatori.

C'è ancora la Confessione?

da Teologo Borèl

del 29 novembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

           E’ l'aspetto più importante tanto che là ove non fosse pienamente impegnata la nostra responsabilità personale – per ignoranza o per mancanza di libertà – non potrebbe esservi peccato nel vero senso della parola. Analogamente non si parla di 'peccato originale' che in un senso lato (analogico, dicono i teologi) e sarebbe ridicolo accusarsene. 

          Ma nella maggior parte dei casi, la realtà e più complessa. Non esiste, per così dire, un peccato puramente individuale e, parimenti, è sempre più raro che non vi abbiano una qualche responsabilità, piccola o grande che sia.

          Da un lato, le nostre colpe travalicano quasi necessariamente il nostro piccolo ambito personale. Anzitutto, la maggior parte di esse sono contro la carità. Feriscono quindi il nostro prossimo e, ripercuotendosi, le une sulle altre, hanno echi di cui è impossibile valutare l'esatta portata.

          Basti qui ricordare, a mo' di gustoso aneddoto, la lezione che, come si racconta, San Filippo Neri impartì ad una penitente un po' troppo portata, come spesso accade, alla maldicenza. Una prima volta le aveva imposto, come penitenza, di spennare un pollo camminando, così che le penne cadessero lungo il percorso. Penitenza che aveva almeno il pregio di essere tutt'altro che banale ma il cui significato doveva soprattutto diventare chiaro nella confessione seguente, quando la buona donna, recidiva, si vide dar l'ordine di ripercorrere la strada precedente per cercare di raccattare le penne, senza dubbio da molto tempo ormai volate via. E quando la sfortunata penitente dice che non poteva ritrovarle: 'Ah!, le rispose San Filippo Neri, e crede forse di poter trovare e neutralizzare le maldicenze diffuse sul conto degli altri e che stanno volando di bocca in bocca chissà dove?

          D'altronde, anche nel caso di peccati puramente interiori, crediamo forse che non rechino anche danno al prossimo? Per il fatto di essere interni non per questo un ascesso o una lesione non intossicano tutto il corpo! Ora, se, da un punto di vista puramente naturale, 'nessuno è un'isola' - specie nel momento attuale, in cui tutta l'umanità è strettamente interdipendente –, a maggior ragione ciò è vero dal punto di vista della fede, giacché tutti insieme formiamo un solo corpo di Cristo. E per questo che San Paolo per condannare la menzogna non dice: 'è brutta' per farci vergognare di fronte a noi stessi e nemmeno: 'Dio lo difende e sarebbe impossibile ingannarlo', per porre il nostro peccato in rapporto a Dio. No, l'apostolo ci dà questo motivo comunitario: “Parli ciascuno al suo prossimo secondo la verità, perché siamo membra gli uni degli altri'. Ma d'altra parte e a motivo di questa speciale solidarietà soprannaturale, noi siamo dunque tutti più o meno collettivamente responsabili del male compiuto da uno dei membri del corpo cui apparteniamo; specialmente per quanto riguarda il nostro destino spirituale.

          In verità, ognuno di noi è personalmente amato, chiamato da Dio, di conseguenza, i nostri atti di carità, così come i nostri peccati e come la nostra penitenza, devono sempre comportare questo aspetto personale. Ma c'e pure un altro fatto, non meno fondamentale e costante, e cioè che 'il disegno dell'alleanza abbraccia come un tutt'uno gli uomini per unirli tutti nel Cristo (CF. EP. 1,10)...Il vero soggetto delle promesse e degli obblighi dell'alleanza non è dunque l'individuo ma il popolo (d'Israele), primogenito di Dio, e, dopo la venuta del nostro Signore, tutte le genti'.

          Non si tratta dunque qui di quella vaga responsabilità collettiva il cui spettro venne agitato dopo l'ultima guerra a proposito del tedeschi che alcuni avrebbero voluto ritenere corresponsabili dei crimini nazisti. Il disegno di Dio è indissolubilmente personale e collettivo; il peccato di Adamo ricade su tutti gli uomini. L'alleanza è offerta a tutti e la redenzione ossia la restaurazione di una nuova ed eterna alleanza, è acquisita, una volta per tutte e per tutti, in Cristo (cf. il parallelismo dei due Adamo, Rom. 5,12-19 e 1 Cor. 15,45-49). Come potrebbe dunque essere possibile che il peccato, infedeltà all'alleanza e riscattato dal sangue della nuova alleanza, non sia esso pure di importanza collettiva?

          D'altronde, gli stessi non credenti non si sbagliano quando fanno ricadere le colpe o le mediocrità dei cristiani sulla chiesa; hanno torto in quanto la chiesa non si identifica con i peccatori, ma hanno nello stesso tempo ragione, poiché, in definitiva, la chiesa siamo noi e con la nostra condotta presentiamo un volto del Cristo radioso o sfigurato, secondo i casi.

          Uno dei benefici della penitenza dovrebbe appunto essere il fatto che chiarisce questo paradosso, testimoniando della complessità della situazione dei peccatori nella Chiesa santa di Dio.

          Tutti i cristiani che si riuniscono per una celebrazione penitenziale ammettono, proprio con questo atto, di essere dei peccatori. Forse, fino a quel momento, non pensavano che a colpe individuali, tenendo presente soltanto la propria responsabilità di fronte a Dio. Bisogna augurarsi che, nella misura in cui sono un tutt'uno con l'assemblea, siano condotti a prendere coscienza che quella solidarietà dovrebbe esserci pure in tutti gli atti della loro vita e scoprirsi quindi responsabilità più vaste, di cui non s'erano prima preoccupati.

          Questa solidarietà, d'altronde, è in due sensi. Se le mie mancanze feriscono tutto il corpo di Cristo, l’intera comunità, in quanto tale, non va sempre esente da biasimo, non è forse spesso per mancanza di comprensione , di aiuto reciproco , e semplicemente perché siamo troppo soli di fronte alla tentazione, che ci lasciamo vincere da quel cattivo allettamento? “Fratelli, anche se uno viene sorpreso in qualche fallo voi che siete spirituali, correggetelo con dolcezza e bada bene a te stesso, perché anche tu puoi essere tentato. Sopportate gli uni i pesi degli altri e così adempirete perfettamente la legge di Cristo' (Gal. 6,1-2).

          Così, non solo il singolo ma tutta l'assemblea riconosce che il peccato, sotto le sue varie forme, comporta sempre una dose di egoismo e quindi un distacco nei confronti della comunità cristiana che può arrivare sino alla rottura completa.

          Peccare è sempre, più o meno, un distaccarsi sia da Dio che dagli altri. E, come nella carità i due comandamenti riguardanti Dio e il prossimo sono praticamente legati, così, nel peccato, rompere con Dio equivale a privare la comunità cristiana di uno dei suoi membri, allo stesso modo che rompere con la Chiesa significherebbe rompere con Dio.

          Anche se non arrivano sino a questo punto, le colpe minori allentano i legami, ci allontanano e fanno di noi dei cristiani più o meno marginali. Insomma, se per mezzo del bene che compiamo ci integriamo in .Dio, con tutto il male che facciamo ce ne stacchiamo. Siamo dunque eterogenei: in parte già cristiani - ma solo in parte - mentre sotto un'altro aspetto del la nostra vita non lo siano ancora oppure non lo siano più; pagani ancora da evangelizzare o rinnegati che dovranno sconfessare la loro condotta.

          E' per questo che l'antica disciplina della penitenza, pur avendo il merito di essere assai chiara e come immaginosa , era troppo semplice. Sappiamo quali ne erano le cerimonie. In linea di principio esse restano applicabili tutt'ora, dal momento che il vigente Pontificale romano continua a portare le indicazioni per la pubblica espulsione dei penitenti della chiesa il mercoledì delle ceneri e per la loro riconciliazione del giovedì santo. In una cornice di salmi e di preghiere le due celebrazioni complementari sviluppano il simbolismo tra i riti imposti ai peccatori e ciò che avvenne ai nostri progenitori dopo il peccato originale.

          Ecco - dichiara il vescovo dopo aver imposto le ceneri che riacquistano qui tutto il loro significato - ecco che oggi voi siete scacciati dalla soglia della vostra santa madre chiesa in conseguenza dei Vostri peccati e dei vostri delitti, così come Adamo fu scacciato dal paradiso terrestre per aver disubbidito al comando di Dio...

          Che per i meriti di Cristo nostro Signore - conclude poi nelle cerimonie del giovedì santo - venga assolto il debito contratto da Adamo la nostra morte distrutta dalla morte e le nostre ferite guarite in virtù di quelle da lui sofferte; che le nostre macchie siano cancellate dal suo sangue, affinché, caduti per l'invidia dell'antico nemico (il serpente già responsabile della prima caduta), possiamo resuscitare per mezzo del suo perdono... Tu, dunque, Signore di clemenza; richiama a Te con la Tua connaturata bontà coloro le cui azioni li hanno allontanati da Te. Tu, infatti, procrastinando una giusta vendetta, non hai disdegnato l'umiliazione dell'empio Achab ( 1 Re 21); tu hai altresì esaudito Pietro che piangeva il suo rinnegamento e gli hai persino affidato le chiavi del Regno dei Cieli; quello stesso Regno l'hai infine promesso al ladrone in premio della sua confessione. Accogli quindi, o Padre clementissimo, nella tua bontà coloro per i quali, Ti supplichiamo e conducili nel grembo della tua santa chiesa, affinché mai possa trionfare su di loro il nemico, ma il Figlio, uguale a te, a te li riconcili, li purifichi da ogni peccato e li ammetta al banchetto della tua santissima cena, così che egli li ristori con la sua carne e con il suo sangue per condurli poi al termine di questa vita nel regno dei cieli.

          Nelle grandi linee tracciate da questo solenne prefazio si nota che la posta in gioco, da Adamo fino ai nostri giorni, non è affatto cambiata. Il peccato ci scaccia dal Paradiso dell'amicizia di Dio e la penitenza ha lo scopo di farvici rientrare. Anche nella più piccola delle cose è in gioco il regno dei cieli! La separazione era allora netta e per così dire geografica al centro era la Chiesa, Santa e immacolata; ai margini stavano i peccatori ammessi alla penitenza e che, una volta purificati, sarebbero stati reinseriti tra le file dei fedeli. Nessuno poteva dunque dubitare che la chiesa non fosse immacolata, dal momento che ogni macchia faceva perdere il diritto di appartenervi.

          Nessuno poteva più misconoscere il carattere santificante della Chiesa; giacché vedersi assolti voleva dire essere riammessi net suo seno. Ripartendo cosi i cristiani in categorie ben separate non si forzava un po' troppo la mano? Non si correva il rischio di schierare da una parte i puri e dall'altra i peccatori di far sorgere nei primi l'illusione di essere 'dei giusti ', come già una volta i farisei nei confronti dei pubblicani? In realtà è tutto molto più complesso. La frontiera non è così esteriore.. E' il nostro cuore ad essere diviso, è in lui che alberga nello stesso tempo la carità dell'uomo redento e l'egoismo del peccatore. E, analogamente, la frontiera passa in mezzo alla complessità della comunità cristiana. In quanto vera comunità, essa è Chiesa. una e santa. Ma con tutti i disaccordi, le rivalità, le discordie che possono introdursi fra i cristiani, ma anche semplicemente che essi si attengano ad una religione prettamente individuale che li lasci puramente giustapposti gli uni agli altri, questi fedeli si sono scostati della chiesa. Ogni fedeltà è dunque partecipe nello stesso tempo e indissolubilmente della santità che incorpora nella Chiesa e del peccato che da essa separa. E' appena il caso di aggiungere che la proporzione tra queste due partecipazioni varia a seconda delle parrocchie che appunto in base a questo vengono definite più o meno comunitarie, degli individui e perfino a seconda dell'evoluzione spirituale di ognuno. Ed è proprio perche la santità non la si ottiene tutta in un colpo ma dev'essere raggiunta, poco per volta, che i cristiani e le parrocchie non sono tutti bianchi o tutti neri; sono tutti peccatori, già riscattati ma ancora da convertire sul tal punto o sul tal altro. Se dunque la celebrazione penitenziale dev'essere compiuta in modo tale che tocchi la vera situazione interna sia della comunità che dei credenti che la compongono, bisogna che rappresenti questo duplice aspetto: essere cioè allo stesso tempo santa e penitente, chiesa “confessionante' e chiesa 'santificante'. Tratteremo qui solo della confessione e della conversione sotto il suo aspetto comunitario, dal momento che quanto nella confessione individuale e quindi nell'assoluzione deve restare strettamente personale verrà esaminato poi. I cristiani incontrano spesso difficoltà a capire la differenza che intercorre tra questa confessione privata cui sono abituati da sempre e una confessione 'pubblica', poiché sotto le due espressioni immaginano una medesima realtà. Tra di esse invece non c'e solo la differenza di una maggiore o minore pubblicità data alla denuncia dei peccati. L'accusa vera e propria non potrà essere che segreta. Anche nei primi secoli della chiesa venivano dichiarati pubblicamente solo quei peccati che per la loro stessa natura erano di notorietà pubblica, quali l'idolatria, l’omicidio, la fortificazione. La chiesa ha sempre vigilato gelosamente che fosse salvaguardata l'indispensabile discrezione (si veda l'avvertimento di Papa S. Leone Magno del 456 ai Vescovi della Campania). Non si tratta dunque, nelle odierne celebrazioni penitenziali di dover sopprimere la confessione individuale e segreta che richiede in modo particolare la denuncia precisa almeno delle colpe mortali. Molti si meravigliano di questa esigenza. Eppure, quando sono in torto fra di loro gli uomini non pensano forse sia del tutto naturale confessarlo per farselo perdonare ? Quale marito ansioso di dissipare una nube che rischiasse di offuscare la pace familiare non si scuserebbe con la moglie per uno sgarbo o per una mancanza di attenzioni? Non c'e quindi alcun motivo perché debba essere diversamente per le nostre colpe verso Dio e verso il prossimo. E' proprio per questo che Cristo ha istituito il sacramento della penitenza, ossia il potere di rimettere o di ritenere i peccati, concesso agli apostoli ed ai loro successori, che implica come ricorda anche il Concilio di Trento la confessione delle proprie colpe da parte del penitente. E' al prete in quanto rappresentante dello stesso tempo di Dio, di Cristo e della comunità cristiana ferita dai nostri peccati, che si dicono le proprie colpe e si chiede il perdono. Ma questo significato ormai abituale della parola 'confessione' non è che una parte, relativamente secondaria, di quanta implicherebbe una 'confessione' nel senso biblico tradizionale, e quindi cristiano del termine. Uno dei vantaggi della celebrazione penitenziale comunitaria è appunto quello di dare ai fedeli l'occasione di compiere una specie di apprendistato nel corso del quale si può sperare ritrovino poco per volta questo significato ampio e complementare della confessione. (che in questo senso, e solo in questo senso, trae vantaggio ad essere il più 'pubblica' possibile). Nella Sacra .Scrittura è tanto Dio quanto il peccato a venir 'confessato'. Queste due forme di 'confessione' sono d'altronde collegate fra loro: è confessando il proprio peccato., che se ne assume la responsabilità e che ci si può sollevare a Dio e la Chiesa così che restino degni di ogni lode (confiteri = cantare le lodi). L'incrocio dei due significati lo si nota già chiaramente in un episodio del libro di Giosuè (7,19) ma lo si incontra senza eccezione nelle numerose preghiere solenni di penitenza moltiplicantesi man mano che il castigo dell’esilio fa prendere coscienza agli Ebrei dei peccati che sono all'origine dei loro mali. Ecco qui i passi fondamentali della preghiera attribuita a Daniele e ne è un esempio classico: 

          Io, Daniele....feci la mia orazione e la mia confessione al Signore Iddio, dicendo: 'Ah, Signore Iddio, grande e tremendo…abbiamo peccato, ed abbiamo operato iniquamente e con empietà....A te si conviene la giustizia, o Signore, ma a noi la confusione sul volto, come avviene ancor oggi.... Signore, la vergogna sul volto…perché abbiamo peccato contro di te; al Signore Iddio nostro, la misericordia ed il perdono... o Signore, Dio nostro, che traesti il tuo popolo dall'Egitto con mano forte, e t'acquistasti un nome, quale è al presente, noi abbiamo peccato… Ed ora ascolta, o Dio nostro, l'orazione del tuo servo e le sue suppliche e fa risplendere il tuo volto sopra il tuo santuario devastato.... (Dan. 9). 

          Con gli adattamenti del caso, la Chiesa può, da parte sua, far propria questa 'confessione' e rendere a Dio la gloria senza ombra che gli è dovuta, confessando: 'Sì, noi abbiamo peccato allontanandoci da Te ....'(Dan. 22 ss.). Più ancora: la gloria della Chiesa, testimonianza incontestabile che una società divina, sta nel fatto che essa non frappone ostacoli a che tutti gli uomini, per quanto deboli e peccatori siano, entrino nella sua comunione dei santi. Come Dio, essa non ci accoglie in virtù dei nostri meriti personali, ma piuttosto in base al diritto alla misericordia infinita di cui tutti godiamo. Essa, accogliendo tra le sue file membri assai imperfetti, non ha paura di macchiarsi, giacché ha in se stessa di che ovviare a tutte queste deficienze, Come giustamente conclude J. Leclercq, la Chiesa non è santa per filtrare le sue adesioni; è santa perché dispone del sacramento della penitenza e può quindi santificare i peccatori.

          Tale possibilità non le piove però dal cielo senza una sua partecipazione attiva. Ecco che una parrocchia di solito forse poco vitale si riunisce. Quei cristiani che si riconoscono peccatori, pesi morti della comunità, si mettono, con l'aiuto della grazia, a fare sul serio, intercedendo presso Dio gli uni per gli altri.

          Abbiamo già riscontrato questo reciproco aiuto a proposito della contrizione; ed è effettivamente la preghiera di Daniele ci mostra che, contrizione e confessione si chiamano a vicenda. Bisogna insistere sull’importanza che nelle liturgie penitenziali assume la preghiera degli uni e per gli altri, se non si vuole che esse sembrino solo un espediente per 'mettere in comune', per motivi di comodità, ciò cui non si ha tempo da dedicare caso per caso. Tali cerimonie non devono aver di mira l'economia per prima cosa facendo percorrere come in serie le tappe della penitenza. Ciò è quanto obiettano coloro che si rifiutano di accettare tali forme penitenziali: bisogna riconoscere che talvolta almeno le apparenze danno loro ragione nella misura in cui non viene offerta ai fedeli la possibilità di pregare a lungo. Perché infatti ci sia, in questa come in ogni altra 'liturgia', una vera comunità non basta che ognuno faccia proprio quanto è distribuito a tutti (un po' come quei cristiani che andassero a Messa solo per comunicarsi individualmente). In questa azione comune ognuno deve svolgere la propria parte e tutto induce a credere che una tale partecipazione assuma un valore particolarmente effettivo. Sentiamo l'esortazione di San Giacomo: 'Confessate dunque l’uno all’altro i vostri peccati e pregate gli uni per gli altri, affinché siate guariti' (Giac. 5,16). Sarebbe estremamente difficile, sulla base di questa sola frase, sostenere che l'apostolo parli di una penitenza collettiva; più arduo ancora sostenere la stessa cosa circa la assoluzione sacramentale. La confessione reciproca non potrebbe comunque essere, contrariamente ad alcune insostenibili posizioni, che generica e discreta. O si pensa forse che un marito accompagnato dalla moglie debba rivelare, per esempio, un adulterio segreto? Ma, anche al di là di una efficacia propriamente sacramentale, è bene tener presente l'insistenza di San Giacomo: 'La preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo guarirà e se ha commesso dei peccati gli saranno rimessi'. 'La preghiera fervente del giusto ha una grande efficacia' (Giac. 5,15 e 16). Non è forse per questo che scriveva: 'Pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti'?

          In ogni caso, la Chiesa ha sempre attribuito una grande importanza a tal modo di pregare. 'I Cristiani delle prime generazioni non erano alieni dal pensare che un'assemblea di più membri della Chiesa ha di per se stessa una virtù santificante, capace di rimettere i peccati'. 'Anche se avete commesso un peccato grave che non possiate lavare con le lacrime del vostro pentimento - dice Sant'Ambrogio, commentando la resurrezione del figlio della vedova di Naim - pianga per Voi quella madre, la Chiesa, che interviene per ognuno del suoi figli come una madre vedova per il figlio unico, pianga dunque quella tenera madre, e la folla l'assista....Quando vi riavrete dalla morte, allora sarete liberati dal sepolcro'. Si tratta non di un’astratta Ecclesia Mater, ma della Chiesa quale realmente è, composta di tutti noi. Il prete, dice S. Gerolamo 'non restituisce un membro alla santità prima che tutti i membri abbiano insieme pianto. Il Padre, infatti, perdona facilmente ai figli quanto la Madre intercede per i frutti delle sue viscere”.

          Molto più tardi la stessa idea la si trova sviluppata nel Libro della vera e della falsa penitenza dell'undicesimo secolo ma noto sotto il patronimico di S. Agostino 'Il peccatore faccia dunque quanto dipende da lui per far parte del corpo e dell'unità della Chiesa. E, infatti, se quest’unità non lo aiuta e non supplisce a quanto gli manca, l’anima di quell'uomo non potrà venir strappata al nemico. Bisogna in effetti credere, ed è un dovere impostoci dalla fede, che tutte le elemosine della Chiesa, tutte le Sue preghiere e le sue opere di giustizia e di misericordia; contribuiscono alla conversione di chi riconosce il suo stato di morte. Nessuno può, dunque, pentirsi come si conviene se non è sostenuto dall'unità della Chiesa'.

          Si sarà notata, in quest’ultimo brano, la frequenza con cui ricorre il tema dell’unità. E' essa che ripara direttamente la 'rottura' che aveva prodotto il peccato. 'Colui che è unito all’amore, egli è sciolto dal peccato - conclude Sant'Agostino con una delle sue incisive espressioni - colui che non è invece in questa comunione, quello vi resta legato'. In questo senso, come dice anche altrove, “è l’Universa Ecclesia, ossia la totalità dei suoi membri alimentati dallo Spirito Santo, la vera detentrice del potere delle chiavi'.

          Del resto, guardiamo a quanto avviene nel corso della liturgia penitenziale. Dei cristiani peccatori, abitualmente così poco fraterni da non conoscersi forse nemmeno, si trovano dunque riuniti. Ciò non è forse l'antidoto stesso alla loro generale dispersione?E poiché si tratta di una celebrazione sacramentale. questo segno di unità acquista un effettivo valore. L'assemblea fisica di quei membri assicura la loro spirituale riconciliazione in un solo corpo di Cristo, in una sola Chiesa.

          L'aveva capito molto bene quella cristiana che, dopo una predica penitenziale vidi cambiar posto per andare a sedersi accanto ad un’altra buona praticante con la quale era da molto tempo in discordia, aveva tradotto in atto spaziale quel ravvicinamento operatosi nel cuore. Benché quell'atto non fosse previsto - e nemmeno potrebbe essere generalizzato, pena un viavai dannoso al raccoglimento, ella aveva tuttavia dato una dimostrazione pratica e semplice degli effetti della reciproca preghiera di tutti per ognuno. Aveva capito che per essere membro della Chiesa bisognava, appunto come dice Sant'Ambrogio, o non commettere peccati oppure rinunciarvi, per integrarsi sempre più pienamente in Cristo.

Giorgio De Stefanis

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