La cupola della chiesa di Maria SS. Ausiliatrice - Guarigione miracolosa di un insigne benefattore di questa chiesa - Circolare di D. Bosco pel coronamento della cupola - L'estrazione della lotteria differita - Festa per il collocamento dell'ultimo mattone sulla cupola - Sorprendenti circostanze di una vocazione religiosa - Predizioni sulla instabilità nei propositi di alcuni giovani - D. Bosco predica gli spirituali esercizii ai chierici di Bergamo - Testimonianze di qualche fatto notevole nelle sue predicazioni in questa città - Il Vescovo di Bergamo incarica D. Bosco di esaminare l'ortodossia degli insegnamenti di un teologo - D. Bosco incoraggia con lettera la Superiora di un monastero.
del 04 dicembre 2006
Nel mese di settembre, con decreto del Prefetto dì Torino Conte Carlo Torre, era stata concessa altra dilazione del termine della Lotteria, mentre la cupola della chiesa di Maria Ausiliatrice giungeva al suo culmine. Lenta era stata quell'erezione trovandosi D. Bosco in grande penuria di danaro; sicchè costrutti gli arconi che dovevano sostenerla esitò qualche giorno a farvi porre mano. Finalmente parve che si decidesse, per maggiore prestezza di lavoro e per risparmio di spesa, a sostituirla con una semplice volta a coppa rovesciata e ne diede ordine al capo mastro Buzzetti Carlo e all'economo D. Angelo Savio. Questi rimasero sorpresi e temporeggiarono quasi per un mese; quand'ecco presentarsi inaspettatamente a D. Bosco un suo grande benefattore, il banchiere comm. Antonio Cotta, senatore del regno, il quale lo invitò ad eseguire intiero il disegno della chiesa, perchè i mezzi non sarebbero mancati.
La breve sospensione di quei lavori era stata notata. Il ch. Paolo Albera, andato in Curia, s'incontrava con persona costituita in autorità, la quale gli disse:
- Ebbene si fa la cupola?
- Pare, rispose Albera, che il Comm. Cotta voglia sostenerne una parte delle spese.
- Farebbero meglio a darli ai poveri quei danari!
Ma ben diversamente giudicava Maria Ausiliatrice l'opera di D. Bosco e la carità del divoto banchiere.
Trovandosi questi spedito dai medici, quasi morente nel suo letto, in età di 83 anni, si presentava a lui D. Bosco. L'infermo, appena lo vide, con un sottilissimo filo di voce e tentennando il capo gli disse:
- Ancora pochi minuti, poi bisogna partire per l'eternità.
- Oh no, commendatore, rispose D. Bosco, la Madonna ha ancora bisogno di lei in questo mondo. Mi è necessario ch'ella viva per aiutarmi nella costruzione della sua chiesa.
- Ben volentieri lo farei, ma ormai sono agli ultimi: non c'è più speranza.
- E che cosa farebbe se Maria Ausiliatrice le ottenesse la grazia di guarire?
E il Comm. Cotta, colpito a quella interrogazione, fattagli con volto ilare e sereno: - Se guarisco, disse, prometto di pagare per sei mesi due mila franchi al mese per la chiesa di Valdocco.
- Ebbene io ritorno all'Oratorio e vi farà far tante preghiere a Maria Ausiliatrice, che spero ella otterrà la grazia di guarire. Abbia fiducia. Maria è Virgo potens. - E prima di partire fece sopra l'infermo una preghiera e gli diede la benedizione.
Tre giorni dopo, mentre D. Bosco trovavasi nella sua camera, gli si annunzia la visita di un signore, che viene introdotto. Era il comm. Cotta, il quale gli disse:
- Sono qui: la Madonna mi ha guarito contro l'aspettazione di tutti e con sommo stupore della mia famiglia e dei conoscenti. Ecco i duemila franchi promessi per questo mese.
Poi soddisfece puntualmente alle altre rate della sua promessa, e visse ancora quasi tre anni sano e robusto quanto a quell'età si può essere; e conservò sempre profonda gratitudine alla gran Madre di Dio per quel segnalato favore ottenuto. Veniva sovente a portar elemosine a D. Bosco dicendo:
- Più le porto danaro per le sue opere e più i miei affari vanno bene. Io provo col fatto che il Signore mi dà anche nella vita presente il centuplo di quello che io dono per amor suo.
Notiamo che un simile linguaggio solevano pur tenere il Marchese Fassati e il Barone Bianco di Barbania; del che, insieme con D. Rua ed altri, faceva testimonianza Don Celestino Durando.
La cupola venne adunque innalzata, ed all'esterno circondata da tre ringhiere: la prima alla base, attorno i sedici finestroni che le dànno luce; la seconda sopra il cornicione dopo cui comincia la volta; la terza incoronava la piccola piattaforma in mezzo alla quale era aperto l'occhio circolare, alto dal primo pavimento più di 60 metri. Dal campanile di destra passavasi alla prima ringhiera, e da quello di sinistra alla seconda, la quale fu unita alla terza con una scala di ferro a ridosso della cupola. Sopra doveva ancora alzarsi il cupolino di legno che avrebbe servito di base alla statua della Madonna. Condotti i lavori a questo punto, D. Bosco diramava ai benefattori questa circolare:
 
Benemerito Signore,
 
Con grande piacere ho l'onore di partecipare a V. S. Benemerita che i lavori della chiesa già alla carità di Lei raccomandata sono giunti a buon termine e domenica si spera di poter collocare l'ultimo mattone sulla cupola del sacro edifizio. La pregherei pertanto di volerci onorare di sua presenza in quel giorno, e per sua norma le noto che ciò avrà luogo domenica prossima, 23 corrente, alle 2 ½ pomeridiane. Dopo seguiranno tosto le funzioni religiose colla benedizione del Venerabile per implorare da Dio copia di celesti favori sopra tutti quelli che in qualche modo hanno concorso o vorranno concorrere alla costruzione di questa chiesa.
In questa medesima occasione mi fo dovere di significarle che i pubblici avvenimenti hanno persuaso la dilazione della lotteria posta sotto la sua protezione; ma fra breve sarà convocata la benemerita Commissione nello scopo di fissare il tempo utile allo spaccio dei biglietti di cui rimase ancora un buon numero e quindi venire alla pubblica estrazione dei numeri vincitori. Di ogni cosa per altro ne avrà comunicazione, appena sia deliberato.
I poveri giovani che frequentano gli Oratorii maschili di questa città si uniscono a me per augurarle copiose le benedizioni celesti, mentre a nome di tutti le protesto la più sentita gratitudine e mi professo
Di V. S. Benemerita,
Torino, 21 settembre 1866,
Obbl.mo Servitore
Sac. Bosco GIOVANNI.
 
Solenne fu quella festa per la moltitudine dei giovani e del popolo nel cortile e nei dintorni, e per la banda musicale. Il Marchesino Emanuele Fassati, accompagnato da D. Bosco, saliva a quell'altezza e collocava la pietra che chiudeva l'ultimo anello dei mattoni.
I lavori di costruzione terminarono nel 1866. Il cupolino venne collocato a posto; e questo e la cupola furono ricoperti, di rame stagnato e spalmato di biacca, per guarentirlo da ossidazioni facili per le intemperie.
Nella stessa sera della domenica 23 settembre, D. Bosco compiva una promessa, mettendo la veste clericale ad un giovane nella chiesa di S. Francesco di Sales, presente tutta la Comunità.
Abbiamo narrato come nel 1864, profetando la morte dei giovani Aiacini e Vicini, D. Bosco avesse detto a Domenico Tomatis, loro compagno, che avrebbe mangiato molto pane
con D. Bosco, cioè che sarebbe vissuto lungo tempo e si sarebbe fatto Salesiano.
Una notte Tomatis ebbe un sogno, che ricordò sempre e gli fu di mirabile conforto in ogni penosa circostanza della vita. Gli apparve, luminoso e bellissimo, il già defunto Vicini, che presolo per mano lo condusse sul poggiuolo e gli additò la statua della Madonna sulla cupola della chiesa di Maria Ausiliatrice. Si noti che della chiesa non eravi allora altro che le fondamenta; eppure Tomatis la vedeva, come fu poi, in tutta la maestà della sua mole. E Vicini gli disse: - Vedi lassù? quella è la tua vita! Segui fedelmente i consigli di D. Bosco e poi verrai in Paradiso con me. - Mentre parlava, Tomatis lo fissava in volto e gli pareva di leggere chiaramente nella sua anima quanto gradisse il santo affetto che ancora gli portava.
Giorni dopo, essendosi andato a confessare da D. Bosco, questi gli parlò con frasi equivalenti a quelle dettegli in sogno da Vicini, sicchè ne rimase altamente meravigliato. Altra volta D. Bosco aveva narrato il sogno delle spade che pendevano sul letto di ciaschedun alunno e de' numeri scritti sulla fronte di questi, indicanti gli anni che loro rimanevano di vita. Tutti i giovani erano andati a chiedere a D. Bosco il mistero del presente e dell'avvenire che li riguardava. Anche Tomatis domandò spiegazione della parte sua, vista nel sogno, e quanto tempo dovesse ancor vivere. D. Bosco gli rispose: - Ti potrei dire il tempo preciso, ma non conviene: non affannarti di questo; è ancor lungo il tempo che ti rimane di vita, e ciò ti basti; pensa a farti buono, perchè tu sarai un sacerdote di D. Bosco e dovrai aiutarlo a salvare molte anime. -Questa risposta fu il primo germe della sua vocazione religiosa e sacerdotale, perchè mai per l'addietro egli aveva pensato di abbracciare questo stato.
Continuando alacremente gli studi, in terza ginnasiale ed in rettorica aveva riportato il primo premio; senonchè nel l'avvicinarsi al termine de' suoi studi di latinità era divenuto dubbioso ed aveva messo da parte tutto il passato, e le parole di Vicini in sogno e quelle di D. Bosco. Andato in vacanza a Trinità di Mondovì, sua patria, deliberò di entrare nella Compagnia di Gesù, cui già appartenevano due suoi zii. Si consultò con uno di essi, che gli disse di riflettere bene sul passo che voleva fare; ed egli pensò, pregò, si provvide delle carte necessarie, fece la domanda di ammissione, fu accettato nella Compagnia, e attendeva che arrivasse il giorno già fissato per recarsi a Monaco Principato. Doveva andare con lui un giovane del Cottolengo.
Tomatis venne a Torino, e prima di partire, si recò a far visita a D. Bosco per confessarsi e prendere da lui congedo. Il Servo di Dio lo ascoltò e, dopo l'assoluzione, gli disse:
- Sei già andato a farti prendere la misura della veste clericale?
- Ma no, D. Bosco. Io ho pensato di farmi Gesuita: sono già compiuti per questo fine tutti gli incombenti.
- E tu, ripetè D. Bosco, andrai dal sarto a farti prendere la misura per la veste talare.
- Ma io debbo partire oggi per Monaco.
- Vedi! fa' così, continuò D. Bosco; a giorni si metterà l'ultimo mattone sulla cupola della chiesa e faremo una bella festicciuola. In quel giorno io ti benedirò e imporrò la veste da chierico. Fermati oggi a pranzo con noi, e stassera andrai dal sarto per la misura.
- Ma io debbo partire oggi alle due pomeridiane.
Il Servo di Dio allora, preso un aspetto maestoso, continuò:
- E ti sei dunque dimenticato di quanto abbiamo discorso e di quello che io ti ho detto nei tempi passati? e delle molte anime che, aiutandomi, tu devi salvare?
E gli ripetè di nuovo le parole simili affatto a quelle che gli aveva detto in sogno Vicini, sicchè viva gli si rappresentò alla mente quella a lui carissima figura; e a un tratto la volontà del giovane fu interamente mutata. Si fermò a pranzo, e poco dopo ecco giungere il Padre Porcheddu con premura, essendo tempo di partire.
- Ma io non parto pi√π, gli disse Tomatis.
- E perchè? domandò il Padre.
- Perchè D. Bosco mi ha cambiata la testa.
- E dunque?
- Io rimango con Don Bosco.
- E le carte già spedite?
- M rincresce, ma la cosa è così.
- E che cosa dirò a vostro zio, il P. Tomatis?
- Dica quel che vuole, ma io non mi muovo di qui.
- Se così è, fate come volete! finì con dire il P. Porcheddu e se ne andò.
La sera adunque del 23 settembre Tomatis aveva indossata la veste talare. Da quel punto cessò ogni dubbio sulla sua vocazione, non ostante certe contrarietà e disgusti incontrati. Egli è Salesiano, sacerdote, e missionario in America da trentasette anni. Ed è pur mirabile vedere in lui avverata l'assicurazione di una lunga vita. Egli scampò molte volte mortali pericoli. Nuotando nel golfo di Varazze ed essendo solo, fu strascinato in alto mare da una corrente. Molto lontano dalla spiaggia, stanco, sentendosi mancare le forze, vicino ad annegare, invocò Maria Ausiliatrice e prese una posizione verticale; e i suoi piedi s'incontrarono su l'unica punta di scoglio coperto dalle acque, che si trova in un larghissimo specchio di mare. Così potè riposarsi, riprender lena e ritornare alla spiaggia. Anche nel Chilì dovendo passare un fiume gonfio per abbondanti pioggie, tre gauchos lo avvisarono che non tentasse di guadarlo, perchè certamente sarebbe stato travolto con rischio di perire; ma egli, fidato nella parola di D. Bosco, lo passò, giungendo incolume sull'altra sponda.
Questa narrazione ci fu ripetuta dal caro confratello, ed è una prova di più del dono che aveva D. Bosco di conoscere le vocazioni.
Cogli stessi lumi il Venerabile giudicava chi non era chiamato alla vita sacerdotale o religiosa.
Don Francesco Dalmazzo testificò:
“ Una volta avendo io partecipato a D. Bosco di aver ricevuto una lettera da un mio scolare dell'Oratorio, allora chierico nel Seminario Maggiore di Milano, e come egli fosse partito pel noviziato dei Padri Gesuiti di Epan, il Servo di Dio fece le più alte meraviglie. Soggiungendo io che quella decisione mi pareva naturale, essendo stato il giovane sempre buono benchè vivace, D. Bosco riprese: - Scrivigli da parte di D. Bosco che ti partecipi il giorno del suo ritorno in Milano. - Lo feci, ma non ebbi risposta. Seppi tuttavia che dopo tre mesi aveva lasciato il noviziato per fare ritorno a Milano ”.
Don Pietro Gallo, Salesiano, ci raccontò che nell'inverno del 1866, essendo ancora giovanetto, se ne stava insieme con un compagno mangiando in cortile la pagnotta della colazione. Ed ecco Don Bosco uscire dalla chiesa e attraversare il portico per ritornare in camera. Ambedue andarono a baciargli la mano. Don Bosco si fermò e mettendo la destra sul capo a Gallo, disse: “ Unus assumetur ”; e volgendosi all'altro concluse: “ et alter relinquetur ”. Del primo tutti conoscono lo zelo sacerdotale; il secondo vestì l'abito di clerico, ma lo depose e, ottenuta la laurea in Belle Lettere, fu insegnante in ginnasi governativi.
Dopo la festa del 23 settembre, D. Bosco si recava a Bergamo, ove lo aspettava con vivo desiderio Mons. Speranza. Il 9 settembre 1864 D. Momolo Berzi aveva scritto da Chiuduno al ch. Enrico Bonetti: “ Non v'ha nessuno, io credo, nemmeno in nostra diocesi, che goda tanta stima e tanta autorità sopra il nostro Vescovo, come il piissimo e zelantissimo vostro Don Bosco ”.
Il Servo di Dio prese stanza presso il Conte Medolago col quale aveva stretta amicizia, e predicò gli esercizi spirituali al clero della città e ai giovani del Collegio di S. Alessandro.
“ Don Bosco - scrisse D. Luigi Guanella, Fondatore della Pia Unione dei Servi della Carità, - predicando nel 1866 gli esercizi spirituali ai chierici di Bergamo se ne affezionò così gli animi, che taluno di essi venendo a Como, col racconto di ciò che aveva fatto e detto D. Bosco, entusiasmò i chierici di questo seminario. Io fra gli altri mi sentii accendere da un affetto così vivo verso D. Bosco, che andando poi sempre crescendo, fatto sacerdote, nel 1870 corsi a visitarlo in Torino.
” Seppi anche con certezza che i Superiori dei Seminario di Bergamo ammirarono in D. Bosco la chiarezza e la vivacità con cui parlava su qualsiasi argomento di dottrina sacra e profana ”.
A Bergamo dovea essere allora assai viva la memoria degli esercizii del 1861, se essa dura ancora. Il 5 aprile 1909 Mons. Angelo Cattaneo, Vicario Apostolico dell'Honan Meridionale, da Nau-jang-fou, a proposito di quegli esercizi scriveva a Don Rua:
.....Parlando di Don Bosco mi piace ricordarle, che io ebbi la fortuna e la consolazione (me ne ricordo come se fosse ieri) di fare la mia confessione generale al suddetto Ven. D. Bosco quando nel carnovale del 1861 venne in Seminario di Bergamo invitato dal Rettore, allora rev.mo Carminati, a darci i soliti annuali SS. Esercizii Spirituali. Presentatomi a lui per fargli la mia confessione generale (aveva allora 16 anni) incominciai a leggergli i miei peccatacci, scritti sopra una lunga carta.
Egli mi tirò tutto a sè abbracciandomi teneramente, mi tolse di mano la carta e la pose sul fuoco, abbruciandola. A questo suo improvviso atto, io ne restai mutolo, e confuso senza poter più oltre pronunciare una parola. Ma lui consolandomi mi disse subito: - Te li conterò io i tuoi peccati. - E difatti, con mia grande meraviglia me li narrò a uno per uno, proprio come li aveva scritti io stesso. Può immaginarsi quale fu la mia sorpresa e commozione. Scoppiai in pianto, di vero dolore e consolazione .....
Anche Mons. Abbondio Cavadini, Vescovo di Mangalore nelle Indie, essendo andato nel 1909 a visitare Don Giorgio Tomatis, Direttore dell'Orfanotrofio S. Tommaso di Meliapor (Madras), gli narrò che, essendo chierico nel Seminario di Bergamo, aveva assistito agli esercizi spirituali predicati da D. Bosco. Diceva come mirabile fosse l'efficacia persuasiva della sua parola: come fu costretto (e noi l'abbiamo accennato) a troncare una predica sui novissimi, perchè le lagrime e i singhiozzi lo soffocavano, e che nella predica seguente domandando scusa al suo uditorio per quella involontaria interruzione, espresse tali sentimenti da commuovere i cuori ancor più del giorno prima.
Mons. Speranza, che conosceva quanto valesse il Servo di Dio, volle servirsi di lui per investigare quali dottrine insegnasse un sacerdote bergamasco. Era questi D. Angelo Berzi, professore di Teologia nel Seminario di Brescia, dottissimo uomo, ma non umile, che esponeva ai giovani chierici magnifici pensieri sulla Madonna, sull'Eucarestia, e sulla Chiesa in un modo così attraente che quelli non si sarebbero mai stancati di udirlo. Consigliava loro l'offerta di tutti se stessi al Sacro Cuore di Gesù e li invitava ad andare nelle missioni straniere se fossero chiamati ed anche a farne voto. Ma cominciarono a spargersi anche certe sue proposizioni che non parevano ortodosse, e certe idee quantunque esposte in privato che puzzavano di eresia, e questa finalmente che l'umanità del Verbo fosse ab eterno. Il Vescovo Mons. Gerolamo Verzeri, esaminata la cosa, lo licenziò dal Seminario e insieme con lui scacciò cinque o sei chierici, che si mostravano i suoi più caldi ammiratori. D. Berzi andò a Roma per difendersi, ma riparava sovente a Bergamo.
Per questo Mons. Speranza, impensierito, aveva incaricato D. Bosco di esaminarne la condotta e gli insegnamenti. Non era questo un troppo facile incarico, perchè i novatori in cose di fede sogliono da principio nascondere con parole ambigue le false dottrine; ma D. Bosco, interrogate con prudente perspicacia molte persone che avevano trattato confidenzialmente con lui, si persuase che la sua Teologia fosse infetta degli errori dei Gnostici o per lo meno affine alle loro eresie. Il Servo di Dio aveva colto nel segno, poichè più tardi il povero teologo affermava che per mezzo della S. Comunione si può giungere a tanta santità da divenire impeccabili anche in qualunque più pericolosa occasione e che in questo stato qualunque azione peccaminosa non è più colpa; egli stesso si diceva sicuro di aver raggiunto il culmine di una tale santità.
Il Servo di Dio riferì l'esito delle sue investigazioni a Mons. Speranza aggiungendo che, a suo giudizio, non si doveva più permettere a Don Berzi l'amministrazione del Sacramento della Penitenza. E nel 1881 raccontando egli in Marsiglia a Don Paolo Albera questo fatto della sua vita, attribuiva gli errori di D. Berzi a un principio di indebolimento di cervello; come aveva già detto in Bergamo al Vescovo e in Roma a varii prelati. Nel 1881 il povero sacerdote era ancora vivo e andava ogni anno a Sampierdarena per cercar sollievo alle sue infermità nei bagni di mare. Non poteva più celebrare la S. Messa e non reggeva più a leggere il breviario, che per ore intere teneva aperto in mano.
Sul finir del settembre D. Bosco scriveva ad una sua instancabile benefattrice, la rev. Madre Maddalena Galeffi, Presidente della casa delle Nobili Oblate di Tor de' Specchi. Il numero di quelle religiose era diminuito e la Presidente desiderosa di veder rifiorire la sua Comunità, celebre per molti titoli, aveva chiesto consigli a D. Bosco, il quale così le rispondeva:
 
Benemerita Signora Madre,
 
Ho ricevuto la sua lettera e la limosina che manda (scudi 5) pei nostri poveri ragazzi. Noi tutti la ringraziamo e pregheremo Dio che la ricompensi largamente.Non sia inquieta pel numero delle sue figlie, perchè non è il numero delle persone, ma la carità ed il fervore che fanno la gloria del Signore. Forse prima che termini quest'anno potrà riverirla di presenza e parlarci di quanto accenna nella sua lettera. Non mancherò di fare speciali preghiere per quella famiglia, che ella mi dice immersa nelle tribolazioni. Le ricordi che le spine della vita saranno fiori per l'eternità.
Dio benedica Lei e la sua famiglia e faccia di tutte una casa di sante. Amen.
Raccomando la povera anima mia e quella dei miei ragazzi alla carità delle sante loro preghiere e mi professo con gratitudine
Di V. S. B.,
Torino, 29 settembre 66,
Obbl.mo servitore
Sac. BOSCO GIOVANNI.
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