Costruzione della porteria e della nuova sagrestia - Buzzelli Carlo Capo mastro dell'Oratorio - Largizioni generose di D. Cafasso per le nuove fabbriche e sua ultima visita all'Oratorio - Regolamento della porteria - Progetto di un'obbligazione di 500 lire per la quale un giovinello avrà diritto a stare nell'Oratorio, finchè non sia compiuta la sua istruzione: Circolare: Osservazione di D. Cafasso - Risposta a certi critici - Causa dell'attività di D. Bosco - È proposta a D. Bosco l'accettazione del Collegio di Cavour - il piccolo Seminario di Giaveno a causa della sua decadenza - Il Can. Vogliotti chiede a D. Bosco un prete ed un chierico per Giaveno; Consiglio di D. Cafasso - Disegni del Municipio sul piccolo Seminario e sua offerta a D. Bosco - Il Can. Vogliolli promuove un accordo fra gli interessi della Curia e quelli del Municipio - D. Bosco aderisce condizionatamente alla proposta del Canonico, che vorrebbe affidargli la direzione del piccolo Seminario - D. Bosco scrive al Sindaco di Giaveno - Altra lettera al Can. Vogliotti: si attende una risposta da Giaveno.
del 30 novembre 2006
Don Bosco fin da quando incominciarono a rumoreggiare le prime voci di perquisizione, coraggiosamente si accingeva ad eseguire nuovi disegni.
Il primo fu questo.
Dalla parte della chiesa presso il portone d'entrata vi erano le due scuole per gli esterni e una stanzuccia pel portinaio, come abbiamo già detto. Mancava perciò una conveniente porteria e questa D. Bosco l'aveva fatta costrurre sul finire del 1859. Era di un solo pian terreno, alquanto più grande delle scuole, presso al levante del portone e discosta per alcuni metri dall'antica tettoia appigionata dal Signor Filippi al Sig. Visca. Consisteva in tre vani successivi, cioè in un vestibolo coperto, che dava accesso alla stanza del portinaio, per la quale si entrava in una sala, ove potessero intrattenersi i parenti degli alunni. Tra le scuole e la porteria rimaneva pertanto esposto alle intemperie lo spazio che dal portone metteva nel cortile, per il passaggio dei carri, e D. Bosco decise di coprirlo con una grande volta in mattoni.
Chiamato l'impresario lo pregò di fare una perizia e poi di eseguire il lavoro. Quegli incominciò a far osservare a D. Bosco, come la sola travatura del tetto sarebbe costata, circa 2.000 lire.
- Faccia pure il computo della spesa, replicò D. Bosco. Ciò che è necessario non mancherà.
Presente a questo dialogo era il giovane Buzzetti Carlo, allora semplice muratore, il quale, sdegnato nel vedere come D. Bosco fosse tratto in inganno da chi non guardava che al proprio lucro, aspettò che l'impresario si allontanasse e disse a D. Bosco: - Quel signore, se non mi sbaglio, vuol venir ricco alle spalle di D. Bosco!
- Che cosa dici?
- Dico che due mila lire sono uno sproposito.
- Tu che cosa stimi questo lavoro?
- Io credo che si possa fare con 600, o 700 lire.
- La travatura ?
- No, tutto!
Ebbene do a te 1000 lire se sei capace di eseguire il mio disegno.
- Mille lire sono troppe. Forse cinquecento basteranno.
- Se ti senti di farlo, fallo pure. - Buzzetti accettò. Don Bosco convinto che l'impresario abusava della sua buona fede, decise di congedarlo; ma non subito e pulitamente. Dovendo egli ancor terminare varie riparazioni in casa, gli sospese la recente ordinazione, dicendogli aver bisogno che i suoi muratori non fossero distratti da ciò che era di maggior premura.
Carlo Buzzetti non tardò a prender mano a quel lavoro come aveva promesso e in breve lo condusse a termine.
Le spese di questa costruzione furono sostenute da Don Cafasso, il quale aveva consegnato a D. Bosco una grossa somma, probabilmente per l'acquisto della proprietà Filippi. L'Apologista Cattolico del settembre 1860 affermava quella somma ammontare oltre a 45.000 lire. Di questo dono generoso D. Bosco ne tenne più volte parola con D. Cagliero, aggiungendo come D. Cafasso gli avesse ordinato di non palesare ad alcuno la cosa. Tuttavia egli sovente ripeteva ai suoi giovani, come D. Cafasso fosse un grande benefattore della casa e gli avesse più volte elargite cospicue offerte.
D. Cafasso venne per l'ultima volta nell'Oratorio, per dare uno sguardo ai lavori della porteria, dei quali aveva già precedentemente esaminato il disegno e a portare all'Istituto la sua benedizione, poichè prima d'allora non si vide quasi mai dalla parte di Valdocco.
In questo modo inaugurate e messe in ordine quelle stanze, D. Bosco in apposito quadro fece esporre un regolamento da lui scritto.
 
REGOLAMENTO DEL PARLATORIO.
 
1. Non si permette ai giovani dell'Oratorio di parlare con ogni sorta di persone senza il permesso esplicito dei Superiori o del Curatore. Essi non possono esser chiamati in parlatorio pi√π di due volte al mese, e solamente dalla mezz'ora alle due pom. di tutti i giorni, eccettuati i festivi.
2. Non si permette mai l'uscita particolare, nè coi parenti, nè con altri.
3. Non è permesso ai giovani di ricevere vino o liquori, nè di tener danaro presso di sè; chi riceve danaro deve consegnarlo al Prefetto, che glielo somministrerà qualora ne sia il caso.
4. Così pure essi non possono nè ricevere, nè consegnare cosa alcuna ai parenti, senza che passi per le mani del portinaio.
5. In parlatorio è proibito di fumare e di mangiare qualunque genere di commestibili.
6. Finita l'ora di parlatorio i giovani devono subito essere lasciati in libertà.
7. Ai parenti non è mai permesso introdursi nei dormitori dei giovani.
8. Il sito destinato per parlare ai giovani è solo il parlatorio; quindi non è lecito penetrare nei cortili senza il permesso dei Superiori.
Come Carlo Buzzetti ebbe finito quel suo primo lavoro D. Bosco gli affidò la fabbrica della piccola sagrestia a ponente della Chiesa di S. Francesco, a fianco del presbiterio. Questa con una camera soprapposta era destinata al piccolo clero. Occupava una parte dell'area di un orticello proprietà di D. Bosco, che stendevasi verso la cinta in via della Giardiniera.
Buzzetti in questo stesso anno 1860 terminò la sagrestia, ma ebbe più tardi a provare il morso della calunnia. Venne accusato, presso D. Bosco dall'ingegnere architetto come se fosse uomo di mala fede e cercasse di ingannare D. Bosco nelle provviste. L'ingegnere era un bravo cattolico, caritatevole e membro delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli; ma nello stesso tempo troppo corrivo nel credere ai rapporti de malevoli, invidiosi del bene degli altri, e ostinato nelle sue prevenzioni. D. Bosco però aveva tale stima di Buzzetti, che non volle credere alle attestazioni replicate dell'ingegnere, sìcchè questi si ritirò dal prestare l'opera sua all'Oratorio, sentendosi sempre rispondere: - Conosco Buzzetti: non è capace di far questo. - Buzzetti Carlo sapeva le voci che correvano sul conto suo, ma tacque sempre, perchè in D. Bosco riposava pienamente sicuro.
Infatti mentre si tentava di farlo cacciare dall'Oratorio, il vecchio impresario ne fu allontanato. Buzzetti ebbe il suo posto come capo muratore e di qui incominciò la sua fortuna. D. Bosco gli affidò l'erezione di tutti i suoi edifizii per ben trent'anni, sicchè divenne uno dei primi costruttori ed impresari di fabbriche e chiese in Torino.
Il secondo disegno di D. Bosco fu l'aumento de' suoi alunni specialmente per la formazione del Clero. Per soddisfare ai bisogni, che da ogni parte del Piemonte a lui si esponevano, aspettandone aiuto, D. Bosco risolse di proporre a famiglie agiate e a persone benefiche, che se volessero mandargli giovani già in grado di incominciare i corsi ginnasiali, egli sarebbesi incaricato di far loro percorrere tutti i cinque anni di ginnasio, mediante pagamento anticipato di sole lire 500 per una volta tanto. Nello stesso tempo, perchè la carità avesse doppio stimolo, pensava di promettere che tali somme sarebbero state impiegate in parte pel nuovo edifizio in Valdocco.
Vi era chi lo sconsigliava da tale progetto, come da un genere di contratto rovinoso; e tra gli altri D. Cafasso, il quale però udite le sue ragioni, e come quell'idea avesse fondamento di essere stata benedetta da Dio, diceva: - È inutile; vuol fare a modo suo; eppure bisogna lasciarlo fare, chè, anche quando un progetto sarebbe da sconsigliarsi, a D. Bosco riesce.
D. Bosco adunque preparò una circolare, nella quale estese la proposta di quel favore, anche alla classe di quei giovani che desideravano imparare un arte od un mestiere; e qualche mese dopo la pubblicò e la spedì in molte città e paesi.
 
Illustrissimo Signore,
 
Il vivo desiderio di provvedere al bisogno morale ognor crescente della giovent√π, il gran numero di giovanetti, che dimandano di essere accolti in questa casa detta Oratorio di S. Francesco di Sales, rendono doloroso il rifiuto che ogni giorno devesi dare a poveri ragazzi, che, abbandonati a se stessi, fanno temere di loro un tristo avvenire.
L'attuale edifizio, specialmente da che sono stati stabiliti i laboratorii nell'interno della casa, non comportando aumento di numero, nè avendosi mezzi per ampliarlo, ho divisato un progetto che credo poter tornare a V. S. di gradimento e nel tempo stesso utile a radunare i mezzi necessarii per un locale atto ad accogliere un numero di giovani assai maggiore del presente.
Tratterebbesi di fare un certo numero di azioni di Fr. 500 pagabili come segue: cioè nel corso dei prossimi mesi di
Agosto e settembre . . . . . .      . Fr. 200
In gennaio 1861, altri . . . . .       . ” 200
In luglio stesso anno 1861 . .  . . . ” 100    
                                                         500
 
Ogni azionista però acquisterebbe il diritto di mandare in questa casa quel giovanetto che giudicherà destinare allo studio o ad un'arte, secondo le attitudini e le propensioni dell'individuo. (Si vedano le condizioni più sotto).
In questo modo V. S. concorrerebbe a due opere di carità: ad ingrandire una casa destinata a dare ricetto a poveri ragazzi; ed a beneficare un giovanetto, che Ella stimasse degno di tal favore. Di che, oltre di esserne compensata dinanzi a Dio, avrà eziandio in questa casa chi benedirà la benefica di Lei mano, da cui esso fu tolto dai pericoli ed avviato per la strada che conduce al bene.
Se tal mio divisamento tornerà a Lei gradito, e stimerà di prendervi parte, gliene professo fin d'ora la più sentita gratitudine, e La pregherei a volermelo partecipare entro quel breve termine che potrà per mia norma. Le fo pure umile preghiera di comunicare il tenore della presente lettera a quelle persone che Ella ravvisasse propense a prendere parte a quest'opera di pubblica beneficenza.
In caso contrario La prego solo a voler dare benigno compatimento al disturbo che Le ho recato e gradire che Le auguri ogni bene dal Cielo, mentre con pienezza di stima mi professo.
Di V. S.
Torino, li…….. di…………. 1860.
Obblig.mo Servitore
Sac. Bosco GIOVANNI.
 
CONDIZIONI PEL GIOVANETTO CHE CIASCUN AZIONISTA POTREBBE INVIARE ALLA CASA DETTA ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES.
 
Sebbene le condizioni di accettazione in questa casa per via ordinaria siano assai diverse, tuttavia nel caso presente si riducono a quanto segue:
Il giovinetto può destinarsi allo studio o ad un'arte meccanica.
1° Se è per un'arte o mestiere si richiede che sia sano, robusto, abbia dodici anni compiuti, e non ecceda i diciotto. La casa si obbliga di provvederlo di alloggio, vitto, istruzione morale e religiosa, finchè abbia terminato l'apprendisaggio della professione che vorrà intraprendere fra quelle che si esercitano nell'istituto.
2° Se per lo studio, richiedesi che abbia fatto le scuole elementari, e possa presentare un certificato di buona condotta morale. - Sia sano ed esente da esteriore deformità. La casa lo provvederà di alloggio, vitto, scuola pel corso classico di latinità; cioè dal primo anno di grammatica latina inclusivamente fino alla filosofia esclusivamente.
3° In ambedue i casi il giovine dovrà uniformarsi agli apprestamenti di tavola, alla disciplina, all'istruzione, ed alle professioni compatibili col piano di regolamento in questa casa praticato.
 
 
FORMOLA DI OBBLIGAZIONE
Io sottoscritto dimorante                      casa           via                   N°.
Per concorrere all'ampliazione della casa detta ORATORIO DI SAN FRANCESCO DI SALES in Torino regione Valdocco mi obbligo di azioni N°.      di cui due quinti pagherò nel prossimo bimestre di agosto e settembre anno corrente 1860.
Due quinti in gennaio 1861.
Un quinto in luglio dello stesso anno 1861.
Intendo di acquistare il diritto di inviare alla detta casa un giovinetto nel tempo, che mi sembrerà opportuno, secondo le condizioni espresse per l'accettazione.
Dato il giorno del mese di 1860.
Firma dell'Azionista
 
N. B. I sottoscrittori sono pregati di segnare la presente scheda e mandarla al Sac. BOSCO Giovanni - Torino.
Molti furono coloro che risposero a questo appello. Abbiamo ancora le sottoscrizioni seguenti di adesione ed obblazione colla data del 1860 e 1861.
Maria Sophie Vibert de la Pierre.- Giovanni Arcivescovo di Saluzzo. - Conte Pietro Giov. Gloria. - Conte Aleramo Bosco di Ruffino. - Rev. Can. Camillo Peletta elemosiniere del Re. - Can. Celestino Fissore Vicario Generale. - Can. Giuseppe Ortalda. - Giorgio Oreglia Canonico Prevosto di Fossano. - D. Ajachini Antonio Giulio Rettore Parroco di Santa Maria della Sanità degli Orti di Alessandria.
D. Bosco aveva ideate quelle obbligazioni di 500 lire, eziandio per creare uno stato di cose che rendesse quasi impossibile la chiusura del suo Ospizio. Il diritto di terze persone, era persuaso che avrebbe fatto, esitare i suoi avversarii nell'esecuzione del loro progetto.
Ma queste ed altre sue imprese, delle quali parleremo, erano biasimate da certi uni che si credevano uomini prudenti. Un Teologo insigne, dotto e pio, soleva però dir loro, come asserì D. Turchi: - È facile criticare, ma intanto noi non siamo capaci di fare la centesima parte di quello che fa lui senza mezzi assicurati. D. Bosco è un uomo straordinario, quindi non va giudicato alla stregua comune.
D. Bosco stesso rispondeva poi tante volte a voce o per lettera ad alcuni che lo rimproveravano della sua intraprendenza: - Quando io sappia che il demonio cesserà dall'insidiare le anime, io pure cesserò dal cercare nuovi mezzi per salvarle da' suoi inganni e dalle sue insidie.-
Il terzo disegno era dei più arditi per quei tempi, cioè di estendere fuori di Torino la sua incipiente Congregazione, e di affidarle qualche collegio di giovani studenti. La divina Provvidenza guidava gli avvenimenti e il Municipio di Cavour gli offeriva la direzione del suo antico Collegio Civico, chiuso da qualche tempo e che volevasi riaprire.
Quasi nello stesso tempo il Signor Canonico Celestino Fissore, Vicario Generale e che fu poi Arcivescovo di Vercelli, gli aveva fatto sentire il suo vivo desiderio che egli pensasse al piccolo Seminario di Giaveno.
Questo Seminario fondato poco dopo il Concilio di Trento e a norma de' suoi savi decreti, era stato per quasi tre secoli il vivaio del Clero primieramente dell'Abbazia di San Michele della Chiusa, cui apparteneva, poi dell'Archidiocesi di Torino, alla quale al principio del secolo XIX veniva incorporato. Qui erano state fiorenti per lungo tempo le classi di tutto il ginnasio, le uniche allora in diocesi destinate a promuovere le vocazioni. In questi ultimi anni però erano scemati talmente gli allievi che il Seminario stava per essere chiuso ed ingoiato dal Governo.
Il Ch. Anfossi, andato a visitarlo nel 1859, fu meravigliato per il silenzio che vi regnava e gli fu detto che non vi si contavano più di venti allievi circa; gli studi erano trascurati ed il Vice Rettore ed economo, solamente per le cose interne, D. Pogolotto Teol. Alessandro, aveva stanza in una palazzina attigua. Il vero Rettore, rappresentante la Curia e che aveva piena autorità, era il Prevosto Canonico della insigne Collegiata di S. Lorenzo. A lui apparteneva l'accettazione degli alunni, l'alta sorveglianza e l'amministrazione dei beni del Seminario e delle pensioni. I sette professori del ginnasio erano alloggiati in collegio, ma non avevano altro compito fuorchè l'insegnamento; e da un anno non ricevevano lo stipendio, perchè le rendite più non fruttavano le somme necessarie. Due chierici assistenti erano incaricati della vigilanza, disciplina e studio ed uno di essi doveva sostituire quell'insegnante delle classi elementari che per qualche ragione non avesse potuto far scuola. Queste classi erano tre, frequentate dai collegiali e dai giovanetti del paese per i quali erano destinate le sale di una parte dello stesso Seminario. I loro maestri pagati dal Municipio, da lui dipendevano. Il clero di Giaveno poi erasi sempre intromesso nelle cose del Collegio con danno della disciplina, poichè il Vice Rettore aveva le mani legate e doveva piegarsi alle esigenze di quei Signori.
Era questa una delle cause per le quali il Seminario si trovava ridotto a mal partito. Anche la tristezza dei tempi aveva fatta sentire la sua malefica influenza. Il collegio potevasi paragonare ad un Lazzaro quatriduano e si vedeva così scaduto dalla stima delle popolazioni, che nessuno voleva più collocarvi in educazione i proprii figliuoli. Non si aveva nessuna speranza di poter accrescere nell'anno venturo il numero degli allievi.
Questo è il genuino racconto che ci dettò un professore insegnante in quegli anni nel Seminario.
Intanto i superiori ecclesiastici pensavano di chiuderlo per non stipendiare professori che facessero scuola ai banchi. Prima però di mandare ad effetto tale decisione, il Canonico Vogliotti Provicario e Rettore del Seminario metropolitano andò a supplicare D. Bosco, perchè trovasse modo di rialzare quel povero collegio, infondendogli nuova vita. Domandava solamente un prete idoneo come Direttore e un chierico abile nell'assistenza.
D. Bosco chiese tempo a riflettere, essendo in trattative con que' di Cavour; e andò a parlare con D. Cafasso, il quale esitò nel suggerire una risoluzione, perchè forse conosceva certi retroscena, che non erano ignoti a D. Bosco. Quindi gli chiese: - E chi manderete a Giaveno per Direttore? - Non avendo io preti disponibili nell'Oratorio, ho pensato di mandare il tale Sacerdote diocesano, uno de' miei amici, di quelli che nel Seminario di Chieri erano sempre con me. È pio, dotto e di una moralità inappuntabile.
- Non fa per voi! - replicò D. Cafasso, il quale non errava nel giudicare delle persone! È troppo focoso e bisbetico!
Intanto il Municipio prevedendo la dissoluzione di quel Seminario, non aspettava altro, desideroso di prenderne possesso, per insediarvi, meglio le sue scuole comunali, le quali non avevano luogo adattato e decoroso. Era nel suo diritto, come si affermava, qualora venisse a cessare il primo scopo cui era destinato quel locale. La direzione del Seminario informata di tale disegno era in gravi angustie vedendo imminente il pericolo di perdere quel magnifico edifizio.
Ma il sindaco di Giaveno signor Schioppo Giuseppe, aveva mire ancora più vaste e decise oltre l'accomodare le scuole elementari d'istituirvi un collegio o scuole civiche di ginnasio e affidare la direzione a D. Bosco. La proposta venne fatta fin dal maggio e fu da D. Bosco trasmessa alla Curia. Il Can. Vogliotti, il quale cercava di procurare un accomodamento per conciliare il possesso di quell'edifizio ecclesiastico, coi desiderii e le pretensioni del Municipio, mandò chiamare D. Bosco. Espostogli lo stato delle cose, lo consigliò, facendogli da parte sua larghe promesse, di non rifiutare quell'incarico. D. Bosco non oppose difficoltà, trattandosi del bene della diocesi e assicurò il Canonico che qualora le condizioni di convenzione offerte dal Consiglio Comunale di Giaveno fossero state accettabili, avrebbe studiato il modo di secondare i suoi desiderii.
D. Bosco scrisse adunque al sindaco di Giaveno chiedendo che il Municipio formolasse una convenzione, e determinasse il concorso pecuniario, col quale intendeva cooperare allo stabilimento del nuovo convitto-collegio in beneficio del paese. Non aveva però ancor rinunciato al progetto di Cavour.
Il Canonico Vogliotti era impaziente di avere da lui una risposta intorno al risultato di queste pratiche, e D. Bosco gli rispondeva con un foglio dal quale si può intendere il contesto della lettera del Rettore del Seminario di Torino. In questa come in tutte le altre sue lettere D. Bosco perora sempre la causa de' suoi cari figliuoli.
 
Benemerito Signor Rettore,
 
Prima di tutto Le rendo umili ringraziamenti di quanto ha fatto e vedo pronto a fare in favore di questi giovanetti. Riguardo al giovane Ch. Berutto vi fu la sola intelligenza che io avrei tenuto meco Ruffino e che Ella avrebbe fatto la stessa carità assegnando la pensione gratuita al Berutto nel Seminario di Chieri.
Quivi non fu mai in posizione di pagare un soldo perciò l'ho sempre tenuto gratis, e volentieri per la sua grande buona volontà.
Una sua zia se ne occupava e se ne occupa tuttora per vestirlo. Qualora non si potesse assolutamente avere l'intera pensione gratis faccia Ella quel che può, di poi io mi metterò a fare la rogazione per supplire a quel tanto di cui non si può fare a meno.
Attenderò il riscontro da Giaveno prima di legarmi con Cavour. Grazie della pianeta verde che ci fa sperare; noi siamo proprio al verde.
Finora sono fuori carcere. V. S. ed il Vic. Gen. procurino di fare altrettanto.
Con pienezza di stima e di gratitudine me Le offro in quel che posso.
Di V. S. Ill.ma e Benem.
Torino, 5 Giugno 1860.
                                                                                                       Obb.mo Servitore                                                                                                   Sac. GIOVANNI Bosco.
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