Il Governo Italiano riprende le pratiche con Roma per la nomina dei Vescovi alle sedi vacanti. - Incarica della missione il Comm. Michelangelo Tonello. - Motivi di certe deferenze dei Ministri verso Don Bosco. - Partenza di Don Bosco per Firenze: sua povertà. - Si ferma a Genova. - Arriva a Firenze. - Il figlioccio della Marchesa Uguccioni, e due guarigioni. - Il Presidente dei Ministri propone a Don Bosco di aiutare il Comm. Tonello nelle sue trattative pei Vescovi. - Nobile protesta di Don Bosco che accetta imponendo condizioni. - Tonello ricevuto a Roma. - Pro-memoria di Don Bosco per ciò che deve fare in Firenze. - Visite ai diversi Ministeri. - Sussidii promessi e concessi.
del 04 dicembre 2006
Restituiti alle loro Sedi i Prelati espulsi, sarebbe stato intendimento del Governo di lasciare nella massima parte senza Vescovi le diocesi vacanti, per potere facilmente sopprimere quelle che non reputasse necessario conservare. Ma l'urgente consiglio di Napoleone vinse le ritrosie. Egli voleva che per mezzo dei trattati per la nomina dei Vescovi si trovasse modo di venire a rapporti commerciali collo stato pontificio; e si cercasse trarre la Santa Sede a vere concessioni politiche verso il regno d'Italia, in modo di riconoscerlo almeno indirettamente. Perciò il Comm. Saverio Vegezzi fu chiamato a Firenze e sollecitato ad accettare una nuova missione a Roma: ne fu pregato dallo stesso Vittorio Emanuele, ma egli oppose al Re e ai Ministri un deciso rifiuto, allegando motivi di sanità. Allora si commise questo affare al Comm. Michelangelo Tonello, professore di Diritto Canonico e Romano nell'Università Torinese, della quale era stato due volte Rettore. Nato presso Pinerolo sul finire del secolo XVIII ed ottenuta la laurea in leggi, era divenuto in giovane età dottore del Collegio giuridico, e dal 1853 per quattro anni faceva parte del Consiglio di Stato. Per qualche tempo deputato, fu poi eletto senatore. Dalla cattedra, e nei trattati dati a stampa intorno al Diritto Canonico, egli aveva propugnato, ma con grande moderazione di forme, i principii regalisti, tradizionalmente insegnati in Piemonte. Era di animo buono.
Il Tonello il 6 dicembre accettò l'incarico di andare a Roma e di riprendere i trattati. Le istruzioni, ricevute da Ricasoli, Presidente del Consiglio dei Ministri, e da Borgatti, Ministro di Grazia e Giustizia, dicevano: Non dover fare proposte, ma accettare o rifiutare quelle che venissero fatte: per le mense vescovili doversi stare alle leggi promulgate: lo stesso in quanto all'esecuzione di queste, riguardo ai beni degli Ordini religiosi e degli istituti ecclesiastici; il Governo volere il diritto di presentare alla Santa Sede i candidati all'episcopato per tutte le diocesi del regno.
La grand'anima di Pio IX studiava il modo di provvedere di Vescovi le sedi vacanti in Italia, ma non aveva mostrato desiderio di queste trattative, poichè potevano nascondere un tranello e finire come quelle iniziate per mezzo dei Comm. Vegezzi. Non continuavasi infatti ad offendere atrocemente la chiesa, ne' suoi Vescovi, nei suoi religiosi, nei suoi beni temporali, nei suoi diritti e nelle sue leggi? D'altra parte non era stato ufficialmente avvertito e non si voleva che lo fosse.
Bisognava perciò che il Governo trovasse un intermediario ufficioso tra Sua Santità e l'incaricato dal Ministero, e Don Bosco fu giudicato acconcio a tale ufficio. Non si era perduta la memoria delle indicazioni e degli avvisi da lui dati al Ministro Lanza nell'anno antecedente, e si conosceva quanto fosse stimato in Roma e amato dal Pontefice.
Sapevasi che Don Bosco era sempre pel Papa e tutto pel Papa, ed anche si era persuasi non essere egli uomo di opposizione sistematica o di partito, ma un uomo che se condannava i principi che informavano certe leggi, di altre ne lodava lo scopo se questo era lodevole, sebbene non ne omettesse all'uopo, sempre senza acrimonia, le debite riserve.
In vero con le persone, chiunque fossero, amiche o avversarie, D. Bosco dimostravasi a parole e a fatti rispettoso, servizievole, deferente nei giusti limiti, con tattica efficace ed illuminata. Anche allorquando doveva infliggere un biasimo a chi lo meritava, sapeva temperarlo con qualche lode, praticando la regola dei santi: Entrare colla loro per uscire colla nostra. Entrare colla loro, cioè riconoscendo i pregi che li adornano, perchè ciò apre il varco per uscire colla nostra, rivendicando i diritti della Fede e della giustizia. I suoi modi leali e affabili ispiravano adunque fiducia.
Di queste intenzioni egli dovette essere avvisato confidenzialmente, ed a sua volta non potè mancare d'informarne il Santo Padre. Quindi, senza fretta, aspettando un invito di Ricasoli, si decise ad andare a Firenze, dove aveva da sbrigare anche molti affari.
Nell'atto della partenza si trovò in tanta povertà di abiti che (eravamo noi presenti) uno dei Salesiani dovette prestargli il cappello, un altro il corpetto ed un terzo la sottana. Partì solo.
Il 7 dicembre Padre Giulio Metti scriveva all'Oratorio che Don Bosco non era ancor giunto a Firenze, e il 12 il Padre Giustino Campolmi gl'inviava da Firenze l'ultimo residuo di lire 4580,68, raccolte in quella città per contribuire all'edificazione della Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice. Sulla nota egli oblatori figuravano i nomi più illustri dell'aristocrazia fiorentina.
Nel frattempo Don Bosco aveva protratto la sua dimora in Genova, come consta da una lettera del dottore in medicina Luigi Lemoyne, il quale ci scrisse che Don Bosco per ben due volte si recò in sua casa e vi si fermò qualche tempo, per fortuna e consolazione della famiglia.
Ma il 12 dicembre D. Bosco era a Firenze e recavasi a dare la sua benedizione ad un figlio sordo della signora Luisa Casaglia Fedi, amica delle Marchese Uguccioni e Nerli, che abitava in Piazza Pitti, N. 15. Ciò ricavasi da una lettera della signora a Don Bosco.
Sono queste le notizie che abbiamo del suo viaggio da Torino e del suo arrivo a Firenze, ove fu ospitato nuovamente nell'Episcopio dall'Arcivescovo Mons. Gioachino Limberti, suo ammiratore. Questo Prelato amava intrattenersi col Servo di Dio sulle calamità che affligevano la Chiesa. Una sera gli domandò se gli Italiani entrerebbero in Roma.
- Si, ci andranno; - rispose risoluto Don Bosco.
L'Arcivescovo non poteva rassegnarsi a credere una tal cosa e cercava molte ragioni in contrario, ma Don Bosco ripetè la sua affermazione. Il Padre Metti era presente.
Intanto il Ministro Ricasoli avendo saputo del suo arrivo, mandò a invitare il Venerabile a recarsi presso di lui.
Di quel che trattarono i due personaggi e di quanto accadde in seguito ne ascoltammo noi stessi il racconto da Don Bosco medesimo, quando ritornato a Torino ne dava relazione confidenziale al Canonico Stanislao Gazzelli di Rossana, del Capitolo Metropolitano.
Don Bosco andò dunque al palazzo Pitti, ove il Ministro aspettavalo. Appena annunziato, Ricasoli gli mosse incontro premurosamente, ma il Venerabile, fermatosi in mezzo alla sala, prima di sedersi, dichiarò:
- Eccellenza! Sappia che Don Bosco è prete all'altare, prete in confessionale, prete in mezzo ai suoi giovani, e come è prete in Torino, così è prete a Firenze, prete nella casa del povero, prete nel palazzo del Re e dei Ministri!
Ricasoli cortesemente gli rispose, che stesse tranquillo, poichè nessuno pensava di fargli proposte che fossero contrarie alle sue convinzioni. Ciò detto, ambidue sedettero e si entrò in argomento.
Don Bosco non ricusò, per fare del bene, di cooperare alla buona riuscita della Missione Tonello, in quel modo che a persona privata si conveniva, scrivendo o parlando a personaggi eminenti che avevano per lui deferenza. Ma prese anche a dimostrare come il Governo, in ossequio alla Convenzione Italo-Franca, avesse interesse a non opporsi in modo alcuno alle nomine che farebbe il Papa, perchè altrimenti era lo stesso che dichiarare la Convenzione un trattato illusorio, e l'opposizione un atto di ostilità.
Il Ministro ne convenne e mentre si mostrava premuroso di entrare nelle viste di Don Bosco, fu chiamato ove il Re stesso in persona presiedeva per questo affare il Consiglio dei Ministri. Don Bosco rimase solo in quella sala per lunga ora.
Finalmente Ricasoli tornò e, con quelle gentilezze di modi delle quali sa bene usare un diplomatico, fece intendere a Don Bosco come il Consiglio de' Ministri nulla avesse in contrario all'elezione dei Vescovi, ma che era però conveniente trattar prima colla S. Sede della circoscrizione delle Diocesi, incorporando a poco a poco e in forme da prestabilirsi alcune più piccole alle più grandi; come a dire abolendo i Vescovadi di poca importanza.
Don Bosco rispose che neppure indirettamente non avrebbe mai preso impegno di trattare con una simile condizione; perchè egli non poteva in nessun modo essere incaricato di fare proposte al Capo della Chiesa; e che non toccava a lui dar consigli al Santo Padre; e li consigliava a desistere da tale deliberazione. Nell'interesse spirituale delle popolazioni esser egli pronto a presentarsi al Papa, ma non era cosa onorevole pel Governo intromettersi in questioni che farebbero vedere a tutto il mondo come non si tenessero in nessun conto ne lo Statuto, nè i trattati, nè le leggi, nè la giurisdizione dei Pontefici. Se i Ministri la intendessero diversamente, essere egli costretto a non accettare quel fiducioso ed onorevole incarico, e invece di andare a Roma sarebbe tornato e rimasto a Torino.
Ricasoli lo pregò di attendere per qualche istante; ritornò in Consiglio, e si deliberò di non pensare per allora all'abolizione di nessun Vescovato: ma di limitarsi ad aprire le pratiche per le diocesi vacanti. Infine il Ministro raccomandò a Don Bosco che andando a Roma si mettesse in relazione con Tonello, e lo appoggiasse per quanto poteva. Il Venerabile, udita la risposta, ne fu soddisfatto e si dispose ad occuparsene per eliminare qualche difficoltà che potesse insorgere.
Non era facile l'incarico che Don Bosco aveva accettato, ma si ebbe tosto una prova che una tale missione venivagli affidata da Dio, o se non altro tornava di suo pieno gradimento. Scrivo di un fatto meraviglioso accaduto in que' giorni a Firenze e del quale v'ha testimonianza giurata nel Processo Ordinario per la Causa dì Beatificazione del Venerabile.
La Marchesa Gerolama Uguccioni Gherardi portava uno sviscerato affetto ad un suo figlioccio, che fu preso d'improvviso da malore così grave da essere ridotto in fin di vita. Si corse subito a cercar Don Bosco per la città. Egli s'era recato a visitare il collegio de' Somaschi e, mentre passava da una sala all'altra circondato dai Superiori, ecco giungere la Marchesa in persona, in vesti semplici, scarmigliata, senza nulla in testa, piangendo e gridando che il suo figlioccio era morto e che Don Bosco accorresse a farlo rivivere. Quei reverendi Padri stupirono nel vederla in quello stato e pensarono che fosse divenuta pazza; ma la buona signora continuava a pregare D. Bosco, perchè andasse con lei. Don Bosco acconsentì: e avvicinatosi al letto vide quel bimbo di ancor tenera età, immobile, pallidissimo, cogli occhi vitrei, col viso contratto, che non dava più segni di vita. A detta di tutti era spirato. Tosto, dietro invito del Venerabile, da quanti erano nella stanza s'innalzò una preghiera a Maria Ausiliatrice, e il Servo di Dio diede la benedizione a quel corpicciuolo. Non aveva ancor terminata la formola che il mortino die' come in un sbadiglio, incominciò a respirare, si scosse, riacquistò l'uso dei sensi, e si volse alla madre sorridendo; e in breve si riebbe.
Fu questa la cagione per cui la piissima Marchesa divenne così insigne benefattrice delle opere di Don Bosco da essere chiamata dai Salesiani la nostra buona mamma di Firenze; e, quando il Servo di Dio passava per questa città, lo voleva sempre ospite in casa sua, dandogli mille segni di stima e di rispetto. Per questo fatto ella e il Marchese suo marito conservarono fino alla morte una vivissima riconoscenza a Don Bosco, quale appare da centinaia di lettere scritte dalla Marchesa al Venerabile.
Don Gioachino Berto, che più volte accompagnò Don Bosco a Firenze, fa la seguente testimonianza: “ Nel 1873 domandai al Servo di Dio la ragione per cui la sullodata Marchesa e sua famiglia usassero tanta deferenza verso la sua persona, prendessero tanto a cuore l'incremento delle Opere Salesiane, e si adoperassero costantemente a vantaggio dell'Oratorio, ed egli mi raccontò confidenzialmente il fatto del figlioccio della Marchesa. Essa stessa più volte dissemi: - Don Bosco io lo credo proprio un santo ”.
La Marchesa non potè mai dimenticare il fatto del figlioccio da Don Bosco risuscitato, e lo narrava più volte con asseveranza assoluta, anche a Don Faustino Confortola dopo il 1881, col quale fu in grande confidenza.
Nel 1887, quando Don Bosco fu per l'ultima volta a Firenze, mentre era a pranzo in Casa Uguccioni, la Marchesa prese di nuovo a ricordare minutamente ai commensali il fatto del suo figlioccio risuscitato. Don Bosco aveva abbassata la fronte e arrossendo taceva. D. Carlo Viglietti, presente, ci diede questa memoria.
Noi stessi, a meglio comprovare questo fatto prodigioso, ne interrogammo Don Bosco negli ultimi suoi anni, e ne avemmo da lui piena conferma con tutte le particolarità sopra descritte; però conchiudendo il suo racconto, dopo una breve pausa, con una espressione di profonda umiltà aggiunse: “ Forse non era morto! ” Non potevamo pretendere una conferma più esplicita.
In que' giorni accaddero altri fatti che tornarono a gloria di Maria Ausiliatrice e de' quali fu testimonio un collaboratore del periodico la Vera Buona Novella di Firenze.
“ Il primo riguarda ad una signora di Milano che da cinque mesi si andava consumando da una polmonite congiunta ad una totale prostrazione dell'economia vitale.
” Passando da queste parti il sacerdote Bosco venne da esso consigliata a fare ricorso a Maria Ausiliatrice, mercè una novena di preghiere ad onore di lei, con promessa di qualche oblazione per continuare i lavori della chiesa, che appunto sotto il titolo di Maria Aiuto dei Cristiani si va innalzando in Torino. Questa oblazione per altro era soltanto da farsi a grazia ottenuta.
” Maraviglia a dirsi! In quel giorno stesso l'inferma potè ripigliare le sue ordinarie e gravi occupazioni, accomodarsi a qualsiasi genere di cibi, andare a passeggio, entrare e uscire da casa liberamente, come se non fosse mai stata ammalata. Quando poi si terminava la novena, ella trovavasi nello stato di florida sanità, quale non si ricordava mai aver in addietro goduta.
” Un'altra signora da tre anni pativa un male di palpitazione, con molti incommodi che a questo male vanno congiunti. Ma la venuta di qualche febbre e di una specie di idropisía l'aveva resa immobile in letto. Il suo male era giunto a tal segno, che quando il mentovato sacerdote le dava la benedizione, il marito di lei dovette alzarle la mano, affinchè potesse fare il segno della santa croce. Fu parimenti raccomandata una novena ad onore di Gesù Sacramentato e di Maria Ausiliatrice, con promessa di qualche oblazione per il sopra citato sacro edifizio, ma a grazia compiuta. Nel giorno stesso, in cui terminavasi la novena, la inferma era libera da ogni male, e potè ella medesima compilare la narrazione del suo male, in cui leggo quanto segue:
” Maria Ausiliatrice mi ha fatto guarire da una malattia, per cui ”reputavasi inutile ogni ritrovato dell'arte. Oggi, ultimo giorno della ”novena, io sono libera da ogni male, e vado a mensa colla mia ”famiglia, cosa che da tre anni non aveva più potuto fare. Finchè ”vivrò, non cesserò di magnificare la potenza e la bontà dell'Augusta ”Regina del Cielo, e mi adopererò per promuovere il culto di lei, ”specialmente nella chiesa che si sta costruendo in Torino ”.
Mentre Don Bosco nel nome di Maria benediceva e risanava questi ed altri infermi, il Comm. Tonello, al quale era stato aggiunto come collega l'Avv. Calegaris, arrivava a Roma il 10 dicembre. Protetto e raccomandato dal Cardinale Pietro de Silvestri, aveva preso alloggio in piazza di Spagna, e il giorno 15 era ricevuto in udienza da Pio IX. Il benigno Pontefice gli fece intendere paternamente che non poteva mutare principii, ma che accoglierebbe quei modi che rendessero possibile una tolleranza di fatti nelle reciproche relazioni: e l'incaricato usciva dall'udienza con un grande amore alla Santa Sede. Il 21 si presentava al Cardinale Antonelli.
Don Bosco intanto affrettavasi a sbrigare gli affari suoi particolari. Tutte le volte che andava in qualche città egli pensava a ciò che avrebbe potuto giovare ai suoi giovanetti; e procuravasi l'indirizzo di coloro coi quali voleva trattare e di ogni cosa facevasi una memoria o minuta per iscritto, che poi rileggeva e seguiva fedelmente. A questo modo nulla lasciava al caso, di nulla dimenticavasi ed è così che conduceva a termine i suoi progetti. Abbiamo ancora il promemoria autografo che tracciò per quest'andata a Firenze. La prima parte riguarda domande al Governo di sussidii, favori e decorazioni; nella seconda vi sono appunti di visita a qualche istituto o convento, l'indirizzo di famiglie dalle quali accettò inviti, e il giorno fissato per queste visite. Noi ricopiamo le sue note fedelmente, rilevando la bontà del suo cuore per la visita fatta alla madre del defunto Ernesto Saccardi, che aveva condotto con sè a Torino nel primo viaggio fatto a Firenze.
 
COSE DA FARSI A FIRENZE.
 
Al ministero interni per ragazzi ricoverati Sott. March. del Carretto.
Al ministero dello finanze. Si parli col cav. Cuttica per le imposte di Mirabello.
Id. dei lavori pubblici, al sig. Chiala, al cav. Gautier, al comm. Bertina.
Id. grazia e giustizia per gli Oratori, Conte Cravosio, ecc.
Decorazioni al sig. Barucchi, al sig. D. Vincenzo Minella.
Sussidio per la Chiesa.
Colla Società del patrocinio dei discoli.
Visita alla marchesa Gerini e famiglia, ecc.
Giovedì o venerdì prossimo dalle 11 alle 12 Saccardi.
Mercoledì e Giovedì dalle 7 alle 9 sera Genta.
Martedì pranzo dal conto Bardi: 6 ore casa sua via Benci, N. 3.
Mercoledì messa alla Crocetta (Domenicani) alle 7 ½
Presso la signora Bonamici, via Ginori 15-1 Venerdì. Alle 4 pom.
Alle 6 casa Conte Gondi. S. Firenze casa propria.
Sabato alle 12¬Ω pranzo dai Fate Bene Fratelli all'Ospedale Borgo Ognissanti.
Ridolfa Ficciati Ved. Nencini abita Borgo Pinti N. 21.
Emma Maria Brocchi, Borgo Pinti, N. 17
Avv. Landuni Vincenzo, Via Ricasoli N. 55 di faccia alle Belle Arti, casa propria.
Il Venerabile adunque, passando da un Ministero all'altro, si presentò al Ministero dell'Interno per sussidi ai giovani ricoverati ed a quello dei Lavori pubblici per questioni di ferrovie e di tariffe; al Ministero di Grazia e Giustizia e Culti per le spese degli Oratori festivi e a quello delle Finanze per l'esonero di certe tasse. In tutti gli uffizi governativi ebbe gentile accoglienza, con promesse che si sarebbe procurato di appagare i suoi desiderii; mentre gli veniva suggerito di procurarsi que' documenti che fossero necessarii, per unirli alle domande che avrebbe fatte per iscritto. Così fece e qualche settimana dopo ricevette i chiesti sussidi, benchè non troppo rilevanti.
 
REGIO ECONOMATO GENERALE DEI BENEFIZII
ECCLESIASTICI DI TORINO.
 
L'Economo Generale sottoscritto annunzia con premura a V. S. che il Governo di S. M. si è degnato concederle su la Tesoreria di questo Economato Generale la somma di lire 300 per aiutarla a provvedere le cose attinenti al culto negli Oratorii da lei fondati .....
Torino, li 5 gennaio 1867.
L'Economo Generale
FENOGLIO.
 
 
MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI.
COMMISSARIATO GENERALE PEL SINDACATO E SORVEGLIANZA DELLE STRADE FERRATE.
 N. 203.
Firenze, 21 Gennaio 1867.
 
In risposta alla dimanda della S. V. in data 2 corrente, il sottoscritto le partecipa che con decreto ministeriale del 9 corrente fu accordata una straordinaria elargizione di L. 600 all'Oratorio di cui Ella è Direttore.
Il mandato di pagamento fu emesso in di Lei capo sul Capitolo 23 del 1867 col N. 3 e la data del 14 corrente.
Di modo che V. S. recandosi alla Tesoreria di codesta Provincia potrà esigerne l'ammontare.
Il Commissario Generale.
BELLA.
 
MINISTERO DELLE FINANZE.
 
Molto Rev. Signore,
 
Il sig. Segretario generale di questo Ministero ha, sopra mia proposta, preso in considerazione la domanda di V. S. M. R. concedendole una sovvenzione di L. 600 per agevolarle il modo di soddisfare l'imposta sulla ricchezza mobile, di cui venne indebitamente colpita la casa di Mirabello.
Mi duole di non averle potuto ottenere maggior somma essendo molto scarso il fondo destinato a queste sovvenzioni, nè potendosi per le regole di contabilità che governano l'amministrazione dello Stato, disporre di somme incassate a titolo d'imposta.
In questi termini appunto fu scritto alla Prefettura di Torino perchè ne informasse la S. V. M. R. Intanto la ringrazio della buona memoria che mi conserva ed augurandomi più propizia occasione per fare cosa a Lei grata, ho il pregio di ripetermi con sentimenti di vera stima e di particolare considerazione
D. V. S. M. R.
Firenze, 23 gennaio 1867,
Dev.mo Obbl.mo Servo
C. CUTTICA.
 
PREFETTURA DELLA PROVINCIA DI TORINO.
Torino, addì 28 gennaio 1867.
 
Con dispaccio del 21 corrente il Ministero delle finanze partecipa che con decreto dello stesso giorno ha concesso lo straordinario sussidio di L. 600 al Sac. Giovanni Bosco Direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in questa città.
Dalla copia del suddetto dispaccio, che alla presente si unisce, vedrà il prefato sig. Direttore i motivi per cui, malgrado il desiderio che avrebbe avuto il prelodato Ministero di accordare una maggior somma ha dovuto limitarsi alla suddetta di L. 600.
 
Il Prefetto TORRE.
 
Copia d'un dispaccio del Ministro di Finanze: Segretariato generale, Divisione I, N. 2900; diretto al sig. Prefetto di Torino, in data del 21 gennaio 1867, relativamente a sussidio concesso all'Oratorio di S. Francesco di Sales.
“ Volendo, per quanto il consentono le attuali condizioni del pubblico erario, venire in soccorso della Pia Istituzione sotto il titolo di Oratorio di S. Francesco di Sales in codesta città, e tenuto conto delle speciali circostanze poste in rilievo colla istanza accompagnata dalla Nota segnata in margine, questo Ministero con odierna risoluzione ha concesso al Sacerdote Sig. Giovanni Bosco, nella sua qualità di Direttore del suddetto Oratorio, un sussidio straordinario di L. 600.
” Il sottoscritto avrebbe desiderato di aver modo di sovvenire più largamente una così benemerita Istituzione. Senonchè per le vigenti regole di contabilità essendo vietato di distrarre alcuna somma dai fondi che figurano nel bilancio attivo come introiti dello Stato, ed essendo quindi necessario di prelevare il sussidio dal fondo unico stanziato nel Bilancio Passivo per le Spese casuali, quasi tutto oramai esaurito non si potè concedere una somma equivalente a quella pagata dall'Istituto a titolo d'imposta sulla Ricchezza Mobile per non aver fatto valere in tempo utile le ragioni di esenzione che gli poteano competere.
” Nel partecipare quanto sopra al predetto Sacerdote, il sig. Prefetto è pregato di soggiungergli che tra breve si provvederà per la spedizione del Mandato di pagamento del mentovato sussidio sulla Tesoreria Provinciale di Torino.
Il Segretario Generale
firmato: G. FINALI ”.
 
Per copia conforme ad uso amministrativo.
Il Segretario di Prefettura
ALMASIO.
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