"Anche per don Bosco la testimonianza delle lacrime è frequente e toccante. Noi ci domandiamo se si possa parlare, e fino a che punto, di una semplice caratteristica della sua personalità molto sensibile o non piuttosto di vere e proprie esperienze mistiche."
del 07 dicembre 2011
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          La teologia spirituale ha dedicato molte pagine all'analisi e alla riflessione del fenomeno delle lacrime nella vita dei santi. Il pianto, come il riso e tante altre manifestazioni della natura umana, sono un vero linguaggio ed esprimono una loro verità. Indicano cioè un coinvolgimento di tutta la persona in un qualcosa di forte, dentro esperienze particolarmente significative. Nella vita delle persone sante le lacrime sono in genere espressione di compunzione per i propri ed altrui peccati e spesso mettono in evidenza «la divina rugiada dello Spirito» - per dirla con la spiritualità dell'Oriente cristiano -, sono cioè lacrime mistiche, donate a chi ha ricevuto qualcosa della contemplazione della luce inaccessibile di Dio, una sorta di comprensione particolare e profonda dell'amore di Dio, espressione di un cuore che arde totalmente per Lui. Sono dunque il segno di un cammino mistico verso la santità.
Anche per don Bosco la testimonianza delle lacrime è frequente e toccante. Noi ci domandiamo se si possa parlare, e fino a che punto, di una semplice caratteristica della sua personalità molto sensibile o non piuttosto di vere e proprie esperienze mistiche.
 
Animo sensibile.
Due circostanze, tra le altre, ci impressionano del ragazzo Giovanni Bosco e ci rivelano un animo particolarmente sensibile. Sono la commozione e la tristezza prolungata, intorno ai 12 anni, per la morte di un merlo allevato con tanta cura ed improvvisamente straziato e divorato dal gatto; inoltre, quando aveva 15 anni, verso la fine del 1830, il pianto inconsolabile, «con il cuore a pezzi», durato molti giorni, per la morte di don Colosso, tanto che la madre, seriamente preoccupata, lo manda a stare per qualche tempo nell'ambiente sereno della casa dei nonni a Capriglio. Fatto adulto e prete, rimane facile a commuoversi. Nei contrasti e nei grossi dispiaceri la reazione di don Bosco è quella di chiudersi nella sofferenza e dar sfogo alle lacrime, come quando sul prato Filippi piange per l'incertezza e l'abbandono in cui si trova circa il suo futuro; quando è trattato in modo villano da un giovane richiamato per la sua condotta, come testimonia il giovane Brovio, che, sorpreso dal pianto di don Bosco, sente forte in sé l'istinto di correre a vendicarlo; di fronte all'ennesimo tentativo di raggiro, che si sta tramando contro la sua persona e quella dei suoi primi salesiani, nel 1882, come ci descrivono le Memorie Biografiche, durante le incomprensioni ed i contrasti con l'arcivescovo Gastaldi; quando, per ottenere l'approvazione ed i riconoscimenti necessari per la nascente Congregazione salesiana da parte della S. Sede, si intrecciano vorticosamente fatiche, opposizioni, contraddizioni, umiliazioni, ritardi e delusioni. Andando avanti nell'età, man mano che si avvicina alla dipartita per il cielo, don Bosco si fa più sensibile alla commozione ed al pianto. Un temperamento dunque molto sensibile, plasmato poco a poco dalle sofferenze e dalle dure fatiche della vita. Certamente la presenza quasi continua di mamma Margherita, durante la crescita e l'itinerario di maturazione del figlio, con la sua fibra forte ed insieme tenerissima, dà un contributo notevole nel caratterizzare la sua natura ed il suo cuore particolarmente sensibile.
Tuttavia, ci viene anche da costatare che la sua facilità a commuoversi non è dettata da un temperamento romantico, quasi languido, di chi ha sempre paura o si sente un debole e perciò senza altro sbocco che sfogarsi sovente nel pianto. Al contrario, Giovanni - così concordano le biografie - ha assorbito un naturale facilmente accendibile ed insieme poco duttile, quasi duro; un carattere piuttosto serio, di buon osservatore, non troppo prodigo di parole e, nello stesso tempo, con manifestazioni di coraggio, che impressionano, nell'affrontare situazioni complesse e difficoltà e ciò fin da piccolo.
 
Un grande dono di Dio.
Ma nel nostro Santo c'è anche dell'altro. Finora abbiamo rilevato la personalità ricca, con una forte carica umana ed insieme molto sensibile. Non è tuttavia un caso raro incontrare gente così. Don Bosco non è un freddo speculativo, ma nemmeno un sentimentale spargilacrime. È molto intelligente, passionale, volitivo e, soprattutto, un santo. Ciò che impressiona e ci coinvolge maggiormente nel fascino misterioso della sua persona è il vero dono delle lacrime.
Quando la Provvidenza gli viene incontro, talora in modo straordinario ed imprevisto, egli si raccoglie in preghiera, tutto pensoso, e le lacrime sgorgano dai suoi occhi. Piange ora celebrando la S. Messa, ora distribuendo la comunione, ora semplicemente benedicendo il popolo al termine dell'Eucaristia; piange nel parlare ai giovani dopo le orazioni della sera, durante le sue famose 'buonenotti', nel tenere le conferenze ai suoi diretti collaboratori, durante le prediche di chiusura degli Esercizi Spirituali. Il pensiero dell'amore di Dio talora lo commuove fino al pianto; piange accennando al peccato, allo scandalo, alla disgrazia di perdere l'innocenza o considerando l'ingratitudine umana verso l'amore del Signore Ges√π, mosso dal timore circa la salvezza eterna di qualcuno.
Un testimone afferma che durante le baldorie carnevalesche esortava a fare fervorose comunioni ed a sostare in adorazione dinanzi al tabernacolo, per riparare il tanto male che si commetteva; mentre parlava, pensando agli insulti che riceveva Gesù, piangeva ed induceva alla commozione anche i presenti. Il card. Cagliero ci assicura che, mentre don Bosco predicava sull'amore di Dio, sulla dannazione delle anime, sulla passione di Gesù Cristo nel venerdì santo, sulla santissima Eucaristia, sulla buona morte e sulla speranza del paradiso, egli lo vedeva moltissime volte versare lacrime di amore, di dolore, di gioia. Così anche parlando della Vergine santa e della sua immacolatezza. Un altro testimone lo vide prorompere in pianto nel santuario della Consolata, mentre faceva la predica sul giudizio universale, descrivendo la separazione dei reprobi dagli eletti. Commosso fino alle lacrime, mentre parlava della vita eterna, sapeva muovere alla conversione peccatori ostinati, i quali, dopo la predica, lo cercavano per confessarsi. Toccante la testimonianza Medita di don Piccolo: «Quando, nella notte di Natale, cantava la Messa, era totalmente rapito in Dio, cosicché l'unico segno di umanità era il profluvio di lacrime, che gli strappava la tenerezza per il Bambino Gesù». Così dagli inizi dell'Oratorio fino al grande pianto, prolungato ed irrefrenabile, mentre celebrava nella basilica del S. Cuore a Roma, pochi mesi prima della morte: più di 15 volte si sciolse in lacrime, mentre il sacerdote che l'assisteva, si sforzava invano di rincuorarlo: egli rivedeva e comprendeva lo snodarsi del progetto di Dio su tutta la sua vita e su quella dei suoi ragazzi.
Questo grande bisogno di pianto, che contraddistingue e torna tanto sovente nella preghiera e nel ministero sacerdotale di don Bosco, ci spinge a credere che ci troviamo veramente di fronte ad un grande dono di Dio, ad una sorta di fenomeno mistico, con dovizia di particolari, documentato nella storia della spiritualità sia orientale che occidentale.
«Gementes et flentes in hac lacrimarum valle»: così i Medievali avevano felicemente condensato l'intera esistenza cristiana. Pentimento sincero dei peccati; bisogno di conversione; fatica di vivere nell'esilio terreno; nostalgia dell'eternità; desiderio di amare Dio; riconoscenza ed accoglienza dei suoi doni; gioia per la vita di grazia in cui si è immersi. Tutto diventa motivo e sorgente di lacrime ed espressione di tenerezza di un cuore a continuo contatto con la presenza di Dio.
In don Bosco c'è rutto questo, come abbiamo brevemente accennato, e, potremmo aggiungere, anche ulteriormente ampliato dalla passione e dal profondo bisogno della salvezza dei giovani. Egli piange allora anche a loro nome e calandosi nella loro condizione, quasi integrando la loro responsabilità non ancora maturata circa l'importanza della salvezza dell'anima; la loro difficoltà ad accettare la lotta senza quartiere contro il male ed il distacco dal peccato; la loro gioia e la loro riconoscenza ancora poco sviluppate per i doni di Dio, in particolare per il suo amore, che precede, accompagna e salva; la loro determinazione ancora debole di indirizzare bene la vita secondo il progetto di Dio verso «quel pezzo di paradiso che aggiusta tutto».
 
Lacrime di un padre.
Noi postmoderni, fin troppo avvezzi alla critica sofisticata e legati al principio basilare del sospetto di fronte a tutto ciò che non sta nei raccoglitori della scienza e della tecnica, sappiamo e sosteniamo che il dono delle lacrime non è fondamentale per vivere la fede cristiana. Certo, il valore unico e primordiale rimane il comandamento dell'amore e, al tirare le somme, ciò che conta è la fede che opera attraverso la carità. Tuttavia, nella vita di tanti santi, in quella di don Bosco in particolare per ciò che ci riguarda, dobbiamo ammettere che le lacrime manifestano un grande dono di Dio ed esprimono straordinariamente la sincerità e l'intensità della sorgente, da cui sgorgano. Sono il segno della presenza e della vicinanza di Dio, nel giocare tutta la propria esistenza sulla sua causa, cioè sulla costruzione del Regno, soprattutto nel cuore dei giovani.
L'educazione ed il vivere sociale della nostra cultura hanno attivato meccanismi psicologici e di comportamento, che impongono per lo più di frenare l'intensità del coinvolgimento emotivo in nome della propria immagine e dignità.
D'altra parte esiste una corrente sempre pi√π forte, grazie soprattutto ai Media, che insiste sulla liberazione delle energie e sul coinvolgimento del corpo in tutte le sue espressioni, lacrime comprese, anche per la preghiera ed il rapporto religioso.
Le lacrime di don Bosco, al di là dello stupore per la grande carica emotiva del suo cuore e dello straordinario dono mistico che lo impregna, vogliono operare un serio coinvolgimento della nostra vita. Sono i falsi pudori infatti quelli che, troppo spesso, banalizzano nello stereotipo anche le vocazioni e le idealità più grandi.
C'è, in queste lacrime, il richiamo ad un rapporto con Dio meno burocratico ed impiegatizio, giocato sulla passione del figlio più che sull'imperativo categorico dei doveri del servo e c'è inoltre un ardore per la salvezza dei giovani più forte di ogni strategia e tecnica pastorale.
Forse così si darà nuova credibilità al Vangelo, perché torneremo a credere alla santità e saremo in grado di riaccendere la fede dove, per la freddezza di un sistema, è ridotta a fiamma smorta.
 
 
 
Pietro Brocardo
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