Capitolo settimo. FRANCESCO PICCOLLO.

"Questa origine quasi paesana con don Bosco segnò il rapporto che egli ebbe poi per tutta la vita non solo con l'ambiente, ma più ancora con il cuore di don Bosco e la sua missione."

Capitolo settimo. FRANCESCO PICCOLLO.

da Don Bosco

del 07 dicembre 2011

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          Nacque l’8 aprile 1861 a Pecetto Torinese, ridente paese sul colle della Maddalena, che unisce Torino alle terre del Chierese.

Questa origine quasi paesana con don Bosco segnò il rapporto che egli ebbe poi per tutta la vita non solo con l'ambiente, ma più ancora con il cuore di don Bosco e la sua missione.

Fu infatti a Pecetto che don Bosco, ancora diacono, a sostituzione di un sacerdote arrivato in ritardo, aveva improvvisato con successo la predica sulla Madonna del Rosario per la festa patronale del 1841. Il sacerdote che l'aveva aiutato a questo esordio di oratoria pregevole era stato il teologo Cinzano, economo a Castelnuovo d'Asti fino al 1840, poi parroco nello stesso paese fino alla morte, avvenuta nel 1870. Fu sempre un grande benefattore di don Bosco.

Dietro insistenza del Card. Cagliero, don Piccolo scrisse una sessantina di pagine sui suoi Ricordi di don Bosco, conservate nell'Archivio Centrale Salesiano.

Si tratta di pagine inedite intense e profonde relative a don Bosco, qua e là ridondanti ed enfatiche, ma che non guastano, perché indicano il suo grande amore al Santo dei giovani. Ne riporteremo ampi tratti nella loro interezza, seppure con qualche lieve ritocco.

 

Accompagnamento spirituale.

Il giovane Piccollo, che desiderava ardentemente studiare per divenire sacerdote, fu inviato dal suo parroco a Valdocco.

Qui scelse come suo confessore e direttore spirituale don Bosco. Il Santo, nel ragazzo dal temperamento amabile e gioviale, dall'animo limpido come una giornata di primavera e molto intelligente, capì su bito che Dio gli affidava un altro piccolo Domenico Savio. Di qui la predilezione verso questo giovane predestinato e la sua cura particolare nell'aiutarlo a scoprire il progetto di Dio sulla sua vita e a maturare gradualmente in esso. La voce 'accompagnamento spirituale' non ricorre sulle labbra di don Bosco, ma copre l'essenza stessa di don Bosco, del suo metodo educativo, della sua attività di prete educatore e pastore, come sappiamo.

A sua volta il piccolo Francesco non tardò a scoprire in lui il modello di sacerdote e di apostolo che avrebbe voluto diventare e collaborò generosamente con quanto gli veniva suggerito e consigliato.

Sul modo di confessare e di dirigere spiritualmente i suoi penitenti da parte del Santo dei giovani, don Piccolo afferma: «Appena ne ebbi la comodità, scelsi don Bosco per confessore ed era incantato della sua bontà. Egli era breve, semplice, e quelle poche parole che diceva, mentre erano tali da far credere al penitente che egli aveva già dimenticato tutto, andavano invece a colpire dove era necessario e dove richiedeva il bisogno dell'anima». In queste brevi parole è dato cogliere una esatta e puntuale descrizione di come confessava don Bosco e della sua capacità di acquistarsi la confidenza dei giovani.

Non meno intenso, nella sua vita oratoriana, era quanto don Bosco andava dicendo nelle sue buone notti: «Il modo paterno ed efficacissimo con cui don Bosco parlava ai giovani quando dava la buona notte, le sue parlate, specialmente nell'occasione della novena dell'Immacolata, avevano un non so che di paradisiaco: imbalsamavano l'anima». Il Santo lo attirava a sé con una forza irresistibile e gli ripeteva le affettuose parole ben note: «Dobbiamo essere sempre amici», colmandolo così di gioia sempre nuova.

Una sera don Bosco predisse che uno dei giovani sarebbe morto. L'animo sensibile del giovane rimase sconvolto. Andò a confessarsi da don Bosco: «Siccome ero pieno di paura di essere io il destinato a morire, non potei trattenermi di manifestare il mio stato d'angoscia a don Bosco, e singhiozzando mi buttai tra le braccia sue dicendogli: 'Don Bosco, ho paura d'essere io quello che deve morire: me lo dica'». Il Santo lo rassicurò che non si trattava di lui, anzi che avrebbe avuto una lunga vita.

In una singolare buona notte il Santo vede la vocazione futura dei suoi giovani e lascia a loro la libertà di interrogarlo in proposito. Come molti altri anche Francesco, dopo la confessione, domanda quale sarà lo sbocco della sua vita futura. Gli risponde don Bosco: «Tu hai solo due vie: quella del mondo larga, fiorita; se ti metterai per questa via avrai molti onori e ricchezze; tutto andrà bene dinanzi al mondo, ma alla fine della via ho visto il precipizio nel quale dovrai cadere. L'altra via l'ho vista sassosa e stretta, piena di rovi; ma ho pur visto che alla fine terminava in un giardino deliziosissimo: è lo stato religioso. In esso avrai molto da patire. Devi scegliere». Il giovane Piccolo senza la minima esitazione risponde: «In fatto di vocazione mi pare che sia nato figlio di don Bosco e sacerdote». In un successivo incontro don Bosco gli domanda se è sempre fermo nella sua decisione di farsi salesiano. La risposta è decisa. A questo punto il Santo, come se leggesse pagina dopo pagina il suo futuro, gli dice: «lavorerai molto, ma ricordati bene di ciò che ti dico, avrai da soffrire molto, ma molto, molto più di quello che ti puoi immaginare, ma alla fine avrai il Paradiso». Gli ultimi 20 anni di Piccollo saranno realmente un continuo e duro calvario.

Compiuto l'aspirantato e il noviziato, Piccolo si recò a Lanzo Torinese per fare gli Esercizi Spirituali in vista della professione religiosa. Li predicò lo stesso don Bosco e lasciò nell'animo sensibile del giovane una impressione incancellabile: «Egli era sopra ogni dire efficace e pratico e io godeva immensamente a sentirlo e pareva volesse trasfondere il suo cuore nei suoi figli».

Al termine degli Esercizi, il 26 settembre 1877, Piccolo emise i voti triennali. Don Bosco ne fu lieto, ma non troppo. Si aspettava di più. Con i suoi intimi collaboratori aveva affermato: «I voti triennali ci riescono più di danno che di vantaggio». In effetti al termine del triennio non pochi lasciavano la congregazione. Annota don Piccolo: «Don Bosco in cortile mi fece chiamare, e, trattomi in disparte, mi disse: 'Come va che hai fatto la domanda solo per i voti triennali e non per quelli perpetui?' A questa domanda restai confuso e risposi in dialetto: 'sum nen ancalame' (non ho osato); mi pare di non essere abbastanza virtuoso e maturo». Don Bosco gli sorrise, ammirando la sua delicatezza di coscienza. Farà i voti perpetui alla fine del triennio a Randazzo in Sicilia.

Cominciò il suo primo apostolato in Ariccia (Colli Romani). L'anno dopo fece parte del piccolo gruppo di salesiani inviati a fondare l'opera salesiana in Sicilia, ove rimase per quasi 30 anni: prima come insegnante, poi come direttore a Catania - San Filippo (1891-1892) e a San Gregorio (1892-1901). Infine come ispettore dell'ispettoria Sicula (1901-1907).

 

I passi nei passi di don Bosco.

La predilezione del Santo dei giovani, finché visse, verso il chierico e poi verso il sacerdote Francesco Piccolo non solo non venne mai meno, ma si direbbe che aumentò, quando la Sicilia lo teneva lontano da lui.

L'attività svolta nei vari ambiti di vita salesiana ha dello straordinario. Prima di partire per la Sicilia, avendo espresso un certo rincrescimento a don Bosco, perché gli avevano affidato la scuola dei ragazzi più piccoli, il Santo gli disse: «Se i ragazzi saranno piccoli, sarai in compagnia degli angeli, quello però che ti raccomando è di cercare di farli buoni e raccontare loro ogni giorno qualche fatto o della Storia Sacra, o della vita dei Santi, o di Maria Santissima; avrai così prima di tutto il piacere di far volentieri la scuola, terrai più facilmente la disciplina, e poi il Signore ti farà vedere quanto gli è gradito questo sistema di educazione cristiana».

Piccollo non dimenticò più questa raccomandazione di don Bosco e la Madonna gli diede un segno grandioso della sua benevolenza. Un giorno della novena dell'Immacolata, quando faceva scuola a Randazzo, raccontò, come faceva sempre l'ultimo quarto d'ora di scuola, un intervento miracoloso di Maria SS., che si legge nella vita di S. Filippo Neri, e promise di raccontare un episodio ancora più bello il giorno dopo ai giovani impazienti di sentirlo. Poi assicura i suoi alunni che la Madonna li proteggerà sempre se la sanno pregare. «Detta la preghiera ho dato ordine di uscire banco per banco. Gli alunni dovevano andar fuori e messi in fila nel corridoio, aspettare me che doveva accompagnarli fino alla portineria. Usciti gli alunni dell'ultimo banco, anch'io venni fuori, ma non ero a due metri di distanza dalla porta che si vide uno scuotimento di tutto il fabbricato e si fece sentire uno scroscio orrendo da sembrare un terremoto. I giovani, esterrefatti per lo spavento da cui erano invasi, emisero un urlo da non dirsi, ed io, avvicinatomi alla porta della mia classe, vidi che la scuola non esisteva più: il pavimento si era inabissato». Il prodigio non fu più dimenticato.

A don Piccolo, alla sua abilità e infaticabile zelo dovette moltissimo l'oratorio di S. Filippo Neri. Don Bosco che, pure da lontano, seguiva con vivo interesse quanto facevano i suoi figli nell'isola del sole, era particolarmente informato sull'attività oratoriana del suo figlio prediletto. Si direbbe che, per un fenomeno di chiaroveggenza, vedesse i giovani oratoriani così da conoscerli direttamente. «Una volta mi disse: conosco i tuoi giovani. We ne sono 100 e più che passano un anno e più anni, senza commettere gravi colpe». Era solito dite che l'oratorio di S. Filippo Neri «era il primo della Congregazione, dopo quello di Torino». Due espedienti lo riempivano di consolazione: l'amore e la devozione a S. Domenico Savio e che i «giovani erano veramente buoni». «Dichiaro nel modo più assoluto - afferma don Piccolo - che l'ultima volta che ho conversato con don Bosco, con mia meraviglia mi disse i nomi dei principali giovani dell'oratorio e parlava di loro come se li avesse sempre visti».

Don Piccolo nelle sue pagine ci ha lasciato un breve ritratto di don Bosco di cui qui segnaleremo solo questi tre tratti:

La purezza del Santo: «La sua persona mi fu ed è tuttora presente circonfusa di una purità verginale assoluta: lo splendore di questa sua virtù traspariva da ogni suo gesto, da ogni sua parola. Era un angelo in carne: se parlava, ne cantava le bellezze come non sanno fare gli uomini; se guardava era di una modestia tale, che noi abbiamo potuto vedere a stento quelle meravigliose pupille, tutto fuoco per l'amor di Dio di cui era pervaso. Se talvolta nel parlare la sera o nel predicare fuori del solito era animato da zelo e forza tale da far tremare, ciò accadeva molto raramente quando inveiva contro lo scandalo».

Preghiera: «La seconda impressione è che egli pregasse sempre; e la sua unione con Dio fosse continua. Era talmente pervaso di questo santo amore, che chi l'avvicinava sperimentava subito la presenza d'un Serafino». Sapeva elevarsi a Dio «senza essere noioso, pesante, ma d'una naturalezza incredibile».

Dottore della pedagogia cristiana: Una terza impressione fu che egli «abbia avuto una missione specialissima nella Chiesa: quella di essere l'Apostolo della gioventù e il dottore della pedagogia cristiana». La pedagogia di don Bosco è talmente impregnata di divino, che dalla sua pratica «il Divin Salvatore è sicuro di vedere trattata con carità e dolcezza la pupilla dei suoi occhi, la gioventù che gli è tanto cara Come Dottore applicò il sistema della dolcezza nella educazione e tracciò vie nuove nel mirabile opuscolo intitolato Del sistema preventivo».

Tutta la giovent√π della terra.

Verso il termine della sua relazione egli fa ancora questa calda raccomandazione sulla straordinaria paternità di don Bosco: «Egli era sostanzialmente ed assolutamente padre della gioventù un dono tutto speciale, perché pare che il Padre celeste abbia voluto circondarlo di un riverbero della sua Paternità divina e dargli un cuore capace di abbracciare nei moti della sua carità tutta la gioventù della terra».

Egli esorta pertanto ogni salesiano a non trascurare questi tre capisaldi del suo genio di sacerdote educatore e pastore della giovent√π:

«Don Bosco non era mai indifferente davanti ad un qualsiasi ragno. Se avesse avuto un Re o un Papa al fondo del cortile; ed egli fosse stato in cammino per andarli ad ossequiare, incontrando per via un giovane, non perché un personaggio tanto autorevole lo attendeva, avrebbe sollecitato il passo, privando di una buona parola o di un sorriso quel giovanetto. Il salesiano - annotava ancora - quando ne ha occasione, deve nulla tralasciare per qualunque ragazzo, ma deve studiare i modi migliori per fargli del bene e guadagnarlo a Cristo».

«Don Bosco nel fanciullo che aveva davanti, non vedeva il ragazzo presente, ma l'uomo del domani; quindi in lui nulla si notò che potesse lasciare un'impressione poco favorevole in seguito». Nel trattatello sul Sistema Preventivo guardava lontano quando scriveva «si è osservato che i giovanetti non dimenticano i castighi subiti, e per lo più conservano amarezza con desiderio di scuoterne il giogo ed anche di farne vendetta».

«Don Bosco aveva grande fiducia nella buona riuscita di tutti: tranne quelli che mancavano o per bestemmia, o per furto, o per scandalo, non licenziava mai nessuno. Quei ragazzi che oggi paiono cattivi o perché studiano poco o perché sono molto vivaci, o perché sembrano poco pii, in seguito saranno forse i migliori».

In questa sintesi dei ricordi di don Piccolo non abbiamo messo a tema le malattie in cui incorse negli ultimi vent'anni di vita, che impressero in lui i contrassegni della passione di Cristo sopportata con fede e amore. Ma anche a prescindere da quest'argomento essenziale, il profilo di don Piccolo si staglia come quello di un salesiano di grande rilievo per la ricchezza delle sue qualità umane, che tutti ammiravano, per il suo amore a don Bosco, il suo zelo apostolico, la sua acuta conoscenza e fedeltà al carisma salesiano. Morì l’8 dicembre 1930 nel giorno dell'Immacolata come egli aveva predetto. Le sue ultime parole furono: «Questo è il più bel giorno della mia vita».

 

 

Pietro Brocardo

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