Quando papa Francesco, dal piccolo schermo, «lassù da quella finestra», ha pronunciato il suo nome «Loris Francesco...», è rimasto senza parole. Lo stava ascoltando, come è accaduto ad altri neoporporati, senza alcun preavviso.
«Sono sereno. Al tramonto della vita, un raggio di sole». Così – rivolgendosi alle Suore delle Poverelle che vivono con lui a Ca’ Maitino di Sotto il Monte – l’arcivescovo Loris Francesco Capovilla, già segretario di papa Giovanni XXIII, o meglio il «contubernale», ha commentato domenica l’annuncio della sua imminente elevazione al cardinalato. E le premurose suore hanno subito stampato su un foglio quelle parole già archiviate nel faldone insieme ai primi messaggi di felicitazioni. Quando papa Francesco, dal piccolo schermo, «lassù da quella finestra», ha pronunciato il suo nome «Loris Francesco...», è rimasto senza parole. Lo stava ascoltando, come è accaduto ad altri neoporporati, senza alcun preavviso.
Sgombrato il tavolo da pranzo, che è lo stesso sul quale lavora, seduto sulla poltrona, lo sguardo un po’ stupito, la voce emozionata, mentre il telefono cominciava a squillare (e non ha smesso sino a sera, come è normale per uno che ha vissuto di incontri quasi un secolo), Capovilla ha insistito sul legame fra l’«imprevisto» e il «riconoscimento» del suo «servizio», «dovuto – ha detto – alla bontà di papa Giovanni e a quella di papa Francesco», che con questo gesto «ha creduto di onorare in me tanti vecchi sacerdoti che hanno servito e che continueranno a servire, a credere, ad amare, a pregare, sino a quando Dio vorrà». Poi ha avuto un pensiero per i suoi genitori, i suoi familiari del Veneto, i tanti amici che hanno accompagnato sin qui la sua vita arrivata al novantottesimo inverno. E ha ricordato l’ultimo cardinale bergamasco: Gustavo Testa, che quando arrivò la porpora, nel concistoro del dicembre 1959, tolti i precedenti elementi dal suo stemma episcopale vi fece scrivere «Sola gratia tua...», «Debbo tutto a te...». Quasi riappropriandosi di queste parole Capovilla le ha indirizzate a Giovanni XXIII e a Francesco.
Chi scrive – e non solo – sa però che questa nomina premia anche un uomo che ha sofferto: insieme a Roncalli, ma pure in solitudine, dopo la morte del Papa che sarà canonizzato il 27 aprile. Talvolta un prezzo da pagare non tanto per custodire una memoria, ma per declinarla nel presente. E sa che con questo gesto passa un inequivocabile messaggio che, ce ne fosse bisogno, torna a indicare il Concilio Vaticano II come stella polare e la passione per l’intera famiglia umana come compito del cristiano. Certo, nelle conversazioni telefoniche e negli incontri succedutisi l’altro ieri – tra i primi ad arrivare ad abbracciarlo il vescovo di Bergamo Francesco Beschi e il vescovo Gaetano Bonicelli – le domande sulla «sorpresa» hanno ricevuto risposte quasi sempre ancorate al «servizio» a papa Roncalli, all’«ineffabile gratutudine» per papa Francesco («dico ineffabile non sapendo come descriverla... Sì scriverò al Papa e dirò proprio così...»). Come pure a una consapevolezza più volte riassunta così: «È un riconoscimento, non cambia niente, ho cercato di servire…Non ho vinto niente». Anzi, durante il lungo pomeriggio (che non ha visto mutare i ritmi consueti della preghiera, nonostante la gragnuola di telefonate da Bergamo, Venezia, Roma, Chieti, Loreto, dall’Italia e da più d’un Paese del Sud del mondo premiato in questo concistoro), c’è stata anche l’occasione per far riflettere chi gli stava vicino su alcune frasi roncalliane all’annuncio della porpora nel ’53, certo in ben altro contesto, ma anche quella volta curiosamente un 12 gennaio: «Devo contare questo giorno tra i fasti della mia umile vita? A mezzodì una comunicazione e un telegramma di mons. Montini mi annunciano che il prossimo 12 gennaio il Santo Padre mi nominerà e mi creerà cardinale […] Non sono stupito, ma sono contento di non provare nessuna esaltazione personale, né senso di vanagloria o altro. Tutto entra nell’ordine dell’obbedienza e dell’abbandono alla volontà del Signore. Fra i cardinali ci furono dei birboni e dei santi. Voglio essere tra questi nell’umiltà, nella semplicità, nell’amore di Dio, e delle anime...».
Curiose anche certe assonanze nelle parole rivolte oggi da Capovilla ai familiari, e da Roncalli allora. Scrisse il futuro Giovanni XXIII: «Il mio povero nome prende posto fra i 24 ecclesiastici che il Santo Padre il prossimo 12 gennaio nominerà cardinali di Santa Chiesa. Comprendo che voi dobbiate esserne contenti. Anch’io ne sono contento, più ancora per voi che per me stesso. Prendete tutto con semplicità e con umiltà, come faccio anch’io. Neanche il diventare cardinale conta qualche cosa, se non è ordinato alla nostra salute eterna ed alla nostra santificazione… Il resto, cioè porpora, onori umani… non vale proprio nulla…». E ancora, dal prezioso Giornale dell’anima che proprio Capovilla fece conoscere all’indomani della morte del «suo» Papa, ecco un altro pensiero sul quale ha preferito dirottare molte domande: «Eccomi qui all’ultima tappa della mia umile vita. Di essere cardinale di Santa Romana Chiesa non mi accorgo affatto, né intendo mutare attitudini di pensiero, di parole, di tratto. O Signore, conservami nella mia semplicità, che è il primo segno della tua amicizia. Non voglio andare alle anime con alcun artificio, così che non ci sia niente di mio, ma tutto e solo come la grazia del Signore mi ha fatto».
Ecco cosa conta per quest’uomo che, se guarda indietro, quasi alla soglia d’un secolo, ha visto arrivare nove Papi: se il primo, Benedetto XV, è solo un suo ricordo d’infanzia, quello di un bambino con gli occhi fissi su una copertina disegnata da Beltrame, e il secondo, Pio XI, quello di un seminarista che bacia la mano al Pontefice durante un pellegrinaggio a Roma, tutti gli altri – Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI – sono Papi che ha guardato negli occhi. Adesso tocca all’incontro de visu con Francesco, auspicato già all’inizio dello scorso aprile quando papa Bergoglio lo chiamò al telefono per ringraziarlo di un suo scritto sull’Anno della fede ricevuto per mano dell’arciprete della Basilica Vaticana, il cardinale Comastri. In quell’occasione don Loris aveva promesso a Francesco una visita a Roma per abbracciarlo. Quel viaggio dovrebbe essere vicino: «Chissà… sarà quel che Dio vorrà», rispondeva l’altro ieri a chi lo interrogava. Ci fosse stata ancora suor Primarosa, presenza discreta accanto a lui per decenni e che Lassù ora sorride, forse, interpretando il desiderio di molti, gli avrebbe detto: «Certo che deve andare…se se la sente...».
Marco Roncalli
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