L'arcivescovo di Manila ha fatto una vera e propria catechesi sul martirio, legato al tema della famiglia...
Clima mite e tramonto da cartolina. È un tipico tardo pomeriggio autunnale, a Roma. Già qualche decina di minuti prima che inizi la Messa vespertina di sabato 17 ottobre, sul sagrato della chiesa di Sant’Ignazio d’Antiochia una nutrita folla attende l’arrivo del card. Luis Antonio Tagle, arcivescovo metropolita di Manila, nelle Filippine, e presidente di Caritas Internationalis.
Il porporato, in queste settimane a Roma per il Sinodo sulla famiglia, è qui per celebrare l’Eucarestia in occasione della festa di Sant’Ignazio d’Antiochia. Quest’ultimo, tra i primi Padri della Chiesa, come tanti martiri cristiani della sua epoca percorse la Via Appia Antica - che si staglia oltre i ruderi della Villa dei Quintili, davanti la chiesa a lui dedicata - per essere condotto all’interno del Colosseo, a trovar morte tra le fauci di affamati leoni.
In Vaticano, invece, non v’è nessuna vorace fiera, nessuna cospirazione nel corso del Sinodo che possa suggerire arditi raffronti con un’arena romana. In queste due prime settimane, i Padri sinodali si sono più volte spesi per raccontare alla stampa del “clima sereno” che si respira in Aula.
Sinodo su cui il card. Tagle, da presidente delegato della grande assise, preferisce mantenere il massimo riserbo. Tuttavia, il tema centrale del Sinodo ha trovato un’ampia declinazione nella sua omelia.
L’arcivescovo di Manila ha raccolto lo spunto offerto dalla “grandezza” del sacrificio di Sant’Ignazio d’Antiochia per prodigarsi in una vera e propria catechesi sul martirio. “Cosa significa per la vita di ognuno di noi questo grande aspetto della storia della Chiesa?”, si è chiesto il card. Tagle. “Ogni battezzato è chiamato ad essere un martire”, ha proseguito.
Concetto di martirio che viene spesso associato esclusivamente alla “sofferenza e alla morte”. Si tratta però di un’interpretazione parziale, come ha avuto modo di spiegare il card. Tagle. “Il vero senso del martirio è la testimonianza: un martire è una persona che dà, è appunto un testimone”, ha detto.
Ma come diventare, nella concretezza della vita quotidiana, un “testimone”?
Innanzitutto sapendo individuare qual è l’ambito nel quale deve esprimersi la nostra opera di testimonianza. “È l’ambito della verità”, la riflessione del porporato. “Per testimoniare il cristianesimo, la verità della persona di Gesù Cristo e il significato del Mistero pasquale, abbiamo bisogno di conoscere, incontrare e sperimentare Gesù”, ha spiegato.
A tal proposito Tagle ha citato il prologo della Prima lettera di San Giovanni Apostolo, nel quale il “Verbo della vita” è descritto come “ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato” (1Gv 1,1). Parole che dimostrano come il “testimone” sia prima di tutto “un amico di Gesù”, che da questo “incontro personale” riesce a trovare e a percorrere “la via per essere un martire”.
Stringere un rapporto di questo tipo - ha proseguito il cardinale - significa “riconoscere Gesù negli altri, nei segni dei tempi”. E significa quindi anche imitare Gesù, ossia “rinnegare sé stessi" (Mc 8, 34). “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). Il card. Tagle ha spiegato che il “chicco di grano” rappresenta Gesù, il quale “è diventato uomo, è caduto nella terra dell’umanità e ha condiviso la nostra condizione fatta anche di sofferenza e di debolezza”. Si è così manifestata “la solidarietà e la comunione di Gesù Cristo con noi”, la cui morte “è il frutto dell’amore”.
Del resto - ha aggiunto il cardinale - “quando una persona ama è pronta a morire”. Di qui l’esempio legato alla famiglia. “Un marito che ama veramente la moglie è pronto ogni giorno a morire in sé stesso”, ha detto. Se così non fosse - la sua considerazione -, “se un marito non fosse disposto a cadere nella terra della solidarietà e della condivisione, egli non produrrebbe frutto” .
Frutto che si produce ogni giorno anche attraverso i “piccoli gesti d’amore” che con “impegno e profondo senso di responsabilità” i genitori compiono nei confronti dei propri figli. Genitori, mogli e mariti che il card. Tagle ha dunque definito “martiri della vita quotidiana”. Dell’esempio di costoro - ha concluso il presidente del Sinodo sulla famiglia - “il mondo ha grande bisogno”.
Al termine della cerimonia, il card. Tagle si è intrattenuto amabilmente con i fedeli della parrocchia. Ha impartito benedizioni e ha raccolto intenzioni di preghiera, ha dispensato allegria anche prendendo in braccio con tenerezza un bimbo di pochi mesi, uno degli ultimi arrivati all’interno di questa fervente comunità.
Fervore espresso dalla processione che, prima della Messa, si è snodata per le vie del quartiere con la reliquia di Sant’Ignazio d’Antiochia. Il suo martirio e le parole del card. Tagle costituiscono una linea di continuità che attraversa la storia.
Federico Cenci
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