Il primo dicembre 1916 Charles de Foucauld, il 'marabout cristiano', muore a Tamanrasset. È la fine di una grande avventura spirituale. Ma anche l'inizio di un cammino che lo porterà agli onori degli altari.
del 12 maggio 2005
La santità nel silenzio
 
Un romanzo di avventura o un film di ambiente esotico. Potrebbe cominciare così: le dune del Sahara, al tramonto. Un uomo bussa alla porta di Charles de Foucauld, l’eremita francese che per la gente del deserto è 'il marabout cristiano': un santo o un eccentrico che da anni vive in solitudine tra le sabbie di Tamanrasset. L’uomo è già venuto altre volte, a portare la posta.
Si chiama El Madani. Ma ora non porta nessuna lettera, nessun messaggio dalla Francia. E non è solo. Con lui, altri mercenari musulmani, pagati e manipolati da turchi e tedeschi per ostacolare i disegni della potenza coloniale francese. Charles de Foucauld è fatto prigioniero: a quale scopo, non si sa. È costretto a inginocchiarsi. I suoi aggressori gli legano le caviglie ai polsi.
Poi saccheggiano il poco che c’è da saccheggiare, svuotano gli armadi, rubano qualche provvista, calpestano lettere e documenti.
Tutto precipita quando arrivano due ospiti inattesi, venuti a trovare fratel Charles. Parte un colpo di fucile, sparato forse in maniera accidentale da un ragazzo di quindici anni incaricato di sorvegliare il prigioniero. Il marabout cristiano è ferito a morte.
È il primo dicembre del 1916. In Europa infuria la guerra. E anche le dune del Sahara si macchiano di sangue. Anche tra le sabbie del deserto le potenze coloniali combattono la loro sporca guerra. Potrebbe cominciare così, dalla fine, il romanzo o il film di Charles de Foucauld. Ma non è un romanzo né un film, anche se gli ingredienti di un buon feuilleton o di una storia alla Salgari o alla Jules Verne ci sono tutti: i paesaggi esotici, le carovane nel deserto, i fieri Tuareg e, prima, le avventure galanti, i festini, donne e champagne.
Non è un romanzo né un film, perché la vita di fratel Charles è più romanzesca e avventurosa di qualsiasi film, un film – o un romanzo – in cui, più dei colpi di scena, conta la Grazia, il regista invisibile che sconvolge tutti i piani.
Charles-Eugène, visconte di Foucauld, era nato a Strasburgo il 15 settembre 1858. Orfano di padre e di madre a sei anni, era stato allevato dal nonno materno, il colonnello de Morlet. Ufficiale di carriera, esploratore con solide conoscenze scientifiche, libertino, aveva dilapidato il cospicuo patrimonio familiare in pochi anni. Poi la conversione, influenzato da una cugina, Marie de Bondy, e da un sacerdote che sa sondare – con intelligenza spirituale – le profondità del cuore, l’abbé Huvelin.
È un vero cambiamento di rotta, una vita nuova. Il punto di partenza è un mattino di ottobre del 1886, nella chiesa di Saint-Augustin, a Parigi. Charles si rivolge all’abbé Huvelin, chiedendogli qualche lezione di catechismo. Ma invece di parole scontate, di frasi fatte, di formule logorate dall’uso, riceve una lezione di vita e scopre il vero contenuto della fede: Gesù Cristo, Dio fattosi uomo. Dopo essersi confessato, si accosta all’Eucaristia.
Da quel momento, il giovane visconte ha un unico desiderio: servire, da povero, Gesù povero, accontentandosi dell’ultimo posto. La conversione è un capovolgimento radicale. La sete di assoluto che aveva animato le sue imprese mondane è ormai al servizio, scrive il biografo Jean-François Six, «del duplice e unico amore di Dio e degli uomini».
Dopo un pellegrinaggio in Terra Santa, durante il quale si risveglia in lui il desiderio della vita contemplativa, nel 1890 entra alla trappa di Nôtre-Dame des Neiges, tra i monti della regione francese dell’Ardèche. Alla fine del noviziato, è di nuovo nel Levante, al monastero di Akbès, in Siria. Vi resterà per sei anni, assistendo impotente al genocidio degli armeni. Nel 1897, dopo un breve periodo di studi teologici a Roma, lascia i trappisti e sceglie di vivere in Terra Santa, sulle tracce di Gesù.
A Nazaret lavora come domestico in un convento di clarisse, preferendo, all’abito religioso, un semplice vestito da operaio. Come i monaci che ha lasciato, ma con i quali resterà sempre in contatto, alterna preghiera e lavoro. Nazaret sarà la sua scuola e la vita di Gesù il suo modello. Qui cerca il nascondimento, sull’esempio dell’umile carpentiere che aveva percorso le stesse strade impolverate, uomo tra gli uomini. Qui sogna di fondare una congregazione o una fraternità che somigli alle prime comunità cristiane: senza troppi formalismi, senza le distinzioni tra monaci e conversi ancora valide nei monasteri cistercensi, una fraternità che viva del lavoro manuale e «in cui tutti saranno uguali e tutti saranno chiamati fratelli».
A Nazaret, svolge a suo modo un altro noviziato, dedicando la maggior parte del tempo all’adorazione eucaristica nella cappella delle clarisse. «Egli si lascia invadere, sommergere dalla grazia della contemplazione», scrive René Voillaume, che anni dopo si porrà sulle sue tracce e sarà tra i primi a realizzare il sogno della nuova fraternità. «Egli si lascia rapire verso abissi di umiltà e di amore.
La sua vita quotidiana reca, attimo per attimo, le impronte di una generosità eroica».
Nel marzo del 1900 un fatto nuovo sconvolge i suoi piani: viene a sapere che il Monte delle Beatitudini, in mano ai turchi, è in vendita. Fratel Charles sogna di stabilirsi in quel luogo come sacerdote-eremita, conformandosi in tutto e per tutto al suo Gesù. Comunica il nuovo progetto all’abbé Huvelin, sperando che, grazie ai buoni uffici di quest’ultimo, esso venga accolto dall’arcivescovo di Parigi. Sceglie il motto e lo stemma che lo accompagneranno per tutta la vita: «Jesus Caritas», un cuore sormontato dalla croce.
Per prepararsi all’ordinazione, torna in Francia, all’abbazia di Nôtre-Dame des Neiges. «La mia vocazione», scrive, «è di imitare nel modo più perfetto possibile Nostro Signore nella sua vita nascosta a Nazaret. Raggiungerò meglio questo scopo ricevendo i santi ordini e vivendo come eremita-prete sulla cima deserta del Monte delle Beatitudini? In quel luogo sarò in mezzo a difficoltà di ogni genere, portando davvero la croce di Gesù e condividendo la sua povertà».
Il 9 giugno del 1901 è ordinato sacerdote. Ma l’ipotesi del Monte delle Beatitudini è ormai tramontata: fratel Charles si era fatto ingannare da un truffatore che non aveva alcun titolo per quella vendita. Così sceglie di tornare nell’Africa Sahariana, a Beni-Abbès, alla frontiera tra l’Algeria e il Marocco, in quelle zone che aveva esplorato anni prima sotto falsa identità (si presentava come un rabbino di origine russa in fuga dalle ultime persecuzioni...).
A Beni-Abbès e poi nel deserto dell’Hoggar, a Tamanrasset, dove vivono i Tuareg, gli «uomini blu», non abbandona il sogno di una nuova fraternità. Ma le cose andranno diversamente. Vive in solitudine, accogliendo i poveri che bussano alla sua porta e legandosi di amicizia con i Tuareg e il loro capo, Moussa.
Non c’è in lui alcuna volontà di proselitismo ma, anticipando di più di mezzo secolo le intuizioni del Concilio, così scrive in una lettera del 1908: «Predicare Gesù ai Tuareg, non credo che Gesù lo voglia, né da me né da nessun altro. Sarebbe il modo di ritardare e non di anticipare la loro conversione...». Fratel Charles sceglie il dialogo, l’amicizia, la condivisione: Dio troverà il modo di parlare ai cuori.
In una pagina del suo diario, annota: «Ridere con quelli che ridono, piangere con quelli che piangono, per condurli tutti a Gesù».
Nel giugno del 1916, quando i contraccolpi della guerra si fanno sentire anche nell’Africa sahariana e le tensioni coloniali sono ormai al culmine, si rifugia in un fortino costruito dai francesi, a Tamanrasset. Ed è in quel luogo che sarà sorpreso dai suoi aggressori.
Fin qui i dati biografici, le tappe di una vita più romanzesca di un romanzo (e personaggio di romanzo Charles de Foucauld lo è per davvero nell’ultimo libro di Maurizio Maggiani, Il viaggiatore notturno, Feltrinelli, 2005). Ma chi dirà tutta la ricchezza e il fascino di un’avventura interiore tra le più feconde e le meno appariscenti? Di una sequela di Dio che si fa compagnonnage, fraternità con ogni uomo, a cominciare dall’ultimo, dal reietto, dall’escluso?
«Con Teresa di Lisieux, Charles de Foucauld è stato uno dei due fari del XX secolo», diceva il grande teologo Yves Congar. Eppure – a differenza di Teresa di Lisieux, canonizzata nel 1925 – il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa arriva soltanto ora. Forse perché la sua santità è troppo fuori dagli schemi, troppo lontana dal sacro epifanico e dal miracolismo che conquistano le masse televisive e trovano adepti nei sacri palazzi. Forse perché con la sua vita, con la sua fedeltà radicale al Vangelo, fratel Charles mette in crisi i facili devozionismi, la richiesta di prodigi e di meraviglie, mette in crisi ogni modello di santità disincarnata, le costruzioni e visioni mondane della santità.
Charles de Foucauld è stato il fratello universale, l’uomo del dialogo con l’islam quando 'dialogo' era una parola tabù, un cristiano che confidava non nelle potenze di questo mondo, ma nella forza del Vangelo, testimone dell’abbandono fiducioso alla divina provvidenza, come scrisse nella sua preghiera più nota: «Padre mio, io mi abbandono a te, fa di me ciò che ti piace. Qualunque cosa tu faccia di me, Ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto.
La tua volontà si compia in me, in tutte le tue creature.
Non desidero altro, mio Dio. Affido l’anima mia alle tue mani.
Te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore perché ti amo, ed è un bisogno del mio amore di donarmi, di pormi nelle tue mani senza riserve, con infinita fiducia, perché Tu sei mio Padre».
È stato un viaggiatore dell’assoluto, Charles de Foucauld.
Un pellegrino al quale Maurizio Maggiani, nella finzione romanzesca, attribuisce queste parole: «Non cedere alla tentazione di fermarsi è ciò che dà senso all’andare, ciò che lo rende veramente utile e veramente bello. Agli occhi di Dio, agli occhi dell’universo, agli occhi di chi incontri nel cammino». Un viaggiatore dell’assoluto che ha trascinato dietro di sé altri eccentrici, altri pellegrini, folli in Cristo, René Voillaume, Louis Massignon, la piccola sorella Magdeleine, Carlo Carretto, Arturo Paoli... Dalle dune del Sahara al mondo intero.
 
Beato senza clamore anche nei miracoli
Il viaggiatore dell’assoluto non ama le strade già percorse da altri. Anche per arrivare agli altari, Charles de Foucauld ha preferito seguire «un cammino molto speciale», dice il postulatore della causa, padre Maurice Bouvier. Una vita 'eccezionale' e una vocazione di difficile comprensione nella Chiesa pre-conciliare hanno allungato i tempi delle inchieste sulle sue virtù. Un Papa ha smosso le acque quando il cammino sembrava archiviato – Paolo VI lo cita come modello nella Popolorum Progressio – mentre la morte di Giovanni Paolo II, che lo avrebbe voluto portare sugli altari il 15 maggio, fa posticipare la data di una beatificazione che molti, in 'Famiglia', avrebbero preferito celebrare non a Roma, ma 'in periferia'. Quanto al miracolo 'necessario' per gli onori degli altari, è stato scoperto quasi per caso. La signora Giovanna Citeri Pulici, di Desio, nel 1984 era stata guarita da un tumore alle ossa dopo aver pregato Charles de Foucauld, che credeva già santo. Seguace dell’uomo del nascondimento, con la famiglia aveva deciso di tenere la notizia circoscritta alla parrocchia, senza clamore. Quando però si è resa conto che per fratel Charles 'mancava' il miracolo, si è fatta avanti. Nulla di strano. Il tutto risponde allo stile del piccolo fratello.
 
Maurice Bouvier, sacerdote diocesano di Valence, ultimo in ordine di tempo ma primo tra i 15 postulatori di de Foucauld legato alla sua famiglia spirituale, ci aiuta a leggere le tappe del cammino verso la santità di questo originale e profetico testimone.
Sono occorsi quasi 80 anni per portare Charles de Foucauld sugli altari. Quali sono state le difficoltà del cammino?«Si è impiegato molto tempo per raccogliere tutti i documenti. L’inchiesta diocesana, aperta nel 1927 presso la prefettura apostolica di Ghardaia, nel Sahara, si è chiusa nel ’47 ed è stata trasferita a Roma. Durante la guerra d’Algeria si è sospeso il dibattito, fino al 1968, all’intervento di Paolo VI. Poi ho dovuto cercare il miracolo: sono andato in Canada, ho fatto altri viaggi... ero molto stanco. E alla fine, come già accaduto in passato, un evento di grazia l’ha fatta andare avanti. Quanto alle difficoltà emerse durante la discussione, la prima riguarda il suo cammino personale: si diceva che fosse stato troppo attaccato alla famiglia e agli amici, cosa che poco si addice a chi sceglie la vita religiosa. Eppure è stato l’abate della trappa di Nôtre-Dame des Neiges a consigliargli di mantenere quei rapporti: è un’eccezione, ma la sua storia è piena di eccezioni!».
 
De Foucauld è stato accusato di nazionalismo, addirittura di essere stato una spia della Francia. In che misura la discussione è stata toccata da questo tema?«Non si può negare il suo attaccamento alla patria: ma la sua visione era quella di Leone XIII, che considerava la Francia la prima figlia della Chiesa nell’evangelizzazione dei popoli. L’accusa di spionaggio è caduta grazie alla testimonianza di un generale, che ha mostrato come nelle lettere non dava informazioni militari, ma esprimeva amicizia».
La sua visione della missione ha creato problemi?«Senza l’appoggio di Paolo VI, che ha sottolineato l’importanza dell’inculturazione della fede, non sarebbe stato capito. Oggi si può dire che studiare una lingua e capire una cultura è già parte dell’evangelizzazione, ma in passato no. Per Charles de Foucauld l’inculturazione discende dall’incarnazione: chi cerca di conoscere meglio suo fratello, anche se non lo sa, è già alla ricerca di Gesù, che per noi cristiani è l’uomo perfetto».
Quali testimoni l’hanno più colpita?«I militari che l’hanno conosciuto e sono rimasti legati alla sua figura. La famiglia, la cugina, che fanno pensare alla vecchia nobiltà francese: persone che con molta semplicità hanno il senso del dovere e l’attaccamento al Signore. E poi la freschezza spirituale dei due coniugi del miracolo, Giovanni e Giovanna».
 
Che messaggio dà alla Chiesa questa beatificazione?«Fratel Charles lascia la testimonianza della speranza, che oggi è una virtù difficile. Per il futuro della Chiesa sono necessari piccoli gruppi di cristiani che rendano visibile la speranza. Se il successo e la visibilità sono considerati necessari per essere 'qualcuno', la Chiesa deve scegliere di sminuirsi ancora di più, di 'fare' di meno, e al contempo dare speranza al mondo restando attaccata al Signore».
 
 
 
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