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Che cos'è l'educazione? Qual è il ruolo dell'educatore? C'è un metodo educativo?

Una sintesi straordinaria dell'azione educativa l'ha formulata Antonio Rosmini, quando scrisse che educare vuol dire 'rendere l'uomo autore del proprio bene'. La radice del sistema educativo di don Bosco è l'amore, che nell'educatore diventa ragione e amorevolezza e nell'educando confidenza e spontanea collaborazione...


Che cos'è l'educazione? Qual è il ruolo dell’educatore? C’è un metodo educativo?

da Quaderni Cannibali

del 29 maggio 2007

Premessa

 

Non vi è nessuno che abbia a portata di mano - pronti per l'uso - indirizzi pedagogici e suggestioni psicologiche adatte a ogni circostanza.

Educare è un'arte, che si acquisisce con l'esperienza, la pazienza e l'umiltà. E l'esperienza la si fa sperimentando, augurandosi di sbagliare il meno possibile, anche se l'errore lo si deve sempre mettere in conto!

Quanti genitori sussurrano e sospirano che al compito dell'educazione e al ruolo di educatori non sono mai stati preparati e formati.

Si vive spesso di buon senso, di memoria storica, di esperienze pregresse, di imitazione ed emulazione delle esperienze migliori attuate dai propri genitori.

Ma - si dice, e giustamente - i tempi sono cambiati; la cultura non è più quella di una volta.

E' cambiata la società in modo repentino, imprevedibile e con essa l'istituzione familiare, che della società è la cellula prima e vitale.

E poi - si dice, e sempre giustamente - la famiglia, ormai, si trova pressoché quotidianamente a dover opporre resistenza alle suggestioni che provengono da altri ambiti istituzionali e sociali: la scuola, il tempo libero, le amicizie, i messaggi radio-televisivi e dei mass-media in genere. . .

Vi sono poi i mementi difficili, dati dalla psicologia dell'età evolutiva degli adolescenti e dei giovanissimi, con i loro lunghi silenzi, la loro apatia, la loro apparente indifferenza di fronte alle realtà anche forti della vita.

Non manca il disorientamento degli stessi educatori, che denunciano i propri limiti, la propria perplessità, i propri imbarazzi, la propria impreparazione in ordine alla educazione e si chiedono

 

- che cosa sia giusto chiedere ai figli

- che cosa sia giusto dare ai figli

- che cosa sia giusto proporre ai figli

 

anche a fronte di un sempre più invalso clima generale di disaffezione, di superficialità, di indifferenza.

 

Quanti genitori si domandano se è opportuno, se è giusto esigere dai propri figli, ciò che altre famiglie, altre istituzioni non esigono più. Tale interrogativo non è senza fondamento e non senza qualche preoccupazione, nel sospetto che, creando diversificazione di azione educativa, i figli si sentano un poco diversi dagli altri.

Evidentemente c'è tutta una cultura nuova da creare per combattere una ideologia che vorrebbe relegare in un angolo i valori tradizionali. Perciò - senza avvilimenti, ripiegamenti o chiusure, senza proclamarsi incapaci - occorre unire le forze e impegnarsi a scoprire un nuovo progetto educativo.

I destinatari di questa riflesisone non pensino di ritrovare qui - come già detto delle pronte soluzioni.

Se così fosse, contravverrei al principio fondante dell'educazione, che non è dare ricette o predisporre indirizzi, ma 'tirar fuori dall'altro' quella potenzialità che ogni persona possiede, quelle ricchezze di cui è dotato ogni individuo, quel tesoro nascosto che è nel cuore di ogni personalità.

Queste pagine sono solo una provocazione a riflettere, un modesto esame in ordine agli atti educativi che quotidianamente si compiono per coglierne l'originalità e la conseguente revisione di vita.

 

 

Cos'è l'educazione?

 

La questione dell'educazione e dell'educare è antica quanto l'uomo.

L'uomo, infatti ha bisogno di educazione, perché al momento della nascita egli possiede un ampio bagaglio di informazioni genetiche, sociali, culturali, psicologiche che - nel corso degli anni - è chiamato a sviluppare per un armonioso adattamento all'ambiente e alla storia.

Da questa sommaria presentazione potremmo formulare tre considerazioni in ordine al concetto di educazione.

1. L'educazione è una azione che tende a sviluppare ciò che nell'uomo è già costituito.

2. L'educazione è un intervento inteso ad attualizzare le potenzialità native dell'individuo, adattandole concretamente ai modelli socio-culturali dell'ambiente sociale in cui l'individuo vive.

3. L'educazione è un processo volto a promuovere concretamente la realizzazione dell'individuo in modo completo e armonico.

 

Una sintesi straordinaria dell'azione educativa l'ha formulata Antonio Rosmini, quando scrisse che educare vuol dire 'rendere l'uomo autore del proprio bene. '

Come si può notare, la realtà dell'educazione si descrive assai meglio esplicitandone i fini, piuttosto che ricercare una definizione nominale.

Essa 'deve promuovere la formazione della persona umana, sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene delle varie società, di cui l'uomo è membro e in cui - divenuto adulto - avrà mansioni da svolgere. (GE 1)

L'educazione è, quindi, la formazione della personalità globalmente considerata, tentando di armonizzare - in un tutto unificato - i diversi aspetti costitutivi della persona che cresce in un determinato contesto culturale.

Educare, dunque, significa impegnare e orientare in esperienze che promuovono l'autosviluppo completo ed armonico della dinamica interna della personalità, definendola e differenziandola in relazione alla diversa situazione sociale e all'influenza esterna dell'ambiente.

L'educazione - in sostanza - è un processo razionale di formazione che si compie mediante certe esperienze sociali e che mira a un risultato.

Tutto ciò suppone il succedersi delle trasformazioni o modificazioni, o innovazioni che avvengono nelle funzioni del comportamento dell'educando, in ordine allo sviluppo della sua personalità.

Mediante un tale processo l'educando sviluppa le sue qualità, acquisisce capacità, abitudini e modi di agire, che gli consentono di vivere da uomo nel suo ambiente.

L'azione educativa tende alla valorizzazione progressiva dell'identità di ciascun individuo mediante la legge della gradualità.

Il piano educativo, quindi, ha come punto di partenza l'identità infantile e come obiettivo la sua progressiva ristrutturazione verso una sempre maggior affermazione di sé, per una sempre maggior apertura all'alterità.

Una positiva azione educativa non può che comprendere tutti gli aspetti della personalità in formazione e li considera non isolati fra loro, ma tra loro complementari e in connessione con i rapporti sociali.

 

Si è accennato alla legge della gradualità.

Nell'opera educativa infatti, occorre avere la grande pazienza di saper individuare i bisogni e le esigenze dell'educando, conoscendoli profondamente.

 

Nessun buon educatore si prefigge un programma educativo e lo impone. Questo non sarebbe educare!

L'educare suppone un conoscere l'educando; conoscere le sue attitudini, i suoi interessi, le sue inclinazioni naturali.

Quante volte i genitori affermano: 'Ai miei figli ho riservato lo steso trattamento, lo stesso modo di fare, le medesime attenzioni e le reazioni e i risultati sono stati differenti'.

Non poteva che essere così! I figli sono sì figli, ma sono estremamente differenti tra loro; e per ciascuno deve essere individuato un diverso progetto educativo.

E' in questo - precisamente - che l'arte dell'educazione si fa complessa e a volte difficile.

 

 

Il ruolo dell'educatore

 

Colui che - a titoli differenti - si assume la responsabilità dell'azione educativa, non può sottovalutare mai che ogni educando va sempre considerato come persona: cioè come soggetto originale e irrepetibile.

Ecco perché, si diceva, che ogni individuo necessita di un proprio itinerario educativo.

Tra i diversi modelli pedagogici che propongono le scienze dell'educazione, quello che maggiormente può sembrare più adatto appare essere il modello non direttivo.

Che cosa significa?

Per modello non direttivo si intende la rinuncia ad assumere una qualsiasi direzione del processo educativo, per puntare unicamente sul valore che la relazione stabilita con l'educando assume in termini di sostegno e di rilancio delle capacità individuali di sviluppo autonomo.

Con una descrizione plastica si potrebbe dire che l'azione educativa non direttiva è paragonabile a un educatore che con pazienza e disponibilità cammina alle spalle dell'educando, con le braccia tese, senza imbrigliarlo e quasi senza farsene accorgere, pronto a sostenerlo in caso di inciampo o di caduta.

Si tratta - come si deduce dall'esempio - di lasciar camminare il soggetto lungo le strade della vita, sperimentando la quotidianità delle esperienze, non sostituendosi ad esso, consentendogli di vivere, pronti - tuttavia - a intervenire energicamente e anche con determinazione in caso di pericolo.

L'intervento - anche quello dei genitori - è educativo, quando non si pone come imperativo di cose da eseguire o di comportamenti da acquisire, ma quando diventa servizio per il processo di autodeterminazione e autoformazione dell'educando per aiutarlo a liberarsi dai propri condizionamenti e sviluppare la capacità di determinazione.

L'azione educativa si esprime nella fermezza e nella vigilanza e si esercita mediante l'esempio. La funzione dell'educatore è essenzialmente una funzione di esemplarità o meglio di testimonianza.

Attraverso tale esempio l'educatore suscita nell'educando comportamenti motivati dando concreta manifestazione della propria realizzazione in ordine alla propria personalità e nei confronti della realtà sociale in cui vive e opera.

E' assai facile comprendere che sarebbe anti-educativo chiedere al proprio figlio assunzioni di responsabilità e/o attuazioni di comportamenti, nei confronti dei quali il genitore per primo è inadempiente o trasgressivo.

Come si può pensare di educare un figlio al rispetto per gli altri, alla stima verso il prossimo, alla solidarietà e alla giustizia, all'onorare gli impegni assunti se proprio il genitore non dà testimonianza concreta di ciò che chiede e propone?

Viene qui in mente il proverbio, che tante volte si cita: le parole volano, gli esempi trascinano!

O ciò che ricordava, molto sovente, quel grande educatore che fu S. Giovanni Bosco ai suoi collaboratori: 'Quello che più conta è la predica del buon esempio!'

Vi sono, poi, alcuni atteggiamenti, che certamente non favoriscono un azione educativa costruttrice di personalità. E sono atteggiamenti che mettono in discussione il ruolo stesso degli educatori.

 

1. L'educatore iperesigente è portato a esigere una certa perfezione sulla base di un suo schema perfettivo, che quasi mai egli vive a fondo e in pienezza.

Tale atteggiamento suscita nell'educando sintomi di ansia, insicurezza, dubbio e, non di rado, complessi di inferiorità, in quanto non si sente mai all'altezza di quanto gli si chiede, perché gli sono chiesti spesso compiti più alti delle sue capacità.

 

2. L'educatore iperindulgente soddisfa ogni minimo desiderio, gratifica e accontenta in ogni modo. Pronuncia delle affermazioni, detta degli orientamenti da osservare, ma poi non sa resistere alle richieste del soggetto e cede.

Il risultato sarà quello di aver contribuito a formare personalità incapaci di qualunque scelta che costi il benché minimo sacrificio. Tali soggetti pretenderanno tutto e subito e lo chiederanno anche con arroganza e prepotenza.

 

3. L'educatore identificatore dimentica che ogni individuo è persona unica e irripetibile, dotata di personalità propria e costringe l'educando a conformarsi passivamente e in modo remissivo ai desideri e ai voleri dell'educatore.

Un tale progetto educativo - se così lo si può chiamare - non sortirà alcun buon risultato, anzi: l'individuo sarà quasi sicuramente un soggetto privo di propria capacità di discernimento e di valutazione.

 

4. L'educatore svalutatore svaluta l'educando nelle sue capacità creative, nelle sue qualità intellettive, fisiche, etiche, sociali, minimizzando o ridicolizzando i risultati conseguiti, con la triste conseguenza di aver trasmesso un forte senso di inferiorità e di insicurezza, e a tratti anche di disistima personale.

 

5. L'educatore antagonista è colui che in qualche modo respinge l'educando, anche con sottili e pericolosi giochi psicologici di derisione, di rifiuto, di emarginazione.

Con il risultato di ingenerare sentimenti di abbandono, con conseguente aggressività per essere accettato.

 

Ma qui concludiamo questa prima panoramica, forse un poco tecnica, relativa all'educazione e al ruolo degli educatori, per considerare un altro aspetto della dinamica educativa: quello del metodo.

 

 

Il metodo educativo

 

Ha scritto L. Evely nel suo Educare Educandosi: 'l'educazione è un'arte: ciò che essa richiede di più è previdenza e tatto. Dimenticando le proprie ambizioni, i pregiudizi personali, l'educatore si mette appassionatamente al servizio di colui che vuole educare'.

Non è certo impresa facile proporre un metodo educativo.

Sia perché - lo si è detto - nell'educazione non ci sono facili ricette; sia anche perché i modelli pedagogici - oltre che rispondere a certe sensibilità - si configurano molto e in un certo senso sono mediati da correnti ideologiche di differente orientamento.

Pur tuttavia, nell'economia di questo servizio pastorale di evangelizzazione e di catechesi, una proposta sembra doveroso formularla, anche se di proposta si tratta.

Ci riferiremo al sistema preventivo di S. Giovanni Bosco, anche se occorrerà tener conto che don Bosco aveva prevalentemente, quali destinatari, giovani in situazione istituzionalizzata: i celebri oratori.

Il nostro itinerario, invece, si riferisce a una realtà educativa nell'ambito familiare.

Il sistema preventivo fonda la sua peculiarità sull'attenta preoccupazione per gli individui, le singole personalità degli educandi, ciascuno dei quali è al centro di un processo educativo fatto di inviti, proposte, possibilità, scelte, decisioni.

Don Bosco era solito ripetere: occore 'lasciare ai giovani piena libertà di parlare di cose che maggiormente loro aggradano: Il punto sta di scoprire in essi i germi delle loro buone disposizioni e procurare di svilupparli. E poiché ciascuno fa con piacere soltanto quello che sa di poter fare, io mi regolo con questo principio e miei giovani lavorano tutti non solo con attività, ma con amore'.

Secondo gli insegnamenti del Santo di Valdocco la confidenza, la fiducia, l'amore e la collaborazione, sono le condizioni per ogni autentico rapporto educativo.

La radice del sistema educativo di don Bosco è l'amore, che nell'educatore diventa ragione e amorevolezza e nell'educando confidenza e spontanea collaborazione.

L'amorevolezza trasforma il rapporto educativo in rapporto filiale e l'ambiente educativo in una famiglia.

Perciò l'amorevolezza - nel sistema preventivo di don Bosco - è considerata come il principio informatore. Tutte le più diverse problematiche della pedagogia sono affrontate e risolte dal Santo di giovani dalla sua pedagogia del cuore.

Infatti ogni atto educativo deve essere soffuso di carità e di amorevolezza.

La pratica del sistema preventivo trova fondamento - secondo l'espressione stessa di don Bosco - nelle parole dell'apostolo Paolo: 'la carità è paziente. . . tutto copre, tutto spera, tutto sopporta' (1 Cor 13, 4-7).

 

Tutti gli studiosi del santo Fondatore dei Salesiani riconoscono l'importanza e la centralità di questa ispirazione pedagogica.

Di lui si afferma di aver tentato - quasi sempre con successo - di ricostruire attorno al fanciullo lo spirito di famiglia e che ogni suo sforzo fu continuamente diretto a ottenere nelle sue case di educazione la fusione dei cuori, ad affiatare - in una intimità di buona lega -superiori ed alunni.

Sulla base di tali considerazioni - e visto sopratutto che siamo alla ricerca di un modello educativo da proporre alla famiglia, chiamata ad essere comunità educante - accostiamo più da vicino il sistema preventivo di don Bosco.

L'amorevolezza è precisamente l'amore dell'educatore verso l'educando e mentre tende al progetto educativo, al tempo stesso si preoccupa che il giovane si senta amato.

L'amorevolezza implica dunque la carità soprannaturale, cioè il vero e spirituale amore di Dio e del prossimo.

E fin qui - parlando di educazione in famiglia - non si dovrebbero riscontrare difficoltà.

Ma un secondo elemento che corrobora il sistema preventivo 'boschiano' è la ragionevolezza, che è fatta di adattamento e di intelligente comprensione.

Essa include pure l'affetto, cioè il palpito umano della benevolenza e dell'affezione.

A ben vedere don Bosco ha calibrato con giuste dosi l'azione educativa, la quale è essenzialmente azione della ragione.

Infatti, chi si propone come guida, deve possedere la chiarezza delle idee e della verità e non cedere alla suggestione emotiva o alla pressione del sentimento.

Essere ragionevoli - nell'orizzonte educativo - significa, in sostanza, evitare stranezze, avere buon senso, usare semplicità e naturalezza, evitare complicati artifizi.

Don Bosco, infatti, chiede all'educatore un amore equilibrato, aperto, razionale.

 

Questa prima e fondamentale esigenza educativa non permette di confondere la paternità e il cuore di cui parla don Bosco con una troppo facile e sentimentale paternità di amore, priva di contenuto spirituale e religioso.

Del resto, l'equilibrio tra la ragione e il cuore è il punto più difficile da stabilirsi e da mantenere in ogni prassi educativa impegnata e consapevole.

La ragione sta all'inizio di tutto il processo educativo nella forma del preavviso leale e senza ambiguità.

Il ragazzo deve sapere prima chiaramente ciò che deve fare e deve esser aiutato a ricordarlo.

Per questo, nel sistema preventivo di don Bosco, una costante è quella del continuo e insistente - anche se garbato - preavviso.

Ma non è sufficiente preavvisare. Occorre che la ragionevolezza sia anche condivisa dall'educando, sino a diventare coscienza di una effettiva e personale responsabilità.

Il metodo della ragione è insieme il metodo della persuasione e del convincimento.

Nel suo sistema educativo, don Bosco raccomanda di farsi amare e non di farsi temere. Non omette mai di raccomandare la carità, i modi affabili e - in certi casi - anche la tolleranza nell'esigere l'obbedienza.

La disciplina è per il Grande Educatore obbedienza a un ordine razionale, al quale tutti sono tenuti.

Anche la correzione deve essere permeata d'amore.

La carità e la pazienza - ammonisce don Bosco - ti accompagnino costantemente nel comandare, nel correggere e fa' in modo che ognuno dei tuoi fatti e delle tue parole conosca che tu cerchi il bene delle anime'.

Don Bosco vuole che le correzioni - a eccezione di rarissimi casi - non siano mai date in pubblico, ma privatamente e lungi dalla vista dei compagni. Egli esorta a usare la massima prudenza per fare sì che il giovane comprenda il proprio torto con la ragione e la religione.

Il trinomio ragione, religione, amorevolezza trova così un applicazione concreta anche nei momenti più delicati dell'opera educativa.

Di grande valore psicologico e pedagogico è l'atteggiamento che Giovanni Bosco consiglia riguardo alla paziente attesa da adottarsi prima della correzione.

Il Santo nelle sue 'Lettere ai giovani', ammoniva: 'i mezzi coercitivi non sono mai da adoperarsi, ma sempre e solo quelli della persuasione e della carità. Il castigo non è dato se non dopo aver esauriti tutti gli altri mezzi e se c'è speranza di qualche profitto per l'interessato. In ogni caso, deve essere ragionevole e amabile nel tempo e nel modo'.

Anche se sono trascorsi oltre cento anni dalla morte di questo grande educatore, i suoi principi fontali non hanno perso nulla della loro efficacia e tuttora rimangono validi itinerari per una adeguata e costruttiva azione educativa.

Tradotti e trasferiti nell'ambito familiare, essi possono contribuire alla ricerca di un metodo educativo, non sempre facile da trovare, per una armoniosa e serena prassi educativa.

mons. Tommaso Stenico

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