Chi sono?

Il Vangelo commentato dai giovani e dai salesiani. Prenditi un tempo di meditazione sulla Parola di Dio.

XXIV Domenica del tempo Ordinario

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 8,27-33


In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

Commento

Questa riflessione parte dalla domanda cruciale che Gesù pone ai suoi discepoli: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Non è solo una curiosità o un controllo della loro conoscenza, ma una domanda che mira a scavare in profondità nella relazione tra Gesù e i suoi discepoli. Allo stesso tempo, diventa una domanda che ciascuno di noi, in qualche modo, pone agli altri, anche inconsapevolmente: “Io, per te, chi sono?”. È una domanda che tocca l'identità, la relazione e la percezione che gli altri hanno di noi.

Gesù inizia chiedendo cosa la gente pensa di lui. La risposta dei discepoli riflette un’idea diffusa, che lo paragona a Giovanni Battista, a Elia o a uno dei profeti. Queste risposte mostrano quanto le opinioni degli altri possano essere influenzate da preconcetti, aspettative o tradizioni. Ognuno proietta su Gesù ciò che conosce o ciò che si aspetta, ma in qualche modo tutte queste visioni non colgono appieno chi Lui sia veramente.

Anche nella nostra vita, spesso ci troviamo ad affrontare le opinioni e i giudizi degli altri. Cosa pensano di noi? Cosa dicono di noi? Questo può diventare un punto di riferimento importante per definire la nostra identità, ma anche un pericolo se lasciamo che queste opinioni determinino interamente chi siamo. Le aspettative degli altri possono distorcere la nostra visione di noi stessi e impedirci di scoprire la nostra autentica identità.

La domanda che Gesù rivolge a Pietro e agli altri discepoli è più personale: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Qui si entra nella sfera della relazione intima, del legame profondo. Pietro, con una risposta immediata e convinta, afferma: “Tu sei il Cristo”. In questo momento, Pietro riconosce in Gesù qualcosa di più della figura pubblica o del profeta: riconosce il Messia, l'Unto di Dio.

Allo stesso modo, ciascuno di noi è chiamato a chiedersi: Chi sono per me stesso?. Non si tratta solo di conoscere le nostre capacità o i nostri ruoli, ma di scoprire una verità più profonda su chi siamo destinati ad essere. Questa scoperta, però, non è sempre facile, perché è influenzata da ciò che gli altri pensano di noi e da ciò che noi pensiamo di dover essere per soddisfare quelle aspettative.

Quando Gesù inizia a spiegare ai discepoli che il Figlio dell’uomo dovrà soffrire, essere rifiutato, ucciso e poi risorgere, Pietro si scandalizza. La sua visione del Cristo è quella di un Messia glorioso, che porta vittoria e potere. La sofferenza e la morte non rientrano nella sua idea di Messia. Per questo motivo, Pietro rimprovera Gesù, cercando di correggerlo, di riportarlo a quella che lui considera una visione corretta.

Questa reazione di Pietro è emblematica di come una concezione errata della nostra identità possa portarci fuori strada. Pietro ha un'idea sbagliata di cosa significhi essere il Cristo, e questo gli impedisce di comprendere il vero destino di Gesù. Allo stesso modo, quando non abbiamo una chiara comprensione di chi siamo veramente, rischiamo di vivere una vita che non ci appartiene, seguendo aspettative o modelli che non rispecchiano il nostro autentico essere.

Gesù, nel rispondere a Pietro con parole dure - “Va’ dietro a me, Satana!” - non sta rifiutando Pietro, ma lo sta richiamando a pensare secondo Dio e non secondo gli uomini. La missione di Gesù si compie attraverso la sofferenza e la morte, perché è in quella donazione totale di sé che trova il suo significato e la sua risurrezione.

Per ciascuno di noi, il compimento della nostra esistenza si trova in quella chiamata unica e irripetibile che Dio ha per ognuno. Non possiamo trovare il nostro vero compimento inseguendo solo ciò che ci sembra più facile o più accettato dagli altri. La nostra vera identità, il nostro vero destino, si compie nel momento in cui accettiamo quella parte di sofferenza e di sacrificio che può accompagnare la nostra missione.

Alla fine, la domanda fondamentale rimane: Chi sono io?. Questa domanda non trova risposta solo in ciò che gli altri pensano di noi, né solo in ciò che noi stessi pensiamo di essere. La nostra identità si rivela e si compie solo nel momento in cui entriamo in relazione con Dio e con il suo progetto per la nostra vita.

Come Gesù, anche noi siamo chiamati a vivere una vita che porta con sé la sofferenza, ma che trova compimento nella risurrezione, nel dono totale di sé per gli altri. Solo così possiamo davvero scoprire chi siamo destinati a essere e trovare il compimento della nostra esistenza.

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