Una bellissima riflessione da ascoltare attentamente: chi sei tu? Dove cerchi la felicità?
Dalla lettura del vangelo di Giovanni al capitolo 15, si avvia la riflessione del vescovo Mario ispirata dalla domanda su come capire che il Signore chiama, «anzi chiama proprio me», come sottolinea. «Si comincia a capire che c’è una chiamata e di essere amati quando intuiamo che siamo unici, come nessun altro, che siamo originali, non essendo la copia di nessuno, anche se si può somigliare ai genitori o ai fratelli».
«Ascoltate – prosegue l’Arcivescovo – la parola di Gesù, che vi sta parlando come un amico vivo. La pagina che abbiamo appena ascoltato è una delle più belle del vangelo ed è per ciascuno di voi. Sono chiamato perché sento che questa parola di Gesù mi consola e mi commuove». Il riferimento è al termine “amici, vi ho chiamato amici”, che ricorre in Giovanni e che, spiega l’Arcivescovo, «mi ha sempre accompagnato nella vita così come la frase “che la vostra gioia sia piena”».
Poi, un secondo richiamo alla necessità di un ascolto personale del vangelo e a comprendere «come si è fatti, quali siano i desideri che inseguiamo, capire ciò che dà gioia davvero e non le fantasie che appassionano nel momento, che seducono o eccitano, di cui magari, poi, ci si vergogna o che deprimono».
Un accenno è al tema, delicatissimo nell’adolescenza, del corpo. «Anche il corpo mi dice qualcosa di me stesso», sottolinea monsignor Delpini. «Questo è oggi un tema molto inquietante, perché spesso si ha l’impressione di non trovarsi bene nel nostro corpo, ma il corpo non è una prigione dell’anima, ma è il luogo in cui l’anima può diventare relazione con gli altri, Che relazione devo stabilire essendo io un maschio o una femmina? L’amicizia, l’amore sono modi con cui il Signore ci chiama. Chiediamoci se i rapporti che stabiliamo ci rendono migliori oppure trattengono nella mediocrità o, addirittura, ci rendono più squallidi».
Questa parola "chiamati", "chiamati per nome", chiamati così come siamo. Questa parola che accompagna tutta la veglia mi pare che abbia bisogno che noi rispondiamo a questa domanda: come faccio a capire che il Signore mi chiama e a che cosa mi chiama? Perché è vero che ciascuno di noi è chiamato per nome ma come faccio io a percepire, a non farla diventare una teoria ma una esperienza.
Prima di tutto mi pare che uno comincia a capire di essere chiamato quando comincia a capire che lui è come nessuno, cioè che è unico. Forse è la vostra età quella in cui dice "a me dicono sei tutto tuo padre" invece uno dice "si, magari assomiglio a mio padre" ma io vedo anzitutto che sono diverso da mio padre. "h, ma voi si vede che siete fratelli perché siete proprio uguali". Sì, noi siamo fratelli. Ma io sono diverso da mio fratello. "Eh, tu hai tutta la faccia di tuo nonno". Sì, forse avrò qualche tratto però ecco mi pare che il momento in cui si capisce che c'è una chiamata è quando uno comincia a capire che è originale. Ecco che è unico, che non sta dentro nessuno schema, che non è attribuibile a nessuno. Non è fotocopia di nessuno. Ecco, questa è la prima cosa e credo che forse è proprio alla vostra età che si comincia a capire che non possiamo essere semplicemente il figlio di, il fratello di, il nipote di, l'amico di. Ecco, ciascuno è originale.
Poi una seconda traccia per capire cimeli Signore mi chiama è proprio l'ascoltare la parola di Gesù non come un libro che viene letto ma come un amico che mi parla. Ascoltare la parola di Gesù. Questo è veramente un esercizio difficile, perché io vedo quando viene letto il Vangelo come vi comportate. Siete lì, siete bravi, ma non è che dite "questa parola mi riguarda, Gesù mi sta parlando". No, sono qui a messa, sono qui all'incontro. E va bene, facciamo silenzio intanto... Ascoltare Gesù come un amico vivo e dire: "Ch cosa mi ha detto questo Vangelo che abbiamo ascoltato?" Che cosa mi ha detto? E se voi fate questo esercizio, quando voi ascoltate una pagina del Vangelo e dite: "Ah, ecco, questa parola è per me". Io non so quale parola ciascuno di voi...qui ci sono delle parole bellissime. Magari uno dice "vabbè, questo l'ho già sentito tante volte invece questa mi ha colpito". Ecco, capire che io sono chiamato perché sento che qualche parola di Gesù mi tocca veramente, mi parla, mi commuove, mi consola, mi rimprovera. E quale parola di questo Vangelo mi ha colpito. Per esempio questa parola, "amici", è una parola che mi ha sempre accompagnato nella mia vita. Vi ho chiamato amici, Gesù mi ha detto così. Oppure quell'altra parola che dice "la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena", anche questa per me è una parola decisiva. Però, ecco, io adesso faccio l'esempio per parlare di per me però credo che ciascuno di voi dovrebbe dire "ma se io rileggo questa pagina del Vangelo, oppure intanto che l'ascolto, cosa mi dice Gesù? Cioè non è tanto il lettore o il prete, quello che sia che legge, ma queste persone sono strumenti perché Gesù mi parli. E Gesù mi chiama proprio facendomi giungere la sua voce. Questa è la seconda cosa.
Quindi: la percezione dell'originalità. Io sono come nessun altro. Secondo l'ascolto personale del Vangelo come rivolto a me.
La terza cosa è capire come sono fatto. Cioè per dire, come è fatto il mio animo? Per esempio quali sono i desideri che io inseguo nelle mie fantasie e dopo averli inseguiti sono contento. Immagino di fare una cosa nella vita e poi capisco che questa cosa mi darebbe gioia. Ecco, questo è un segno che forse è quella lì la strada. Oppure io inseguo una fantasia che mi appassiona magari sul momento. Ma quando finisce questa fantasia dice "ma è una cosa però che mi vergognerei di fare, che non sarei contento di me stesso". Ecco i desideri che ci danno gioia e i desideri che ci seducono, ci eccitano, però non ci danno gioia. Anzi, uno dice che forse si vergogna persino di averle pensate certe cose. Ecco, come sono fatto io? Perché alcuni desideri mi attirano e mi danno gioia e altri mi deprimono e mi inducono a non avere tanta stima di me. Cioè, se io sono un uomo e tu sei una donna...anche il corpo mi dice qualcosa di me stesso, ed oggi questo tema è molto inquietante perché talvolta uno ha l'impressione di non trovarsi bene nel suo corpo e invece il corpo non è una prigione dell'anima ma è il luogo in cui l'anima può diventare relazione con gli altri. e, quindi, che relazione devo stabilire io con gli altri? Io che sono maschio, io che sono femmina? vorrà dire una relazione femminile o maschile. Ecco, questo tema dell'amicizia e dell'amore è un modo con cui il Signore mi chiama. I rapporti che io stabilisco mi piacciono, mi rendo migliore? Oppure mi trattengono nella mediocrità o addirittura mi rendono un pò squallido. Ecco, io vorrei fermarmi qui.
Se per rispondere alla domanda "come faccio a capire che il Signore mi chiama?" io risponderei con queste tre piste da seguire: la prima, percepire la mia originalità; la seconda, la relazione con Gesù vivo che dice delle parole apposta per me, quelle che mi toccano se sto attento; la terza, come sono fatto io, quali desideri, quali tratti fisici corporei, quale capacità di amicizia, di amore?
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Tratto da: chiesadimilano.it
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