Ciao Mamma, io me ne vado...

Cresce ogni anno il numero dei ragazzi che se ne va dall'Italia. Aria irrespirabile, dicono. Se vuoi crescere devi andartene. Sembra che qui non ci sia posto per chi ci sa fare.

Ciao Mamma, io me ne vado...

da Attualità

del 30 aprile 2008

“Enrico, dove vai?”, “Parto, vado in Germania”, “E quando torni?”, “Non lo so, forse mai. Che ci resto a fare qui? In Italia trovi lavoro soltanto se sei raccomandato, ti pagano poco, non fai carriera e non cresci professionalmente. Me ne voglio andare, tornerò qui per le vacanze”.

L’estero esercita sui giovani del Bel Paese un’attrazione sempre maggiore. Sfiduciati dalla dequalificazione e provincializzazione delle Università italiane (alle quali sono approdati dopo essere sopravvissuti allo sfacelo delle scuole precedenti), scoraggiati e imbarazzati dalla triste, ridicola e degradata situazione politica in cui il bene comune non si sa più cosa sia, depressi da un quadro occupazionale ed economico decisamente nero, spaventati dallo spettro della povertà, studenti e neolaureati attraversano le Alpi e volano altrove. La tendenza è forte e pare inarrestabile. Oggi studiano all’estero già il 14 per cento dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni e il 30% degli universitari. Vent’anni fa, per esempio, erano poco più di 200 coloro che partivano col programma Erasmus, contro i circa 20 mila all’anno attuali...

La “fuga” degli studenti in cerca di università di alto livello e inserite in circuiti internazionali si quantifica in 40 mila giovani che ogni anno sbarcano in Paesi come la Germania (soprattutto), Inghilterra, Austria, Svizzera, Stati Uniti, Francia, Spagna. E il 4% non fa più ritorno. Sono dati recenti del Censis, da cui emerge anche come i giovani siano attratti dalla valorizzazione della meritocrazia che all’estero consente di trovare lavoro con una semplice inserzione e non tramite conoscenze.

I numeri di questo fenomeno sono in crescita, ma per adesso restano comunque contenuti sul totale della popolazione studentesca italiana. Mica tutti possono permettersi di andare a studiare all'estero, così molti si accontentano – dopo la laurea triennale, giusto per chiarirsi le idee – di un’esperienza formativa in un Paese straniero della durata di pochi mesi o al massimo di un anno.

Matteo, per esempio, conta di fare questo. Ma i suoi genitori non sono affatto convinti e in famiglia si è scatenato un serio conflitto. Ciò che lascia perplessi papà e mamma è che il loro bambino perda un anno di studio e faccia scelte avventate spinto in Australia dall’amore verso una ragazza venezuelana conosciuta tempo prima, anche lei tra i canguri in cerca di un lavoro. Non essendo riusciti a convincerlo a rimanere, gli hanno negato il foraggio: “Se vuoi proprio andare – gli hanno detto – trovati i soldi per pagarti il viaggio”.

E così è stato. Enrico ha lavorato per alcuni mesi in un call center, 20 ore a settimana, mentre preparava gli ultimi esami universitari e la tesina. Adesso è pronto a partire. “Mi dispiace per i miei – dice – Continuano ad essere contrari. E’ vero, raggiungo la mia ragazza, ma non credo di fare una scelta avventata. Voglio andare lì a imparare meglio l’inglese, a lavorare, arricchire il mio curriculum con un’esperienza formativa all’estero. Quando tornerò, completerò il ciclo di studi universitari”.

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le proposte per chi vuole studiare e lavorare nei Paesi d’oltralpe. L’Unione Europea, il ministero degli Esteri, i centri “Informagiovani”, “Socrates”, “Leonardo” ecc. offrono un ampio ventaglio di possibilità, prontamente colte da giovani che hanno voglia di cambiare aria e farsi nuove esperienze. Lasciando in Italia genitori a volte inconsolabili e incapaci di comprendere certe scelte. Roberta è figlia unica, si è laureata da poco e adesso vuole andare all’estero col ragazzo, anche lui laureato, per un po’. “Quando, due anni fa, sono andata in Spagna con Erasmus – racconta - mia madre ha pianto per non so quanti giorni, non voleva farmi andare via, mi chiedeva perché volevo stare lontana dalla mia famiglia, dalla mia casa, non stavo bene con loro?”.

“Io abito al Sud – continua Roberta - in un paesino di 20 mila abitanti: che lavoro posso trovare lì, quali prospettive ho? Il mio fidanzato ha studiato ingegneria a Torino e non concepisce proprio l’idea di tornare in questo buco. Vogliamo partire, vedere, guardarci intorno, capire quali possibilità abbiamo all’estero. Ci spinge il desiderio di evadere, ma soprattutto il bisogno di allargare i nostri orizzonti. Sarà dura per i miei, lo so, ma non posso e non voglio restare”.

Chiamarli mammoni non si può, ma la strada verso l’autonomia è ancora lunga. Si va all’estero contenti ed eccitati di fronte a una nuova esperienza, ma per lo più si tratta di una bella parentesi che si chiude con il ritorno a casa, dove si aggiorna il proprio curriculum vitae e ha inizio la lunga trafila per trovare un lavoro.

“Una trafila tutta italiana – dice Luigi esasperato – Sono tornato dall’America 6 mesi fa, ho spedito non so più quanti curriculum, ho risposto ad annunci e messo inserzioni, ho mobilitato la mia famiglia, parenti, amici e amici di amici. Niente di niente. All’estero ho conosciuto un ragazzo italiano che ha deciso di rimanere lì. Siamo ancora in contatto. Nell’ultima mail mi ha scritto che già da mesi ha trovato un lavoro ben pagato che gli piace molto e di tornare in Italia non se ne parla nemmeno, se non in vacanza. Anch’io ho voglia di andarmene dall’Italia, mi sembra di essere in un Paese del Terzo mondo”. Da studente desideroso di allargare i propri orizzonti a immigrato, insomma. E come lui, tanti altri. 

Patrizia Spagnolo

http://www.dimensioni.org

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