Civil Week Lab

Lo scrittore e professore ha aperto l’evento alla Bocconi: «Non si possono privare i giovani del desiderio. Devono essere messi in condizione di essere vivi e non esseri viventi»

In un Paese «con nove milioni di studenti e un milione di insegnanti» c’è «bisogno di assumere insegnanti, non di comprare banchi»: è quella strada per «non privare i giovani del desiderio», cioè dell’unica cosa che può renderli «vivi e non semplicemente viventi». Riassumere Alessandro D’Avenia, come ben sa chiunque abbia seguito in streaming su corriere.itl’intervento dello scrittore e professore nella prima serata di Civil Week Lab, non è che sia impossibile: è un delitto. 

E quindi quel che segue è niente rispetto all’originale,m che potrete ancora recuperare online nei prossimi giorni. «C’è una bella differenza – ha esordito – tra stare al mondo e essere messi al mondo. E io vedo in giro tanti ragazzi che non sono nati, pur essendo nati. Perché? Perché se io non consegno a un bambino l’energia del desiderio di impedisco di nascere veramente». La riflessione ha a che vedere molto da vicino col tema della scuola oggi. 

Ma non oggi nel senso del dopo-pandemia: «Uno studio del 2016 attestava che già allora il 73 per cento degli studenti italiani a scuola provava malessere. Stava male. Già allora, non per la Dad. E abbiamo pensato che metterli davanti a uno schermo per sei ore al giorno fosse quello di cui avevano bisogno. Così come prima li mettevamo dietro un banco. La nostra idea di scuola era fallimentare già allora». 

Di cosa hanno bisogno invece? Qual è la parola da cuoi bisogna ripartire? «La parola cura». Una società si misura «da come si prende cura dei suoi giovani e delle sue persone fragili: dalle scuole e dagli ospedali». Strutture entrambe malate di «troppa burocrazia». Bisogna ripartire dalla «cura» come «contatto». E smettere di riempire bambini e ragazzi di «oggetti» di «istruzioni» di «cose che li mettano al sicuro», smettere di chiedere loro «cosa vuoi fare DA grande» e chiedere invece «cosa vuoi fare DI grande».


di Paolo Foschini

tratto da corriere.it

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