I nuovi mezzi di comunicazione offrono la possibilità di favorire i contatti, azzerano le distanze e il tempo; ma non tolgono la solitudine. “Ed è tutto intorno a te” e “Il tempo è tuo: vivilo”: sono due slogan di un famoso marchio di telefonini. Sicuramente due messaggi allettanti. Uno ci rende perno del mondo, l'altro ci fa padroni del tempo. Una campagna pubblicitaria estremamente vincente...
del 03 gennaio 2006
Chi li demonizza, chi li osanna. I nuovi mezzi di comunicazione spaccano a metà i giudizi della gente. C’è chi li trova indispensabili e li considera, con orgoglio, un nuovo traguardo della tecnica; chi li accusa di impoverire la comunicazione e le perfino le persone stesse che li usano.
Forse non è banale ricordarci che, come avviene quasi sempre, non è il mezzo ad essere in sé buono o cattivo, ad arricchire o a svilire, ma è l’uso che l’uomo ne fa a renderlo più o meno buono, a far cambiare le cose. Lasciando da parte questo discorso, di certo ci sono dei cambiamenti effettivi nel modo di comunicare, soprattutto tra i giovani. Quali sono dunque queste “novità”?
 
 
Il tempo e lo spazio
 
“Ed è tutto intorno a te” e “Il tempo è tuo: vivilo”: sono due slogan di un famoso marchio di telefonini. Sicuramente due messaggi allettanti. Uno ci rende perno del mondo, l’altro ci fa padroni del tempo. Una campagna pubblicitaria estremamente vincente, che va a sottolineare due degli aspetti più innovativi che queste nuove tecnologie hanno portato nella nostra quotidianità: con i nuovi mezzi di comunicazione e le loro sbalorditive potenzialità, le barriere dello spazio e del tempo risultano ormai quasi azzerate. Ad esempio la mail, la “nipote” della tradizionale lettera, traduce il messaggio scritto in un insieme impulsi, permettendo di trasmettere delle informazioni in maniera quasi istantanea da un capo all’altro del mondo. Senza dubbio sono però i videotelefonini che ci mostrano come anche le distanze si siano ridotte in maniera vertiginosa.
Quelle in cui viviamo sembrano quindi essere nuove coordinate “spazio-tempo”, a volte molto “soggettive”.
L’estrema varietà dei mezzi di comunicazione e il loro progressivo diventare generi di consumo facilmente accessibili a tutti hanno portato sicuramente dei vantaggi notevoli: le loro enormi potenzialità e le opportunità sono note a tutti. Il loro uso comporta dei rischi? Alcuni dei pericoli che la nuova tecnologia può comportare sono ben conosciuti: lasciamo alla giustizia il compito di indagare sui pedofili che inquinano il web e le chat, adescando piccoli e ingenui navigatori, e ai linguisti quello di studiare quanto gli sms impoveriscano l’italiano.
Oltre a questo e a molti altri macro-esempi, alcuni accusano la nuova tecnologia di rendere molto poveri non solo la forma ma gli stessi contenuti della comunicazione. Quasi tutti però abbiamo esempi, anche personali, di telefonate o di mail molto importanti che fanno vedere quanto banale e irritante sia questo tipo di osservazione.
 
 
Il consumo critico
 
SMS
Citiamo solo qualche  esempio, che non ha la pretesa di esaurire questo capitolo sull’ “etica” della comunicazione, ma che ambisce a offrire solo alcuni spunti di riflessione.
Parliamo degli sms. Piccoli messaggi di massimo 160 caratteri, entro i quali cerchiamo di trasmettere al meglio informazioni, idee, sentimenti… É stato una rivoluzione per i telefonini, che ha portato ad un grande cambiamento del modo di comunicare tramite cellulare: da verbale il messaggio è diventato scritto. Questo ha favorito anche la nascita di “nuova grammatica” che deve obbedire al criterio di sinteticità e che quindi è basata su abbreviazioni, sigle, emoticons (quelle piccole faccine che si costruiscono con i segni di interpunzione e delle quali ci sono veri e propri vocabolarietti). Certo, a seconda dei punti di vista e delle situazioni, è indubbio che gli sms possono essere utili (ad esempio possono togliere chili di ansia alle mamme che aspettano i figli), inutili (come quelli che ci si spedisce non per un reale bisogno ma semplicemente per sfruttare al massimo la promozione del momento), possono costituire un aiuto (magari a una persona timida permettono di dare il “la” a una conversazione o di esprimersi meglio) ma anche una maschera (alcuni lo trovano un mezzo ideale per non dire le cose in faccia)… É impensabile cercare di elencare i motivi per cui si ricorre ai messaggi. È interessante però notare che quasi tutti i telefonini oggi siano dotati dei “messaggi predefiniti”, di una serie di messaggi cioè già registrati nella memoria del telefonino, pronti all’uso: accettabili il “sono in ritardo”o “sono in riunione”, ma (ed evitiamo toni paternalistici) la presenza del messaggio predefinito “ti amo” fa per lo meno riflettere.
 
L’attesa
Tornando all’uso “primitivo” del telefonino, è interessante osservare che anche il modello più elementare (quello cioè senza lettore mp3, senza la possibilità delle videochiamate né dell’accesso a internet…) ha comportato un ulteriore cambiamento rispetto alla tradizionale comunicazione: l’attesa non c’è. Il tempo tra il desiderio di ricevere la risposta e la sua realizzazione è molto ridotto e contemporaneamente si è abbassa la tolleranza della prima potenziale frustrazione (cioè l’intervallo indeterminato tra la chiamata e la risposta). La parola d’ordine dei cellulari è “immediatezza”.
Quando l’attesa si protrae, ci si infastidisce, ci si chiede dove sia il nostro interlocutore (invece di stupirsi del fatto che molto spesso dovunque sia abbia sempre il telefono con sé!); può perfino scattare il dubbio: c’è ma non risponde. Un dubbio con cui abbiamo imparato a convivere grazie anche ad altri congegni tecnologici, quale ad esempio la segreteria telefonica, strumento che azioniamo sia per non perdere i messaggi quando non possiamo rispondere (ma è veramente una questione così vitale?) sia quando ci arroghiamo il diritto di scegliere se rispondere o meno a una chiamata. Così a volte, quando la risposta si fa attendere, cadiamo nel sospetto che “quella persona possa benissimo essere lì, ma che, per una ragione qualsiasi, ti ignori. C’è una sorta di accettazione… del fatto che non puoi chiamare una persona e aspettarti che ti risponda per forza. E tu sai che, a tua volta, non sempre rispondi quando ti chiamano, e che quindi non c’è da prendersela ” (da J. Hillman e M. Ventura, Cent’anni di psicanalisi. E il mondo va sempre peggio).
 
Le chat
Spendiamo qualche osservazione sul mondo delle chat. Certamente può essere un simpatico modo di passare il tempo, un semplice gioco-divertimento che permette di comunicare con persone sparse in tutto il mondo, di scambiarsi notizie, idee, informazioni. Eppure uno dei rischi possibili è che a volte diventi un “vivere in sordina”, chissà, forse per paura: in fondo chi scrive è solo, libero di usare allusioni, giochi di parole, nickname. Si propone in una realtà che non è reale. Probabilmente vivere emozioni, amicizie e rapporti 'virtuali' presuppone che anche le delusioni e lo sofferenze lo siano. Forse questo è un compromesso che alcuni, per evitare le sofferenze del nostro mondo reale, sono disposti ad accettare. La motivazione che spinge ad instaurare rapporti via chat potrebbe essere anche la paura dell’altro. In tal caso lo schermo del computer sarebbe un meccanismo che assicura protezione e che contemporaneamente permette di avvicinarsi al proprio interlocutore, favorendo una conoscenza che però non necessariamente obbliga a doverlo accettare e incontrare in tutta la sua diversità.
È interessante anche riflettere sui contatti che la chat offrono: indiscutibile è il vantaggio di poter raggiungere un elevato numero di persone; resta dubbia la pretesa di riuscire ad instaurare con queste persone un rapporto che vada appena oltre la superficialità. Con ciò non si intende che le conversazioni in chat siano sempre banali… Anzi, stupisce molto il fatto che a volte esse diventino così intime, offrendo al proprio (o ai propri) interlocutore on-line, con il quale la stragrande maggioranza delle volte non si sono condivise pratiche di vita, uno spaccato molto preciso della propria intimità.
 
 
Velocità come valore sommo: rock e lento
 
È la straordinaria rapidità che caratterizza queste nuove tecnologie che le rende una novità assoluta rispetto ai precedenti mezzi di comunicazione. Nel nostro mondo, dove non solo panta rei, ma panta rei veloce, (non solo tutto scorre, ma tutto corre proprio velocemente), l’aggettivo “lento” sembra essersi colorato di una valenza solo negativa (basti pensare all’uso delle parole rock e lento da parte di Celentano in Realpolitik). Videotelefonini, webcam, l’adsl offrono servizi di gran lunga migliori dei vecchi cellulari e dei primi sistemi di videocomunicazione. Così, paradossalmente, il telefonino dell’anno scorso è “giurassico”... Ci troviamo in un mondo in cui conviviamo e facciamo sempre i conti con queste velocità assurde: è angosciante, ad esempio, la consapevolezza che, entrando in un negozio di informatica per acquistare un computer, sappiamo già che la macchina che (rigorosamente) ci viene presentata come l’ultimo modello uscito, entro qualche mese sarà già vecchia! “La velocità cresce, per nostra scelta, e rilassarsi diventa un lusso che paghiamo: al lavoro corriamo per poterci comprare il riposo della beaty farm; ci riposiamo per essere ancora più efficienti nel correre” (Alessandro Zaltron, Rivista Blu).
Eppure non tutto va così veloce. Ci sono cose che hanno tempi più distesi, altre che hanno tempi biblici... Non per questo sono da sottovalutare, anzi probabilmente profumano di qualcosa che al frenetico uomo moderno manca. Solo un esempio: chi accetterebbe di vedere un’alba registrata e poi proposta in modalità veloce, senza desiderare godersi il tempo reale di quello stupendo spettacolo?
 
 
“Sfiorare” i rapporti
 
È vero, le nuove tecnologie oggi ci offrono possibilità di instaurare moltissimi rapporti e inoltre nelle più svariate parti del mondo che fino a pochi decenni fa erano impensabili. Ma è questo quello a cui aspira l’uomo? È avere tutti i 150 posti della rubrica telefonica del proprio cellulare pieni che gli assicura di essere felice o di sentirsi realizzato? O anche se è veramente così… ci si può sentire tristi e soli?
La molteplicità dei rapporti che le nuove tecnologie favoriscono va spesso a discapito della loro profondità; non stupisce allora notare che, nonostante tutti questi potentissimi mezzi, la solitudine non sia certo scomparsa all’alba del nostro nuovo millennio. E osservare che i rapporti più quotidiani siano a volte proprio quelli meno curati. “Posso guardare trentaquattro canali televisivi, posso prendere il fax e comunicare con gente di qualunque parte del mondo, posso essere contemporaneamente dovunque, posso volare da un capo all’altro del paese, possiedo un dispositivo che mi permette di ricevere due telefonate contemporaneamente. Vivo dappertutto e in nessuno posto. Eppure non so chi abita alla porta accanto. Chi vive nell’appartamento accanto al mio? Chi c’è al 14B?” (J. Hillman e M. Ventura Cent’anni di psicanalisi. E il mondo va sempre peggio).
 
 
Una solitudine possibile anche nella e-generation?
 
C’è dunque chi afferma, non senza ragione, che in questi anni la solitudine, nonostante in teoria ci siano i mezzi per abbatterla, stia addirittura aumentando. Non sono poche le persone che ci mettono in guardia da questo pericolo. Non sono solo voci di scrittori (ad esempio un autore contemporaneo polacco, Głowacki, identificando New York come emblema di città strapiena di gente, afferma: “Forse in nessun luogo al mondo c’è tanta gente sola. Poveri e ricchi, donne e uomini che la sera si siedono nei bar e aspettano. Forse proprio a causa della folla la solitudine di New York è così dolorosa”), ma anche quelle di studiosi. Interessante è ad esempio il 6° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza condotto dal Telefono Azzurro e dall’Eurispes (Istituto di studi politici economici e sociali). La ricerca parte dalla consapevolezza che in questi anni sono cambiati totalmente i modelli comunicativi e relazionali, tanto da rendere necessario assegnare alla nuova generazione europea un nuovo nome: la e-generation. È la generazione cioè che vive da protagonista l’epoca delle Information Communication Technology.
A proposito di internet ad esempio, dopo aver rilevato che ben il 46,8% dei bambini (7-11 anni) è in grado di navigare e lo fa regolarmente, lo studio si sofferma su varie peculiarità dei nuovi mezzi di comunicazione. Estremamente interessanti sono a questo proposito le comunità virtuali. Le persone (non solo i bambini) che frequentano la rete e non la intendono solo come biblioteca ricchissima di informazioni ma anche come luogo e occasione di incontro, stanno aumentando sempre più. Così la rete può diventare “luogo” delle relazioni interpersonali. La discrezione e l’informalità, che sono proprie della rete, soddisfano le esigenze di molte persone. Tuttavia è sempre bene fare attenzione, per riconoscere che cosa si possa nascondere dietro questa apparente cordialità e riservatezza. Come coscientemente la ricerca mette in guardia: “Il tempo che gli utenti trascorrono nelle comunità risulta in media superiore rispetto a quello passato negli altri servizi; anche per questo molte società commerciali le utilizzano come strumento di fidelizzazione e come veicolo pubblicitario particolarmente appetibile”.
Citiamo solo un altro esempio, spostando l’attenzione da internet ai cellulari: il 96,4% del campione di adolescenti preso in considerazione dalla ricerca possiede un telefonino tutto suo. Fra i ragazzi di 12-14 anni il telefonino personale è lievemente meno diffuso (93,3%) che fra quelli di 17-19 anni (97,7%).
Eppure da questa stessa ricerca emerge che già i bambini di questa nuova generazione (quindi forse a un livello più ingenuo ma genuino) sembrano percepire l’aridità di alcuni di questi rapporti: nonostante il numero di amicizie e conoscenze on-line, interrogati su quale sia la cosa che di più li spaventa, la risposta che risulta dominante è  la solitudine (45,6%).
 
 
Il bisogno di comunità
 
 La nostra società sembra esaltare l’individuo a discapito della dimensione collettiva. Così, in un “gioco” dove le regole sono solo i doveri e i diritti della persona, il modo di procedere consigliato è quello di  sventolare la bandiera della propria libertà. Questo però non soddisfa il cuore dell’uomo, che, lungi dal rispondere solo a bisogni animali (cf.: «non esiste solo la logica dell’utile!»), per essere sereno deve trovare risposta anche a bisogni profondamente umani. Il condividere con delle persone la propria vita, la fiducia, la rinuncia ad un relativismo esasperato in nome di ideali comuni... L’uomo ha bisogno di una comunità, di riti, di simboli; ha bisogno degli altri, del loro affetto… della loro presenza fisica, del ritrovarsi insieme, dello stare con loro, di incontri in carne ed ossa, di un abbraccio, di asciugare una lacrima, di gustare un sorriso non mediato da una telecamera.
Se all’uomo manca la sicurezza che una comunità offre, ecco che incappa nella sfiducia esistenziale e che sprofonda in una lacerante solitudine. Molti intuiscono questo bisogno di comunità e si industriano per darsi una risposta. In fondo, anche parlando dei nuovi mezzi di comunicazione, si nota il tentativo di creare comunità. Un esempio per tutti: il linguaggio degli sms, che sembra voler creare uno spazio protetto, caldo, dove gli intrusi non capiscono i messaggi. Resta da chiedersi se qualsiasi  rito e comunità che esso genera e alimenta riesca a soddisfare i bisogni vitali del cuore dell’uomo.
 
 
Bibliografia
Zygmunt Barman, Voglia di comunità
Zygmunt Barman, La solitudine del cittadino globale
James Hillman e Michael Ventura, Cent’anni di psicanalisi. E il mondo va sempre peggio.<>
Grazia Taverna
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