A distanza di pochi anni la città di nuovo in ginocchio a spalare nelle strade, nei negozi, nelle cantine. E la sorpresa di quei volti lieti, di ragazzi «con il desiderio di fare qualcosa per qualcuno».
Genova è di nuovo nel fango: dopo tre anni un'alluvione ancora più devastante della precedente ha colpito le stesse zone, allargando il fronte, distruggendo cose e case "di povera gente", come diceva uno di noi. Così la realtà si è imposta di nuovo, oltre i nostri piani, anche buoni.
Cosa aspettavamo davvero? Con questa domanda nel cuore ci siamo imbattuti nello sconvolgimento della nostra città: la scena si ripete, migliaia di ragazzi si spandono per le strade e diventano un popolo al lavoro senza posa.
E noi più grandi con loro, andiamo a vedere e a dare una mano. L'impatto è con volti lieti, fieri, e c'è come un fremito nei mille sguardi che incontro: tanti sono miei alunni, venuti con me o incontrati per caso. Alcuni indossano le magliette degli "angeli del fango" di tre anni fa. Ma come è possibile? Ragazzi normali, presi dal loro consueto disordine, dalla vita che incalza: come può essere che abbiano ritrovato quella maglietta, l'abbiano indossata di nuovo?
Inizio pian piano a vedere: davanti a me c'è lo spettacolo del cuore umano. I ragazzi hanno desideri grandi, vogliono vivere per qualcosa e per qualcuno, sperano in una utilità del loro esserci, non si arrendono. Anzi, camminano eretti… nel fango. Mi scopro a guardarli commossa, e una di loro mi dice: «Ieri sono tornata a casa sporchissima, i miei mi hanno bloccato perché non spargessi fango in giro. Ma sono così felice, è stato così bello!».
Mi torna in mente L'illogica allegria di Gaber, che Carrón ci ha fatto scoprire: è il ritornello con cui li guardo e li accompagno. La realtà, se si impone, ci ridesta. C'è come una letizia strana che noi abbiamo il compito di accompagnare. Vorrei abbracciarli tutti.
Noi siamo lì, forse, principalmente per questo: perché abbiamo nel cuore la certezza della strada, e allora possiamo raccogliere il fango pensando alle donne di Rose, o guardare il dolore con tenerezza e accompagnare i ragazzi seguendoli nel loro impeto buono, seguendo letteralmente alcuni di loro "più grandi" che si sono imposti e ci hanno aiutato a essere insieme, rispondendo alle richieste di tutti. E magari questi "grandi" hanno i loro impicci, magari hanno perso il lavoro o lavorano troppo, si stanno per sposare o hanno in piedi questioni importanti. Ma di colpo, improvvisamente, si son trovati a servire e a condurre servendo, in questo weekend così strano. Strano come lasciarci stasera, dopo una giornata di lavoro, infangati e intristiti per la nostra città ma nello stesso tempo lieti, certi che siamo insieme per camminare seguendo, per amare perché molto amati.
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