Considerazioni intorno alla sensibilità spirituale di don Bosco e chiavi interpr...

Mi pare opportuno offrire alcune considerazioni e sei chiavi interpretative che possano aiutare a comprendere alla spiritualità di don Bosco e, in particolare, a leggere con frutto l'antologia di tesi allestita per questo terzo anno di preparazione al Bicentenario della nascita del nostro Padre.

Considerazioni intorno alla sensibilità spirituale di don Bosco e chiavi interpretative per accostare il suo insegnamento

 

Don Bosco è uno scrittore molto prolifico. Tuttavia non è ritenuto un “autore spirituale”, nel senso specifico del termine. Fra la quantità e la varietà delle sue opere e dei suoi scritti non troviamo testi analoghi alle testimonianze autobiografiche di santa Teresa d’Ávila, di san Giovanni della Croce o di Teresa di Lisieux. Né egli ha composto trattati o manuali di vita spirituale affini agli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, al Combattimento spirituale di Lorenzo Scupoli, alla Introduzione alla vita devota di Francesco di Sales, all’Esercizio di perfezione e di virtù cristiane di Alonso Rodriguez o alle operette ascetiche di sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Ma è altrettanto certo che don Bosco, educatore cristiano della gioventù, fondatore di famiglie di consacrati e di consacrate, è stato un uomo di profonda vita interiore e una vera guida spirituale. Lo riconoscono coloro che sono stati da lui formati. Lo dimostra la vasta e vivace fioritura di santità salesiana nel tempo.

In verità egli ci ha lasciato una sostanziosa testimonianza del suo insegnamento spirituale sparsa nei numerosi scritti e documentata nelle memorie raccolte dai discepoli. Per questo può essere considerato un “maestro di vita spirituale” nel senso specifico della parola: per la sua fecondissima azione di formatore di santi, di direttore spirituale di comunità e di singoli, di fondatore di congregazioni, di iniziatore di un movimento storico dai tratti inconfondibili, che si configura come una feconda scuola di santità cristiana. Dunque, mi pare opportuno offrire alcune considerazioni e sei chiavi interpretative che possano aiutare a comprendere alla spiritualità di don Bosco e, in particolare, a leggere con frutto l’antologia di tesi allestita per questo terzo anno di preparazione al Bicentenario della nascita del nostro Padre.

 

Considerazioni sulla specificità spirituale di don Bosco

 

1. Nell’ambito della storia della spiritualità, se confrontiamo i tratti qualificanti del suo magistero e della sua prassi con quelli di altre scuole spirituali, scopriamo indubbie sintonie con gli insegnamenti di san Francesco di Sales, troviamo anche sostanziosi elementi assimilati, attraverso la scuola di san Giuseppe Cafasso, dalla morale e dall’ascetica di sant’Alfonso de’ Liguori, dalla spiritualità classica, dalla letteratura gesuitica. Nel suo apostolato, poi, specialmente nella luminosa e familiare carità verso i giovani, si intravvedono molti punti di contatto con san Filippo Neri e altri santi educatori della Riforma cattolica.

Tuttavia don Bosco rimane inconfondibile. È vero che, attraverso l’Introduzione alla vita devota e i Trattenimenti spirituali, Francesco di Sales gli trasmette, rielaborata, la sostanza della spiritualità italiana dell’Umanesimo devoto, che enfatizza la bellezza della pietà, sorgente di gaudio spirituale; mantiene l’equilibrio tra volontà umana e grazia; ama semplificare le pratiche per metterle alla portata delle persone più comuni. La scuola spirituale italiana tra 1500 e 1600 ha anche un atteggiamento combattivo, che deriva dalla consapevolezza della presenza nel cuore dell’uomo della “doppia legge”, per cui sprona al “combattimento spirituale”, all’esercizio cioè della mortificazione dei sensi, dell’orazione e della pratica sacramentale, ma in prospettiva di crescita virtuosa e gaudiosa (non nel senso medievale del contemptus mundi). Come Francesco di Sales, don Bosco guarda con ottimismo a questa lotta nella sicurezza della vittoria, per la sua fede nella potenza della grazia santificante, nell’efficacia del sangue di Cristo che feconda lo sforzo umano e rende possibili cammini di santità a tutti, anche ai piccoli, ai ragazzi, agli ultimi.

È qui uno dei sui tratti spirituali caratterizzanti: alla vita virtuosa e alla santità sono chiamati anche i ragazzi, gli adolescenti. In considerazione della struttura psicologica di questi, egli cura le piccole cose, conferisce maggiore importanza alla mortificazione interiore che a quella corporale; fa leva sulla gioia del cuore e sull’affettività nella pietà; insiste sull’unificazione della vita di preghiera e della vita attiva; educa ad uno spirito di adattamento e di conciliazione, senza mai declinare dalla totalità del dono di sé a Dio. Soprattutto spalanca orizzonti di senso, terreni e ultraterreni, affascinanti e stimolanti.

 

2. In don Bosco il “darsi a Dio”, suggerito con insistenza ai giovani, non coincide semplicemente col tradizionale richiamo alla conversione dei predicatori del suo tempo (“Colui il quale differisce la sua conversione corre gran pericolo che gli manchi il tempo, la grazia o la volontà” e rischia l’eterna dannazione: lo aveva sentito da ragazzo a Buttigliera). Nonostante i gusti del tempo, in lui l’esortazione acquista tonalità luminose: è invito ad aprirsi con generosità al primato dell’amore divino, ad offrire la propria vita a Dio senza condizioni e con slancio amoroso, superando ogni attaccamento e ripiegamento, varcando la soglia dei piccoli orizzonti e dei piccoli interessi. Si tratta sostanzialmente di aiutare ciascuno ad appropriarsi, in modo pieno e definitivo, delle promesse battesimali, ad attualizzarle, a realizzare, cioè, il battesimo nella propria condizione di ragazzo o di adolescente come stile di vita, in una sequela innamorata, incondizionata ed entusiasta di Cristo; a mettere gioiosamente e operativamente Dio al centro del proprio vissuto, dei pensieri, degli affetti e degli interessi; e lasciarsi trasfigurare dal suo Spirito.

Il nostro santo Fondatore Bosco è convinto che da questo passo fondamentale scaturisca un potente dinamismo interiore: il solo capace di svegliare le energie più profonde di ciascuno, di maturare persone riuscite e serene, di produrre nel quotidiano frutti spirituali fecondi, di innescare cammini di purificazione e di costruzione virtuosa, di aprire alla santità operativa: cioè ad un vissuto cristiano integrale e gioioso che si esprime nell’esercizio abituale pratico della fede e della carità, nell’unione con Dio, nella fedeltà indiscussa agli impegni presi e ai doveri del proprio stato, in un vissuto fervido, gaudioso, in feconde relazioni umane e in una tensione ardente al compimento perfetto in Dio della “beata speranza”.

 

3. Come possiamo constatare nella vita di don Bosco, nella sua umanità e nell’esperienza di coloro che a lui si sono affidati, la conseguenza di questa scelta è la progressiva maturazione di personalità simpatiche e robuste, connotate da libertà di spirito, da fedeltà, dall’osservanza obbediente e gioiosa, da fortezza d’animo e dalla tenuta nelle avversità, dall’operosità proattiva, dalla capacità di vedere lontano, di guardare oltre; permeate di bontà e di amabilità affettuosa; propense al servizio oblativo del prossimo.

Tutto ciò è anche frutto di un accompagnamento, di un’educazione alla consapevolezza e l’accoglienza di sé (senza scrupoli né angosce), della formazione al superamento di sé attraverso un impegno costante – battagliero e dolce insieme –, di oblatività e servizio verso il prossimo, di equilibrata mortificazione dei sensi, di purificazione del cuore e di esercizio delle virtù. È il risultato di una mistagogia spirituale capace di introdurre alla preghiera, di curare un’interiorità affettuosa con Dio, di formare un atteggiamento progressivo di gioiosa obbedienza alla volontà divina che si traduca anche in umile testimonianza evangelica, in tensione apostolica, in impegno vocazionale a servizio della Chiesa e della società.

Quindi, da questo punto di vista, quella di don Bosco è più un’ascetica che una mistica, anche se il dinamismo centrale è dato soltanto dall’amor di Dio reso operante; anche se il tipo di pietà, di devozione, che egli promuove è caratterizzato dalla perfetta unificazione dell’azione e della contemplazione. E non poteva essere diversamente dato il suo carattere di contemplativo operante e di apostolo della contemporaneità, dato il suo proposito di voler essere luce e sale, lievito evangelico nella città terrestre in prospettiva della città celeste.

 

4. Chi leggerà questa antologia, si accorgerà presto di alcune insistenze, di temi ricorrenti. Sono tratti inconfondibili di don Bosco, come il “servite Domino in laetitia”; come l’insistenza sulla centralità dell’obbedienza quale via di perfetta conformazione a Cristo nel dono di sé; come l’accento posto sulla “bella virtù”, la virtù della castità, perno della maturazione umana e cristiana, via per raggiungere un equilibrio generale degli affetti e un’intimità amorosa e verace con Dio, amato sopra ogni cosa; come la valorizzazione pedagogica dei sacramenti; come la promozione di una forma di devozione mariana inscindibile dal deciso orientamento interiore verso la perfezione virtuosa nella corrispondenza attiva al lavoro della grazia, nello zelo per la gloria di Dio, nello spirito di orazione, nell’esercizio delle virtù quotidiane, nel fervore eucaristico e apostolico: una devozione mariana capace di accendere nel cuore dei giovani il desiderio di più alta perfezione, come scrisse don Caviglia.

Qui va anche collocata l’insistenza sulla frequenza sacramentale e sul compito del confessore-educatore, dell’amico dell’anima che – guadagnata la fiducia e la confidenza del ragazzo –insegna l’arte dell’esame di coscienza, forma alla contrizione perfetta, stimola il proposito efficace, guida sui sentieri delle purificazioni e degli esercizi virtuosi, introduce al gusto della preghiera e alla pratica della presenza di Dio, insegna le vie di una feconda comunione col Cristo eucaristico. Confessione e comunione frequente sono intimamente legate nella pedagogia spirituale di don Bosco. Con la confessione assidua e regolare si promuove la vita “in grazia di Dio” e si alimenta la tensione virtuosa che permette di accostarsi in modo sempre più “degno” alla comunione frequente; nello stesso tempo si creano le condizioni perché attraverso la comunione eucaristica Dio possa prendere “possesso” del cuore in modo definitivo, perché la grazia trovi condizioni interiori ideali che le permettano di operare efficacemente, trasformare e santificare.

Questi caratteri impregnano tutto il magistero spirituale di don Bosco. Anche la spiritualità del religioso e della religiosa salesiana ne è imbevuta. La decisa consegna di sé a Dio proposta ai giovani assume, nella consacrazione religiosa, un movimento più radicale, totalizzante, che accentua il primato assoluto di Dio e le esigenze operative di una sequela incondizionata espressa con la professione dei voti, di una volontà di conformazione al Cristo offerto e immolato. La sostanza è la stessa.

 

Alcune chiavi interpretative per entrare nella visione spirituale di don Bosco

 

Il lettore di oggi, accostando i testi di don Bosco, si rende conto che egli scrive per giovani, per adulti, per religiosi e religiose del suo tempo. È certo che il suo discorso continua ad essere stimolante anche per noi, ma la distanza culturale e spirituale si percepisce. La lettura sfida la nostra capacità di interpretazione, stimola la nostra collaborazione attiva, fa appello alle nostre conoscenze storiche, culturali, teologiche… Quindi, per ridurre la complessità, mi pare conveniente indicare sei chiavi interpretative utili per entrare nella visione e nella sensibilità spirituale di don Bosco e aiutare il lettore di oggi riformulare gli aspetti identitari della sua spiritualità in altri orizzonti culturali e in prospettive teologiche differenti.

 

1. Prima chiave interpretativa: don Bosco, (lo vediamo nei suoi scritti e nelle scelte operative), ha una concezione religiosa della storia. Nel suo modo di vedere, la storia umana e il cuore di ogni singola persona sono il luogo dell’azione salvifica di Dio, in una dialettica perenne tra tempo ed eternità, tra grazia e debolezza, tra peccato e redenzione. Il Dio della Bibbia, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, non è un Dio lontano che osserva gli eventi dall’alto: è vicino, attivo, coinvolto nelle vicende umane; il suo Spirito riempie la terra e la vivifica, la lavora, la fa fruttificare. Inoltre don Bosco è convinto che il sangue di nostro Signore Gesù Cristo per la salvezza dell’umanità, non è versato invano. La grazia e l’amore di Dio per l’uomo, sono più forti di ogni forma di male, di ogni resistenza e opposizione. E l’uomo – per quanto fragile e peccatore – non è abbandonato a se stesso. Il Creatore, in Gesù Salvatore e Redentore, si protende verso di noi, non soltanto per salvarci, ma per santificarci, per trasfigurarci, per unirci a sé nell’amore. Per questo don Bosco ha una fiducia incondizionata in Dio e nella potenza della sua grazia: in quel Dio che si dà a noi totalmente, che offre il suo Figlio unigenito fino al sacrificio della croce perché nessuno vada perduto, perché tutti possano vivere da figli suoi. Dunque, non dubita mai. Scrive ad un parroco scoraggiato nel 1878: [Lei mi dice:] “Sono buono a poco? [Ed io rispondo:] Omnia possum in eo qui me confortat. […] I tempi sono difficili? Furono sempre così, ma Dio non mancò mai del suo aiuto: Christus heri et hodie”2.

 

2. Seconda chiave interpretativa. Da questa visione teologica e da questa indiscussa fede in Dio, deriva la fiducia del nostro Santo nelle risorse interiori dell’uomo, la sua visione ottimista dell’azione educativa e pastorale, e scaturisce la sua luminosa pedagogia spirituale. Anche il giovane più debole, più refrattario, più misero, più distratto e irrequieto nella visione di don Bosco mantiene intatti i lineamenti del volto e del cuore di quel Dio che lo ha creato a sua immagine e somiglianza. Ogni giovane sente dentro di sé, nel profondo, la nostalgia del Padre nostro che è nei cieli e il bisogno di rispondere ai suoi appelli. In quanto creatura di un Dio che è carità, che è amore, ogni ragazzo è ontologicamente (nativamente) aperto all’amore. Ha un bisogno immenso di essere amato e di amare, è sensibile all’amore gratuito, oblativo, all’amicizia disinteressata, alla gentilezza, all’attenzione personale e alla cura individuale, alla relazione umana positiva. Su questo dinamismo interiore don Bosco fa affidamento come pastore e come educatore. A partire da questa certezza si interroga, si dà da fare, sperimenta, non arretra mai, non dispera, va incontro, dialoga, propone, dà fiducia, incoraggia, pazienta, persiste, combatte: insomma, educa, forma, istruisce, accompagna, assiste.

 

3. Terza chiave interpretativa. Don Bosco è anche convinto di essere chiamato e mandato da Dio per la salvezza dei giovani. È certo di aver ricevuto una vocazione per una missione speciale nella chiesa e nel mondo. Una vocazione che – come più volte afferma parlando con i suoi figli e i membri della Famiglia salesiana – è anche nostra. Egli si sente strumento, umile, ma necessario ed efficace della grazia divina. Per questo si fa amico, fratello, padre per far percepire ai giovani il volto amico, paterno e materno di Dio. Questa coscienza, questa fede nella missione ricevuta gli dà coraggio e speranza, perché sa che non gli mancherà l’aiuto del Signore: la chiamata e la missione includono il carisma, la grazia necessaria per l’efficacia. Inoltre, questa consapevolezza gli infonde un forte senso di responsabilità. Come ha imparato da don Cafasso, il pastore, e tutti coloro che hanno ricevuto una vocazione educativa ed evangelica, dovranno rendere strettissimo conto a Dio delle pecorelle che a loro sono state affidate. Sono questi i motivi che inducono don Bosco a rendersi incondizionatamente disponibile nella mani di Dio e ad impegnarsi con tutto se stesso nella missione. Vuole arrivare a tutti. A ciascuno intende comunicare il fuoco della fede e dell’amore che ha dentro di sé. Tutti vuole guadagnare a Dio, convinto in questo modo di cooperare efficacemente alla trasformazione dell’umanità, alla fermentazione cristiana della storia e di giovare alla “salvezza” della società, oltre che delle singole persone.

 

4. Quarta chiave interpretativa. Formato in un concetto fortemente testimoniale dell’azione educativa e pastorale, don Bosco sa per esperienza ed insegna che si può comunicare agli altri solo ciò che si possiede. La persona del pastore e dell’educatore, la sua fede, carità, speranza, il suo spirito di preghiera, di rettitudine, la sua esemplarità morale e la santità della sua vita sono attrattive irresistibili, potentissimi canali comunicativi di una efficace proposta formativa. Così egli fa e così insegna ai suoi collaboratori, adulti o giovani, fin dai primi passi dell’Oratorio.

 

5. Quinta chiave interpretativa. Naturalmente, tutto ciò non significa che non si debba avere un metodo, una strategia pastorale, un “sistema” educativo. Infatti, se con i giovani don Bosco insiste che bisogna “darsi a Dio per tempo”, e che è bello farlo, senza aspettare l’età adulta o la vecchiaia, con gli educatori e i pastori afferma che è fondamentale conquistare il cuore e la fiducia dei giovani mettendo in atto tutte le risorse del sistema preventivo. Insegna anche che non bisogna aver paura di proporre da subito, ma in modo significativo, affascinante, un chiaro percorso di vita cristiana, una sostanziosa spiritualità giovanile. Certo, è necessaria la gradualità, ci vuole una pedagogia della vita spirituale. Bisogna creare le condizioni favorevoli; plasmare ambienti educativi belli e stimolanti, sereni, ricchi di proposte e di presenze umane simpatiche e vivaci, adatte a rendere significativa la proposta. È necessaria la cura dei particolari e delle piccole cose, l’organizzazione dei momenti importanti, la messa a punto di esperienze significative, di percorsi strutturati, di passaggi. È importante la progettazione, l’organizzazione, la regolamentazione, la calendarizzazione e la revisione periodica e attenta. È indispensabile soprattutto centrare la propria attenzione sui ragazzi, dedicarsi alla relazione personale e alla cura del singolo, alla formazione del gruppo oltre che della grande comunità giovanile, garantire un’assistenza efficace e un accompagnamento personalizzato. Qui comprendiamo la sua cura per formare comunità educative e pastorali ben strutturate, la sua insistenza sull’impegno personale degli educatori e sul loro “zelo” ardente e “industrioso”.

 

6. Sesta chiave interpretativa. Dobbiamo tener presente anche un altro aspetto, molto importante nel tempo di don Bosco, che oggi appare critico, soprattutto in Occidente: la fiducia e l’apertura al futuro, l’inclinazione al superamento, alla trascendenza e l’orientamento escatologico. Erano tratti tipici di don Bosco, del suo modo di vivere la fede e di prospettare l’azione educativa e pastorale, ma erano anche caratteristiche dell’ambiente culturale e della visione dei suoi giovani. Allora si faceva affidamento sulle “magnifiche sorti e progressive” – come nota criticamente il poeta Giacomo Leopardi ne La ginestra (1836) –, si era convinti cioè della possibilità e della capacità dell’uomo di progredire sempre, di perfezionarsi, di tendere e raggiungere posizioni sociali e condizioni di vita, economiche, morali, spirituali e civili, migliori; si aveva una fede indiscussa nel progresso. Anche don Bosco partecipava di questa sensibilità, ma in prospettiva squisitamente evangelica. Egli era convinto che ogni giovane, soprattutto quello povero, va educato a guardare oltre, a sperare, a desiderare il riscatto morale e spirituale, a tendere al superamento, al miglioramento di sé; ogni ragazzo va incoraggiato ad aprirsi, ad affrontare la fatica, la lotta, alimentando potentemente la speranza; ognuno va educato a mettersi in ricerca, ad uscire da sé, a migrare fuori del piccolo mondo personale, a superare orizzonti ristretti, proiettandosi verso un “oltre”, un “meglio”, verso un “domani”, un “al di là”, un “paradiso”, temporale ed eterno. Ma soprattutto ad aprirsi all’alterità del Trascendente, del Dio-Amore che solo può permetterci di realizzare i nostri aneliti più profondi e di raggiungere la “salvezza”. Questo fattore don Bosco sapeva orientarlo molto bene, sia nella prospettiva religiosa della santità, della tensione alla perfezione cristiana, sia in quella secolare della cittadinanza responsabile e competente.

 

Mi auguro che, con l’aiuto di queste coordinate e di queste principali chiavi interpretative, la lettura dei testi di don Bosco, dei suoi insegnamenti di vita spirituale, possa risultare molto stimolante per la Famiglia salesiana.

 

 

Don Aldo Giraudo, SdB

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