Cronache dal Centro Italia: ultimi giorni al campo

Nella gioia e nella fatica, avere sempre presente quel punto, per vincere ogni instabilità...

Cronache dal Centro Italia: ultimi giorni al campo

 

Sabato 5 ottobre, il telefono tace. Riccardo non si fa sentire, se escludiamo un semplice ‘buongiorno’ di prima mattina. Verso sera scelgo di rompere gli indugi: gli invio il link del nuovo articolo appena pubblicato, ‘Come stai?’. Nessuna risposta. Sono perplesso: con l’arrivo di nuovi volontari avrebbe dovuto riposare, magari lavorare un po’ meno. Il cruccio mi rimane per tutta la sera: qualcosa non va. Quando mi infilo sotto le coperte è già molto tardi, ho sperato in un messaggio, ma niente. La cena è stata piuttosto pesante, decido di leggere qualcosa per conciliare il sonno. E per fortuna: alle 1.22 il telefono si illumina, ‘Ti chiamo’. Sa che lo sto aspettando.

 

Faccio l’errore di mettere il vivavoce: la stanza esplode in un gracchiare tremendo. La linea è disturbata, c’è un forte vento a San Severino, la comunicazione è quasi impossibile. Tra una folata e l’altra colgo un sentimento che non è stanchezza e nemmeno rassegnazione, pare voler dire: ‘da soli proprio non ce la si fa’. La giornata è stata durissima. Sono arrivati al campo i 28 volontari che si attendevano, ma non hanno portato il sollievo sperato. Le mansioni e i bisogni sono tanti, troppi: ognuno è stato richiesto per altre attività. Tra loro ci sono anche tre nuovi addetti alla segreteria generale. La mattinata è dedicata a spiegar loro il lavoro fatto finora, le modalità di registrazione e censimento, il funzionamento dei turni. Riccardo mi spiega che, una volta tornato a casa, dovrà rimanere reperibile per settimane, nel caso ci fossero problemi o dubbi per il lavoro da lui svolto. Sono allibito: ‘ma se i volontari cambiano ogni 72 ore, come è possibile dare continuità alle operazioni?’. Sorride, ‘è il bello dell’emergenza!’. Lasciata la segreteria alle nuove reclute, nel pomeriggio Riccardo si occupa della parte burocratica: assicurazione e rimborsi per i volontari. Ben presto è però costretto a lasciare la postazione: nel campo sfollati di Cesolo, frazione di San Severino, sono arrivati i computer ed occorre configurarli. Il borgo è per la maggior parte inagibile e si è trasferito all’interno di una palestra. Riccardo svolge le mansioni del tecnico informatico e fa ritorno al palazzetto del Comune. Ma ancora si improvvisa autista per un volontario che ha perso la navetta per uno degli altri quattro campi della città. La giornata sembra non aver fine. E infatti si conclude con una sorpresa inaspettata: l’arrivo di quattro ventenni davvero speciali, tre ragazze e un maschio. Non sono italiani, ma provengono da Austria, Germania, Francia e Croazia. In fin dei conti è questa l’Europa migliore, quella che sa ancora regalare qualche speranza.

 

Domenica è il giorno dei saluti. Addio alle pratiche, ai problemi, alle ore di sonno perdute, alle emergenze, al bancone della segreteria, ai computer da formattare, alla connessione che continua a saltare, alla branda e al sacco a pelo. Ma soprattutto ai volontari e ad una popolazione straordinaria. Sono passati appena quattro giorni, eppure poco è bastato per affezionarsi, per legarsi indissolubilmente. Forse è la vicinanza, forse la condivisione delle difficoltà, o più probabilmente l’umano desiderio d’amore che tutti ci accomuna. E così, nonostante l’ennesima giornata caotica, ogni problema, ogni incomprensione, ogni attimo di scoraggiamento vengono messi da parte. Come non stupirsi di fronte al grande, enorme cuore di queste persone? L’animo si fa calmo, ogni instabilità viene meno, si fa largo una certezza: ‘insieme possiamo tutto’. Verso le 17 si riparte. Il mezzo 171 CISOM accoglie anche i volontari della Croce Rossa e i quattro giovani arrivati sabato. Chiedono tutti un passaggio per gli altri campi del comune. ‘Accompagniamo i volontari e nel nostro giro abbracciamo idealmente San Severino, che in questi giorni ci ha accolto. Ad ogni sosta ci salutano i volti sorridenti di questi giovani pronti a dedicare 72 ore agli altri, senza nulla chiedere in cambio. Ce ne andiamo profondamente stupiti e grati per quello che abbiamo ricevuto. Mai come in questi luoghi abbiamo compreso come donare e ricevere un dono siano la stessa cosa’.

 

Vorrei che l’esempio di Riccardo fosse stimolante per tanti giovani. Non siamo la generazione che trascorre le giornate davanti al computer, non siamo scansafatiche, non siamo privi di valori. Siamo indecisi, spaventati, insicuri: abbiamo solo bisogno di una piccola spinta, di prendere il coraggio a due mani e spiccare il volo, anche di fronte alle mille difficoltà di questo presente. Ogni sera con un pizzico d’orgoglio mi fa la conta delle ore sottratte al sonno. ‘Ma come fai ad andare avanti a questi ritmi?’, chiedo sbigottito. ‘Oggi avrei voluto solo buttarmi sulla prima branda e dormire. Facciamo del bene e siamo felici nel farlo, ma la forza d’animo spesso vacilla. In quei momenti mi ripeto che non siamo qui per noi, ma per gli altri. Se gli altri stanno bene, allora sto bene anch’io’. Una domanda mi nasce spontanea: chissà se è possibile vivere ogni giorno in questo modo. Mi viene in mente il concetto di prospettiva: tutte le linee orizzontali tendono verso un unico punto, il punto di fuga. Servirebbe davvero un punto fisso, un’ideale del genere, verso cui far tendere il nostro vivere. Nel bene e nel male, nella gioia e nella fatica, avere sempre presente quel punto, per vincere ogni instabilità.

 

 

Alvise Renier

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