«Non riuscivo a stare al passo con gli altri ragazzi e, a quell'età, non capivo come mai non fossi in grado di fare le stesse cose che a loro invece riuscivano». Il perché l'ha compreso dopo, quando a 14 anni si è vista costretta a usare le stampelle per potersi muovere. Ballando in punta di stampella afferma «che la mia vita è meravigliosa».
«Non vorrei essere non-disabile perché la mia vita è meravigliosa». È approdato a questa certezza il lungo percorso di Claire Cunningham. Percorso iniziato quando a cinque anni, a lezione di danza, «non riuscivo a stare al passo con gli altri ragazzi e, a quell’età, non capivo come mai non fossi in grado di fare le stesse cose che a loro invece riuscivano». Il perché l’ha compreso dopo, quando a 14 anni si è vista costretta a usare le stampelle per potersi muovere. «E sono cresciuta convincendomi che la danza fosse fatta per le persone non disabili». Un po’ di anni come cantante di musical, poi nel 2005 la svolta.
«Mi sono avvicinata alle performance aeree, quelle con il trapezio o la corda, adatte a me che, usando le stampelle, avevo molto sviluppata muscolarmente la parte superiore del corpo. E mi sono accorta che anche quella era danza. Mi sono esibita con la compagnia inglese Blue Eyed Soul Dance, dove mi ha notato il coreografo americano Jess Curtis: lui, che già lavorava con danzatori disabili, mi ha fatto conoscere la tecnica Contact Improvisation e mi ha aiutato a capire che cosa avrei potuto fare col mio corpo». Oggi la scozzese Claire è coreografa e danzatrice. Balla sulle stampelle, caratteristica che le è valsa l’appellativo di «Pistorius della danza». Il suo modello è «Bill Shannon, l’artista statunitense pioniere nella danza con l’utilizzo di stampelle». Racconta la sua storia in scena, perché «in quanto disabile mi capita di essere osservata spesso in pubblico. E la società proietta su di me un suo personale “progetto narrativo”, facendo ipotesi su quale possa o non possa essere stata la mia storia». Ecco allora Evolution, coreografia che il 19 e il 20 luglio – insieme ad un altro suo lavoro, Mobile – porterà a Torino, alla Cavallerizza Reale, nell’ambito del festival Teatro a Corte. Per dire, ballando in punta di stampella, «che la mia vita è meravigliosa». Da dove arriva questa certezza?
Dal fatto che quando danzo sento che non ho altre opzioni perché sono certa che sono nata per questo. Mi sento più a mio agio su un palco che da qualsiasi altra parte e ho sempre qualche nuova idea, qualcosa di nuovo da dire, un’altra persona incredibile con la quale lavorare e così tanto da imparare. Come ha scelto la danza come linguaggio privilegiato per comunicare?
A volte penso sia stato indotto dal fatto di essermi “esibita” per tutta l’infanzia davanti ai dottori, esaminata continuamente per mostrare il mio modo di camminare. Ma penso che sia anche una sfida a confrontarmi con la curiosità del pubblico trovando allo stesso tempo confidenza con il mio corpo in un ambiente, quello della danza, in cui poter dettare i termini e le regole attraverso il mio punto di vista in maniera differente da ciò che avviene di solito nel mondo. Che cosa significa per lei confrontarsi con il limite?
Vuol dire imparare quotidianamente i modi in cui il mio corpo funziona e allenarsi a percepire fino a che punto poter forzarlo. Limiti fisici che, con la disciplina quotidiana, riesco a superare nonostante questi si evolvano continuamente. E vuol dire accorgerci di come nei nostri rapporti quotidiani siamo soliti applicare agli altri i nostri stessi limiti con il risultato che essi diventano totalmente infondati. Quali i limiti più grandi che si è trovata ad affrontare?
La fatica più grande è dover in continuazione far intendere al mondo quale sia il nostro vero potenziale. Un ostacolo che a volte mi sembra insormontabile è rappresentato dalle poche aspettative che la gente ha su di me in quanto disabile perché c’è ancora chi crede che i disabili siano meno dotati di esperienza, non possano contribuire allo sviluppo della società e debbano sempre essere aiutati. Lei che modello di bellezza propone in un mondo, quello della danza, dove il corpo è valore fondamentale?
Non ho un modello specifico, ma sto offrendo una sfida a chi è abituato a relazionarsi esclusivamente con i canoni estetici tradizionali. Credo che tutto riguardi il contesto in cui il corpo è visto e trovo che la natura dei corpi così come vista oggi in teatro, al cinema o in tv sia davvero noiosa: sono le differenze che rendono la vita interessante e noi ci stiamo perdendo un’enorme ricchezza di diversità di lavori, talenti e prospettive confinando la nostra prospettiva nell’ammirare solo una piccola percentuale di persone convenzionalmente “belle”. Oggi il “diverso” è spesso ai margini della società e se arriva, vedi Oscar Pistorius che si conquista l’accesso alle Olimpiadi, fa notizia: qual è la sua opinione?
Penso che un tale atteggiamento possa essere definito pornografia. Quello che credo debba cambiare è la graduale realizzazione che la disabilità non è una cattiva condizione, ma un naturale modo d’essere. Ogni persona di fatto diventerà disabile: è il naturale progresso della vita umana. Per molti, però, il nostro è uno stato umano orribile e non semplicemente una condizione differente di progredire nel mondo: dobbiamo smettere di vedere la disabilità come una malattia da curare ed accettarla come un valido modo di vivere nel mondo. Per questo non vorrei essere non-disabile.
Pierachille Dolfini
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