Quando Cristo in un momento simbolico fondò la Sua grande società, scelse come pietra angolare non il brillante Paolo né il mistico Giovanni, ma un arruffone, uno snob, un codardo, in una parola: un uomo.
Sostiamo ancora nel capitolo tredicesimo del Vangelo di Giovanni, come abbiamo fatto il mese scorso, quando ci siamo lasciati interpellare dal gesto inimmaginabile della lavanda dei piedi.
Concentriamoci ora sulla figura di Pietro. Precisamente ad una domanda di Gesù che lo vede come destinatario diretto. Pietro ci è sempre molto simpatico, perché ci assomiglia molto: entusiasta e fragile, deciso e debole, innamorato sinceramente di Gesù e capace di tradimenti verso il maestro. Quando leggiamo di Pietro rimaniamo ammirati soprattutto della pazienza del Signore, del suo coraggio di affidare la sua Chiesa nelle mani di questo mediocre pescatore di uomini. Ha proprio ragione un grande pensatore cristiano, G.K. Chesterton:
Quando Cristo in un momento simbolico fondò la Sua grande società, scelse come pietra angolare non il brillante Paolo né il mistico Giovanni, ma un arruffone, uno snob, un codardo, in una parola: un uomo. E su questa pietra Egli ha costruito la Sua Chiesa, su cui le porte dell’inferno non hanno avuto la meglio. Tutti gli imperi e tutti i regni hanno fallito a causa di questa perenne debolezza innata, ossia che furono fondati da uomini forti e su uomini forti. Ma quest’unica cosa, la storica Chiesa cristiana, fu fondata su un uomo debole e per tale ragione è indistruttibile. Perché nessuna catena è più forte del suo anello più debole.[1]
Pietro è proprio un uomo, con tutte i suoi meravigliosi slanci e i suoi miseri voltafaccia. In Pietro Dio attesta di essere il professionista dell’impossibile, capace di trarre da un qualsiasi uomo un credente capace di resistere ai più grandi sconvolgimenti della storia, rimanendo fermo nella sua fede. Una fede che si è formata accanto al Signore, in un cammino di umiliazione e di crescita che ogni volta ci sorprende di nuovo.
Negli ultimi versetti del capitolo, Gesù, di fronte all’attestazione di fedeltà di Pietro, Gesù gli pone una domanda davvero imbarazzante. Risentiamo la narrazione:
31Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
36Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». 37Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». 38Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte.
Gesù è davvero il maestro che deve balzare davanti a tutti, offrendo la vita per davvero, prima di tutti e per tutti, così che anche tutti loro possano poi fare altrettanto. Lascia la sua testimonianza nella lavanda dei piedi e il dono del comandamento nuovo, incamminandosi con piena libertà e disponibilità verso il suo destino di piena donazione crocifissa. Il fatto che i suoi ora non possono né devono seguirlo è ancora un gesto di custodia e tenerezza nei loro confronti. Egli non vuole metterli da parte, ma proteggerli amorevolmente.
Pietro invece, fedele al suo desiderio di essere sempre al fianco di Gesù come suo leale alleato, vuole, in questo frangente, dimostrare fedeltà assoluta al maestro e signore: propriamente vuole essere un discepolo «sino alla fine», e quindi non ha nessuna intenzione di abbandonare Gesù. Non accetta di seguirlo più tardi, ma egli vuole rimanere con Gesù adesso e per sempre. E allora, forse curioso di sapere dove Gesù ha intenzione di andare, manifesta la sua volontà di seguirlo, costi quel che costi, fosse anche la vita. Non possiamo tacciare di insincerità le parole di Pietro. Ciò che manca a quest’uomo non è l’autenticità dell’intenzione, ma sempre la perseveranza, ovvero la fedeltà sul lungo periodo, quando l’entusiasmo viene meno, l’incomprensione si fa largo e il disprezzo è alle porte.
Propriamente, andando più in profondità, sembra che Pietro stia scambiando la sua personale fedeltà a Cristo con l’iniziativa propria di seguirlo ad ogni costo. Invece, nel discepolato, fedeltà significa obbedienza. Cosa a cui Pietro non è sempre pronto. Ecco allora la domanda, che come spada a doppio taglio entra nell’anima di Pietro e anche nella nostra, perché sentiamo che questa domanda è rivolta soprattutto a noi, cristiani, ovvero a persone che hanno promesso a Dio e agli uomini di essere al fianco di Gesù: «darai la tua vita per me?». Dopo di essa vi è la profezia del tradimento, che puntualmente si realizzerà.
Gesù, attraverso questa domanda, ci invita prima di tutto a non contare troppo sulle nostre forze, ma ad obbedire a Lui, nostra vera e unica forza. La fedeltà a Gesù è possibile come grazia, ovvero come iniziativa di Dio che sostiene con la potenza che viene da Lui e da null’altro. La nostra perseveranza si appoggia tutta sulla sua fedeltà ed è sostenuta dalla sua presenza e dalla sua promessa. In questo senso mai dobbiamo staccarci dalla sua volontà: infatti anche noi, per zelo sincero, potremmo anche staccarci dall’obbedienza a Gesù, perché il desiderio, magari sincero, di fare del bene potrebbe anche rovinarci, perché potrebbe generare disordine, perché non è riferito a Dio come fonte e culmine di ogni bene.
In un tempo di deregulation, come è quello in cui viviamo oggi, dove il bene a volte è non è fatto bene, ma in modo disarticolato e fuori dalla comunione della Chiesa, è necessario prendere atto che la dedizione deve essere invece ordinata, cioè deve riferirsi al principio per cui esso deve edificare la Chiesa attraverso l’obbedienza a Dio. In caso contrario siamo in presenza di una dedizione disordinata, che non genera frutti positivi, ma tensione, scontri, invidie, gelosie, cattiverie. Si tratta di un «bene fatto male», non secondo l’ordine della carità, che sola edifica la Chiesa (cf 1 Cor 8,2) e testimonia la verità del Vangelo, che è unità nell’amore (cf Gv 17,21).
Pietro infatti, volendo andare dietro a Gesù ad ogni costo, non sta obbedendo alla parola del Signore, che, proprio nella logica del vero discepolato, afferma la necessità di andare dietro a Lui, perché questa è l’esatta posizione del discepolo. Nel famoso scontro di Cafarnao, centro del vangelo di Marco, le parole di Gesù a questo proposito appaiono durissime, proprio verso Pietro: «egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”» (Mc 8,33). Mai Gesù si mostra così duro, nemmeno con i suoi più accaniti oppositori. La posta in gioco, quella della verità della croce e dell’autentico discepolato, è troppo importante e ogni fraintendimento va assolutamente stroncato sul nascere.
Pietro deve allora accettare di prendere una certa distanza dal Maestro, che deve appunto svolgere una missione che sarà segnata dalla solitudine totale e assoluta. Il pescatore venuto dalla Galilea, se vuole essere vero discepolo, deve andare dietro a Gesù nell’atto di lasciarlo andare avanti, verso il suo destino.
[1] G.K. Chesterton, Eretici, Lindau, Torino 2010, 50.
Rossano Sala
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