A Trieste il Presidente della Repubblica Mattarella apre la 50° edizione della Settimana sociale dei cattolici in Italia con un forte appello “a perseguire il bene non nell’interesse della maggioranza, ma di tutti e di ciascuno”.
“La democrazia comporta il principio dell’eguaglianza perché riconosce che le persone hanno eguale dignità. La democrazia è strumento di affermazione degli ideali di libertà”. Così il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha parlato oggi pomeriggio, intervenendo alla cerimonia di apertura della 50° Settimana sociale dei cattolici in Italia, in corso a Trieste fino a domenica, quando Papa Francesco concluderà i lavori al Generali Convention Center e poi celebrerà la Santa Messa in piazza Unità d’Italia. Il capo dello Stato è stato accolto con grande affetto dai 900 delegati arrivati da tutta Italia, espressione delle diocesi, dei movimenti ecclesiali, delle aggregazioni laicali, delle famiglie religiose e dell’esperienza delle Buone pratiche che si sono sviluppate nel solco del cammino sinodale della Chiesa fino a questo appuntamento nel capoluogo giuliano.
Mattarella ha tenuto una lectio magistralis durante 32 minuti, più volte interrotto dagli applausi scroscianti della platea. “La democrazia è un valore. Gli uomini liberi ne hanno fatto una bandiera. È, insieme, una conquista e una speranza”, ha esordito il Presidente che ha citato il suo predecessore, Giorgio Napolitano, il quale nel 2009 a Torino “rivolgeva lo sguardo alla costruzione della nostra democrazia repubblicana, con la acquisizione dei principi che hanno inserito il nostro Paese, da allora, nel solco del pensiero liberal-democratico occidentale. Dopo la 'costrizione' ossessiva del regime fascista soffiava 'l’alito della libertà', con la Costituzione a intelaiatura e garanzia dei diritti dei cittadini”. Mattarella ha richiamato anche le parole di Norberto Bobbio per dire che democrazia non è solo maggioranza e che il Parlamento ha un ruolo indispensabile: “La democrazia non si esaurisce nelle sue norme di funzionamento, ferma restando l’imprescindibilità della definizione e del rispetto delle “regole del gioco”. Perché le condizioni minime della democrazia sono esigenti: generalità e uguaglianza del diritto di voto, la sua libertà, proposte alternative, ruolo insopprimibile delle assemblee elettive e, infine e non da ultimo, limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze e impedire che possano diventare, a loro volta, maggioranze”.
Mattarella ha espresso preoccupazione per l’astensionismo alle elezioni: “Può esistere una democrazia senza il consistente esercizio del ruolo degli elettori? Per porre mente alla defezione/diserzione/rinuncia intervenuta da parte dei cittadini in recenti tornate elettorali, occorre attenzione per evitare di commettere l’errore di confondere il parteggiare con il partecipare. Occorre, piuttosto, adoperarsi concretamente affinché ogni cittadino sia nelle condizioni di poter, appieno, prendere parte alla vita della Repubblica. I diritti si inverano attraverso l’esercizio democratico. Se questo si attenua, si riduce la garanzia della loro effettiva vigenza. Democrazie imperfette vulnerano le libertà: ove si manifesta una partecipazione elettorale modesta”. Quindi il Presidente ha sottolineato che “al cuore della democrazia ci sono le persone, le relazioni e le comunità a cui esse danno vita, le espressioni civili, sociali, economiche che sono frutto della loro libertà, delle loro aspirazioni, della loro umanità: questo è il cardine della nostra Costituzione”. E ha aggiunto: “Nel corso del tempo, più volte è stata, malauguratamente, posta la domanda “a cosa serve la democrazia? La risposta è semplice: a riconoscere – perché preesistono, come indica l’art. 2 della nostra Costituzione – e a rendere effettive le libertà delle persone e delle comunità”. Citando Giuseppe Dossetti che pose il problema del “vero accesso del popolo e di tutto il popolo al potere e a tutto il potere, non solo quello politico, ma anche a quello economico e sociale”, con la definizione di “democrazia sostanziale”, Mattarella ha ribadito che “mirare al “bene comune” non è il “bene pubblico” dell’interesse della maggioranza, ma il bene di tutti e di ciascuno al tempo stesso, secondo quanto già la Settimana Sociale del 1945 volle indicare”.
Il capo dello Stato ha continuato: “La condivisione intorno a valori supremi di libertà e democrazia è il collante, irrinunciabile, della nostra comunità nazionale. Oggi, proprio nel continente che ne è stato la culla, si avverte la necessità di costruire una solida sovranità europea che integri e conferisca sostanza concreta e non illusoria a quella degli Stati membri. Che consenta e rafforzi la sovranità del popolo disegnata dalle nostre Costituzioni ed espressa, a livello delle istituzioni comunitarie, nel Parlamento Europeo”. Infine, Mattarella ha concluso: “La Repubblica ha saputo percorrere molta strada, ma il compito di far sì che tutti prendano parte alla vita della sua società e delle sue istituzioni non si esaurisce mai. Ogni generazione, ogni epoca, è attesa alla prova della “alfabetizzazione”, dell’inveramento della vita della democrazia. Prova, oggi, più complessa che mai, nella società tecnologica contemporanea. Ebbene, battersi affinché non vi possano essere “analfabeti di democrazia” è una causa primaria, nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o eserciti potere. Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme. Vi auguro, mi auguro, che si sia numerosi a ritrovarsi in questo cammino.
Prima del Presidente della Repubblica era intervenuto il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana che nella sua riflessione è partito dalla prima Settimana sociale dei cattolici in Italia del 1907 a Pistoia: “Da allora il cattolicesimo italiano non è rimasto a guardare, non si è chiuso in sacrestia, non si è fatto ridurre a un intimismo individualista o al culto del benessere individuale, ma ha sentito come propri i temi sociali, si è lasciato ferire da questi per progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale. Ha pensato e operato non per sé ma per il bene comune del popolo italiano”. Il porporato ha spiegato che “andiamo fieri di questa storia e siamo felici di vivere questi giorni a Trieste, in una terra di confine, segnata dal dialogo interculturale, ecumenico e interreligioso, da tanta sapienza antica e recente, porta che unisce est e ovest, nord e sud, ma anche terra segnata da ferite profonde che non si sono del tutto rimarginate. I troppi morti ci ammoniscono a non accettare i semi antichi e nuovi di odio e pregiudizio. Non vogliamo che i confini siano muri o, peggio, trincee, ma cerniere e ponti! Lo vogliamo perché questo è il testamento di chi sulle frontiere ha perso la vita. Lo vogliamo per quanti, a prezzo di terribili sofferenze, si sono fatti migranti e chiedono di essere considerati quello che sono: persone! Il Vangelo ci aiuta a capire che siamo fatti gli uni per gli altri, quindi gli uni con gli altri. La nostra casa comune richiede un cuore umano e spiritualmente universale”.
Zuppi ha citato Alcide De Gasperi e i padri fondatori dell’Unione europea, quindi San Giovanni Paolo II che nel 1994 “scrisse ai vescovi italiani esortandoli a testimoniare “quell’eredità di valori umani e cristiani che rappresenta il patrimonio più prezioso del popolo italiano” e che declinava come “eredità di fede”, “eredità di cultura” ed “eredità dell’unità”. “Certamente oggi è necessario un profondo rinnovamento sociale e politico”, aggiungeva allora il Papa, e perciò “i laici cristiani non possono […] sottrarsi alle loro responsabilità”. La pace e lo sviluppo non sono beni conquistati una volta per tutte. Richiedono un “amore politico” che deve assumere l’unità come un obiettivo da perseguire, da difendere e da far crescere, perché l’unità non è mai statica, ma sempre dinamica!”. Il presidente della Cei ha rivolto il suo “grazie a chi continua a partecipare nonostante la crisi del “noi” perché la Chiesa è un luogo dove ci si appassiona al prossimo e, quindi, al dialogo, come è avvenuto in assemblee, convegni, riunioni, nel cammino sinodale, proprio per il suo carattere eminentemente sociale e non egocentrico o di massa. Grazie a chi non si scoraggia. Grazie a tutti quelli che con tenacia stanno favorendo esperienze di partecipazione. Grazie agli amministratori che, pur tra sacrifici, si dedicano al bene comune e a quanti esercitano funzioni pubbliche e le adempiono con disciplina e onore (Costituzione, art. 54). Grazie a chi svolge umilmente, secondo le proprie possibilità e scelte, “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (Costituzione, art. 4). È così che si costruiscono inclusione e convivenza, si vincono i pessimismi, si sconfiggono le furbizie che piegano a interesse privato il bene pubblico”.
Quindi ha richiamato Romano Guardini ha scritto che la democrazia non è solo un ordinamento che nasce dalla responsabilità dei singoli, ma fa riferimento anche al fatto che «ciascuno di questi singoli può fidarsi degli altri, perché sa che tutti vogliono il bene comune; lo vogliono effettivamente e non soltanto dicono di volerlo. La democrazia è tanto più reale quanto più questo atteggiamento è operante”. Sul contributo che la Chiesa può offrire all’Italia in questa stagione storica, Zuppi ha sottolineato che “ci sentiamo parte di un Paese che sta affrontando passaggi difficili e crisi epocali: basti pensare all’inverno demografico, alla crescita delle disuguaglianze, alle percentuali di abbandono scolastico, all’astensionismo e alla disaffezione sempre più numerosa alla partecipazione democratica, alla vita scartata che diventa insignificante per l’onnipotenza che si trasforma in nichilismo distruttivo di sé stesso. Sentiamo la sfida dell’accoglienza dei migranti, della transizione ecologica, della solitudine che avvolge molte persone, della difficoltà di spazi per i giovani, dell’aumento della conflittualità nei rapporti sociali e tra i popoli, infine della guerra che domina lo scenario internazionale e proietta le sue ombre su tutto questo”.
Il porporato ha proseguito sostenendo che “le pandemie ci hanno fatto comprendere il senso di comune appartenenza, di comunità di destino, di partecipazione a una vicenda collettiva. Non c’è democrazia senza un “noi”. Non c’è persona senza l’altro. La democrazia non solo afferma la libertà, ma promuove anche l’uguaglianza, non proclama astrattamente i diritti, ma difende concretamente la dignità umana soprattutto dove è più pesantemente violata. Ecco perché la democrazia non vuol dire solo istituzioni, leggi e procedure, diritti e doveri, ma anche inclusione dell’altro, del fragile, dell’emarginato. Vuol dire contrasto alla cultura dello scarto, alle dipendenze con le loro drammatiche conseguenze in tante violenze, alle condizioni indegne nelle carceri, ai tanti feriti della malattia psichiatrica”, nel centenario di Franco Basaglia, il medico che liberò i matti proprio da Trieste. In conclusione il cardinale ha affermato che “i cattolici in Italia desiderano essere protagonisti nel costruire una democrazia inclusiva, dove nessuno sia scartato o venga lasciato indietro. Anche, per questo, dobbiamo essere più gioiosamente e semplicemente cristiani, disarmati perché l’unica forza è quella dell’amore. L’Enciclica Fratelli tutti ci offre un orizzonte concreto, possibile, attraente, condiviso. Un unico popolo”. E ha concluso: “È bello per noi iniziare la Settimana Sociale in questa città di frontiera. Vogliamo incarnare uno stile inclusivo, di unità nelle differenze. Soprattutto vogliamo esprimere tutto l’amore di cui siamo capaci per il nostro Paese. Amiamo l’Italia e, per questo, ci facciamo artigiani di democrazia, servitori del bene comune”.
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