Omelia del Rettor Maggiore nella celebrazione nazionale italiana del Bicentenario di Don Bosco...
Omelia del Rettor Maggiore nella celebrazione nazionale italiana del Bicentenario di Don Bosco
Basilica di Maria Ausiliatrice, Torino-Valdocco (2015.01.24 [1])
Carissimi fratelli e sorelle, siamo qui per celebrare insieme ancora una volta il dono di Dio. In questo caso, il dono che ci ha fatto in Don Bosco, un semplice contadino piemontese diventato cittadino del mondo prima della così detta e ben conosciuta oggi “globalizzazione”. Egli, per mezzo di migliaia dei suoi figli e figlie, dei suoi amici e amiche è arrivato fino alle diverse “fine del mondo”, sia al sud, all'ovest, all'est o al nord.
Giovanni Bosco è definito come “Profondamente uomo, ricco delle virtù della sua gente, […] aperto alle realtà terrestri, [e] profondamente uomo di Dio, ricolmo dei doni dello Spirito Santo, [che] viveva 'come se vedesse l'invisibile'” [2] Una bella definizione che lo presenta come una figura completa e complessa capace di far riempire una biblioteca intera con studi su di lui. Celebrare e ringraziare Dio per la sua vita, è celebrare e ringraziare per la nostra propria vita, perché, infatti, ognuno di noi, in diversi modi e gradi, si è visto coinvolto nella storia di questo grande uomo, questo piemontese universale.
Prima di tutto io direi che fu un vero figlio del suo tempo e un tessitore della storia, di quella ottocentesca come questa di oggi, perché è un uomo veramente significativo.
Nato nel piccolo regno dei Savoia, che ha sempre amato e rispettato, don Bosco lo sentì però troppo stretto per la sua missione educativa. Ecco che allora superò rapidamente già nei primi anni cinquanta del XIX secolo i confini liguri-piemontesi per raggiungere con la sua stampa educativa e religiosa quanti leggevano la lingua italiana; e nei secondi anni settanta eccolo aprire opere e case nell’ormai sorto Regno d’Italia del 1861 (Toscana, Lazio, Sicilia, Veneto, Lombardia), sia pure all’indomani delle prime case in Argentina e in Francia (1875).
Non solo, ma già nella stessa Valdocco dei primi decenni di esistenza erano accolti ragazzi da molte regioni d’Italia e nel 1856 aveva scritto una fortunata Storia d’Italia con decine di edizioni nel mezzo secolo successivo. Senza dimenticare che ha avuto contatti personali ed epistolari con la maggior parte delle autorità politiche nazionali, che pur nella diversità delle opinioni politiche, non hanno mancato di riconoscere il valore della sua azione educativo-assistenziale in favore dei giovani più svantaggiati. Fra l’altro sono numerosi gli educatori, sacerdoti e laici, che si ispirarono a don Bosco nelle loro opzioni e fondazioni educative, culturali, scolastiche, dei mezzi di comunicazione di massa.
Una missione e una ispirazione che facevano di lui una vera sentinella attento alla Parola di Dio e ai tempi (anche se ancora non si parlava dei “segni dei tempi”). Abbiamo sentito dire nella profezia di Ezechièle: “Figlio dell'uomo, ti ho posto per sentinella alla casa di Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia”, e questo ha fatto Giovanni Bosco durante la sua vita: una vera sentinella!
Però non si tratta oggi qui di incensare ancora una volta la sua persona, perché lui non ha bisogno di incenso e fuochi di artificio. Basta che faciamo memoria di questo uomo umile e attaccato agli ultimi che ha vissuto molto sul serio le parole dette da Gesù ai dodici: “Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti”. E sappiamo bene che questi “tutti”, sia per Gesù, sia per Don Bosco, sono stati soprattutto i più piccoli e quelli più svantaggiati. Nelle parole del nostro padre: “i più poveri, abbandonati e in pericolo”.
Magari proprio per essere una sentinella delle diverse periferie dove si trovano gli ultimi, lo Spirito Santo ha ispirato in lui la stessa “bontà e zelo di san Francesco di Sales”, dal quale abbiamo ricevuto il nome di “Salesiani”. [3] Quindi anche noi, oggi, consacrati e laici della Famiglia Salesiana e del vasto movimento di persone che riconosce in lui la sua origine, [4] siamo stati chiamati a vivere questo spirito salesiano senza lasciarlo logorare o deviare. In una lettera di don Lazzero a Mons. Cagliero, del 13 luglio 1885 si dice: “...a don Bosco rincresce che si cambi lo spirito di S. Francesco di Sales che è lo spirito suo, e deve essere lo spirito di tutta la Congregazione tanto in America come altrove...”
Anche in una lettera ai salesiani d'America, scritta da Don Bosco, leggiamo: “Di poi vorrei a tutti fare io stesso una predica o meglio una conferenza sullo spirito salesiano che deve animare e guidare le nostre azioni ed ogni nostro dovere. Il Sistema preventivo sia proprio di noi […] Ogni Salesiano si faccia amico di tutti, non cerchi mai di far vendetta; sia facile a perdonare, ma non richiamare le cose già una volta perdonate […] La dolcezza nel parlare, nell'operare, nell'aiutare guadagni tutto e tutti”. [5]
Nelle nostre Costituzioni troviamo un testo bellissimo a riguardo di tutto questo: “Ispirandosi all'umanesimo di san Francesco di Sales, crede nelle risorse naturali e soprannaturali dell'uomo, pur non ignorandone la debolezza. Coglie i valori del mondo e rifiuta di gemere sul proprio tempo: ritiene tutto ciò che è buono, specie se gradito ai giovani. Poiché annuncia la Buona Novella, è sempre lieto.”
Vengono alla mia memoria le belle parole di p. Étienne-Marie Lajeunie, op, in un suo libro sullo spirito di San Francesco di Sales. Cito: “La trascendenza, gratuita, non è quindi qualcosa di artificioso e in questo senso S. Francesco di Sales può aiutare l'umanesimo contemporaneo ad uscire dal vicolo cieco dove lo attendono la rivolta e la disperazione. Egli pone infatti grande cura a mostrarci come alla gratuità corrisponda sempre in noi la spontaneità e come l'infallibilità divina rispetti la libertà umana, e la necessità, la contingenza: nulla viene imposto all'uomo dalla predestinazione! Dio e l'uomo, per mezzo della grazia, si uniscono in ciò di più libero vi è sulla terra e nel cielo: l'Amore”. [6]
Finisco. Siamo eredi di un grande uomo, un vero figlio del suo tempo e un vero tessitore della storia, un uomo straordinario, ma umile e in mezzo agli ultimi, che ispirato alla bontà e zelo di San Francesco di Sales, ha dato origine a un vasto movimento di persone sempre in cammino, messi in moto, dalla periferia di Torino alle diverse periferie esistenziali e geografiche (come quella della fine del mondo nella Terra del Fuoco e Patagonia nel suo tempo). Siamo eredi di una eredità che viene sviluppata, trasmessa e fecondata con le proprie opzioni di vita e la donazione piena di noi stessi per farla feconda e ancora più ricca.
Don Bosco continua a vivere. Il figlio di Margherita, la donna forte e saggia che ha trasmesso a lui, la saggezza e la ricca tradizione della campagna monferrina, e ha condiviso con lui e i suoi ragazzi e primi salesiani l'avventura degli inizi dell'oratorio, continui ad accompagnare la sua opera. L'Italia, come altri paesi nel mondo non può raccontare la sua storia senza un riferimento accurato su questo suo figlio e la sua opera. I recenti studi sul 150 anniversario dell'unità d'Italia, che esattamente corrisponde al 150 anniversario dell'Opera salesiana, hanno documentato quanto ampio e profondo sia stato il contributo salesiano alla crescita del paese.
Maria, Ausiliatrice e Madre, che ha fatto tutto sin dall'origine, ci aiuti a essere creativamente fedeli e a dare continuità e fecondità all'opera iniziata da Dio 200 anni fa. Siamo eredi con una grande responsabilità sulle spalle, ma soprattutto con un irradiante fuoco nel profondo del cuore: la nostra passione per vivere Come Don Bosco, con i giovani e per i giovani.
[1] Ez 3,16-21; Sal 117 (116); Fil 4,4-9; Mc 9,33-37 [2] C. 20 [3] Cf. C. 4 [4] Cf. C. 5 [5] Epistolario IV, p. 232-233 [6] Étienne-Marie Lajeunie, San Francesco di Sales e lo spirito salesiano, Elledici, 2007, p. 145-146
Don Angel Fernandez Artime
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