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Don Bosco è in fin di vita

Fui preso da sfinimento e portato a letto. La malattia si manifestò con una bronchite, cui si aggiunse tosse ed infiammazione violenta. In otto giorni fui giudicato all'estremo della vita. Avevo ricevuto il SS. Viatico, l'Olio Santo. Mi sembrò che in quel momento fossi preparato a morire; mi rincresceva abbandonare i miei giovanetti...


Don Bosco è in fin di vita

 

Prima di tutto scuola e istruzione

          Don Bosco si rende conto ben presto che senza una decisa opera di alfabetizzazione, diventava difficile il compito di istruire nelle verità della fede: leggere e scrivere era la prima urgenza. E si mette all’opera. Scrive: «Per ottenere qualche buon risultato si prendeva un solo ramo d’insegnamento per volta. Per esempio, si faceva una domenica o due passare e ripassare l’alfabeto e la relativa sillabazione, poi si prendeva subito il piccolo catechismo intorno a cui si faceva leggere e sillabare fino a tanto che fossero in grado di leggere una o due delle prime domande del catechismo, ciò serviva come lezione lungo la settimana. La domenica successiva si faceva ripetere la stessa materia, aggiungendo altre domande e risposte. In questa guisa in otto giorni festivi ho potuto ottenere che taluni giungessero a leggere e a studiare da sé delle pagine intere di catechismo…». Non tutti però avevano scioltezza intellettuale, per cui le sole scuole domenicali non bastavano. Pensò allora di introdurre le scuole serali, che ebbero un grande successo.

          Don Bosco commenta che con la scuola otteneva due buoni effetti: imparare a leggere e, nel medesimo tempo, favorire l’istruzione religiosa «che formavano lo scopo delle nostre sollecitudine». Le scuole serali ebbero un grandissimo successo tanto che dovette cercarsi nuovi istruttori, ma come trovarli? Ecco come risolve il problema. Scrive: «Mi sono messo a fare scuola a un certo numero di giovanetti della città, con l’insegnamento gratuito di italiano, latino, francese, aritmetica, ma con l’obbligo di venirmi ad aiutare a insegnare il catechismo e a fare la scuola domenicale e serale. Questi maestrini allora erano otto o dieci, ma continuarono ad aumentare in numero…».

          È in quest’epoca che Don Bosco, non trovando sul mercato, oltre il piccolo catechismo, libri adatti e popolari per continuare l’istruzione religiosa, scriverà lui stesso, rubando tempo al sonno e al riposo, il libro della Storia Sacra ad uso delle scuole. (Questo testo uscito in numerose edizioni, rimarrà in uso nelle scuole salesiane e non, come testo di catechesi biblica fino alle soglie del Concilio Vaticano II). A questa scuola di alfabetizzazione e di istruzione religiosa, continua Don Bosco, «fu aggiunta la classe di aritmetica e di disegno. Era la prima volta che nei nostri paesi avevano luogo tali scuole. Da tutte le parti se ne parlava. Molti professori ed altri distinti personaggi ci venivano di frequenza a visitare… Lo stesso Municipio, con alla testa il comm. Giuseppe Dupré, mandò una commissione per verificare se i decantati risultati delle scuole serali erano una realtà. Facevano essi stessi delle domande. Al vedere quel gran numero di giovani adulti raccolti alla sera che, invece di girovagare per le vie, attendevano all’istruzione, quei signori partirono pieni di entusiasmo. Fattane relazione in pieno municipio venne assegnata come premio una annualità di trecento franchi, che si è percepita fino al 1878». E dopo? Scrive: «Ci fu tolto per darlo ad altro Istituto, ma non se ne poté mai sapere la ragione».

          Sempre in questi anni, Don Bosco scriverà anche un libro di preghiere per i giovani. Leggiamo nelle Memorie: «Vedendo che l’eresia insidiosa si andava ogni giorno insinuando, ho procurato di compilare un libro adatto alla gioventù». Questo fu Il Giovane Provveduto (era una raccolta di preghiere, un manuale di vita spirituale, di letture per la meditazione e l’istruzione. Se ne fecero centinaia di edizioni e traduzioni e continuò a essere usato fino al Concilio Vaticano II). Stava entrando allora l’uso del sistema metrico decimale; non era obbligatorio fino al 1850. Scrive: «Sebbene introdotto legalmente nelle scuole nel 1846, mancavano i libri di testo. A ciò ho provveduto con il libretto intitolato: Il sistema metrico decimale ridotto a semplicità…». La prima edizione porta la data del 1849. Anche in questo Don Bosco si pone all’avanguardia, precedendo i tempi e le istituzioni.

 

Don Bosco è in fin di vita

          Ma per quanto di robusta costituzione, anche Don Bosco dovette fare i conti con la sua salute compromessa dall’eccessivo cumulo di impegni presso l’Opera della Barolo, del Cottolengo, nelle carceri, nelle scuole serali e domenicali, nel ministero delle confessioni e della predicazione, nello scrivere libri per i suoi ragazzi. Nonostante qualche riposo, a cui fu obbligato dagli stessi dottori, presso il curato Teologo Pietro Abbondioli in località Sassi (alla periferia collinare est di Torino), non lasciò di prestarsi per le numerose confessioni e l’ascolto dei giovanetti che da Torino, si recavano da lui: con l’usuale metodo del passa parola avevano scoperto, infatti, dove si trovava. Fu proprio al chiudersi di una giornata particolarmente impegnata nelle confessioni dei ragazzi che – scrive – «fui preso da sfinimento e portato a letto. La malattia si manifestò con una bronchite, cui si aggiunse tosse ed infiammazione violenta. In otto giorni fui giudicato all’estremo della vita. Avevo ricevuto il SS. Viatico, l’Olio Santo. Mi sembrò che in quel momento fossi preparato a morire; mi rincresceva abbandonare i miei giovanetti, ma ero contento che terminavo i miei giorni dopo aver dato forma stabile all’Oratorio».

          Era il luglio 1846, 31 anni di età. La notizia si sparse in un baleno! Don Bosco muore! Non era possibile. Incominciò, come si può immaginare, un interminabile via vai di ragazzi che correvano per sapere notizie. Scrive Don Bosco: «Io udivo i dialoghi che si facevano con il domestico e ne ero commosso… Ho saputo quello che aveva fatto fare l’affetto dei miei giovani. Spontaneamente pregavano, digiunavano, ascoltavano messe, facevano comunioni. Si alternavano passando la notte in preghiera e la giornata avanti l’immagine di Maria Consolatrice…». Non si ferma qui la descrizione commossa di Don Bosco di quanto i suoi ragazzi fecero per ottenerne la guarigione. Conclude: «Dio li ascoltò. Era un sabato a sera e si credeva che quella notte fosse l’ultima di mia vita; così dicevano i medici che vennero a consulto… A tarda notte presi sonno. Mi svegliai fuori di pericolo». I medici visitandolo al mattino, increduli, gli dissero di andare a ringraziare la Madonna della Consolata! Ma i ragazzi non potevano credere fin quando non lo videro di persona tornare all’Oratorio, sia pure appoggiato a un bastone. Indescrivibile la gioia. Andò poi per qualche mese nella sua terra, ai Becchi, per un po’ di convalescenza. Quando tornò all’Oratorio lo consigliarono a prendersi un lungo periodo riposo, un anno o due fuori dalla città, magari in luogo sconosciuto, in pace, per riacquistare la salute. O almeno, pur rimanendo all’Oratorio, di lasciare per un paio d’anni confessioni e predicazione...

          Don Bosco concludendo questa difficile vicenda ammette: «Ho disobbedito. Ritornando all’Oratorio, ho continuato a lavorare come prima e per 27 anni non ho più avuto bisogno né di medico né di medicine. La qual cosa mi ha fatto credere che il lavoro non sia quello che rechi danno alla sanità corporale». Su questa roccia cresceva di giorno in giorno l’Opera che la Provvidenza gli aveva affidato.  

 

 

Don Emilio Zeni

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