Tutte le attività nel villaggio di Nyinenyang sono un po' calate per l'apertura del campo profughi, ormai da tre mesi, e per il continuo arrivo dal sud Sudan di donne e bambini che scappano dalla guerra civile ancora in corso.
Spero bene, un saluto dalla caldissima Gambella, una settimana fa il termometro, messo al sole per cinque minuti, è scoppiato… vi lascio immaginare che temperatura che c’era.
Tutte le attività nel villaggio di Nyinenyang sono un po’ calate per l’apertura del campo profughi, ormai da tre mesi, e per il continuo arrivo dal sud Sudan di donne e bambini che scappano dalla guerra civile ancora in corso.
E’ un enorme tendopoli, per ogni tenda una famiglia con tantissimi bambini. Al centro il punto di distribuzione del cibo, di registrazione, degli uffici dell’ONU, mentre per l’acqua ancora fanno la spola una decina di autobotti che dal fiume Baro prendono l’acqua e la portano nel campo per tutte le necessità. L’organizzazione è molto lenta soprattutto per il numero molto alto di persone che sono arrivate. Tre settimane fa hanno aperto un nuovo campo profughi vicino al villaggio di Itang, dall’altra parte del fiume e hanno già riempito anche quello, circa 30 mila profughi e stanno già pensando di aprirne un altro.
In questi due mesi sono arrivate a Gambella tantissime organizzazioni piccole e grandi per l’emergenza profughi, si vede dal numero di bianchi in giro per la città, prima inesistente, ora almeno una ventina. Anche nel villaggio a Nyinenyang sono arrivate queste organizzazioni, prendono in affitto una serie di case, piantano una bella bandiera dell’organizzazione davanti ad esse e girano avanti e indietro con varie macchine.
In questi giorni non c’è neppure un albergo libero a Gambella, c’è stata un’invasione di funzionari dell’ONU per vedere, controllare, certificare …
Mi sono chiesto, ma quante organizzazioni sono arrivate in un attimo per i profughi, quante spese per questi funzionari ONU, che naturalmente pagano in dollari non in moneta locale, e poi ogni giorno vedo la situazione dei profughi che non cambia, lottano per l’acqua, per avere il cibo, vengono da me per farsi portare a Gambella perché stanno male e non ci sono medicine nel campo… quanto poco arriva a loro e invece quante spese vengono sperperate, che brutta situazione!
Due settimane fa sono arrivati a Matar tre catechisti della chiesa di Nasir, due giorni di cammino dopo Matar in sud Sudan, cercando un po’ di conforto e chiedendo qualche aiuto. Ci hanno raccontato della gravissima situazione soprattutto della città di Malakal: gli scontri sono stati così violenti e sono durati così tanto che non hanno risparmiato nessuno: saldati e ribelli, civili tra cui donne e bambini. Mi hanno fatto vedere alcune foto nei loro cellulari: strade con persone morte e abbandonate là, case e negozi trapassati dai proiettili se non bruciate del tutto.
Tutto è stato distrutto o rubato, anche le varie chiese di Malakal sono state saccheggiate: macchine, suppellettili, ogni cosa che poteva servire è stato preso, ora non c’è più niente.
Il Vescovo, i preti e le suore presenti sono dovuti scappare, mi ha scritto proprio in questi giorni father Angelo, uno dei parroci di Malakal che avevo conosciuto lo scorso marzo quando ero stato là, mi ha scritto raccontandomi la fuga che hanno dovuto fare lui e il Vescovo dalla città: arrivati gli scontri alla chiesa, hanno deciso di abbandonare tutto e fuggire, prima in una casa vicina, poi dentro un nascondiglio dove per un giorno intero hanno sentito le pallottole passere sopra la loro testa, poi si sono rifugiati vicino al fiume Nilo, infine con una barca di emergenza hanno attraversato il Nilo e aspettato poi alcuni giorni che qualcuno potesse scortarli un po’ lontano dalla città.
Da lì sono andati nella città vicino di Rank e poi Bantiu e poi dopo vari giorni sono arrivati salvi a Juba. Nell’ultimo messaggio che mi ha scritto il ringraziamento a Dio per essere ancora in vita, ma la tristezza per quello che è successo e sta ancora succedendo a Malakal.
Una guerra civile per il potere del sud Sudan ancora in corso, nessuno riesce a dire quando si fermerà, solo si spera che con l’arrivo delle piogge, all’inizio di maggio e l’impossibilità di muoversi nella savana perché il Nilo allaga tutto, possa crearsi una tregua e avviare una qualche trattativa per la pace.
Ogni giorno, ma specialmente la domenica, facciamo in Chiesa una lunga preghiera per la pace in sud Sudan, ma anche per tutte le persone profughe che sono arrivate da noi in Etiopia.
Molte sarebbero anche qui le domande: perché nessuno dice niente di quello che sta succedendo, nessuna delle grandi potenze interviene, perché i cinesi presenti in sud Sudan non dicono e non fanno niente, tutte le installazioni di petrolio sono loro, e poi chi fornisce tutte le armi al governo, ai ribelli perché continuino questa guerra? Ma le risposte le sappiamo forse già.
Un saluto e un ricordo per tutte queste persone e anticipatamente una buona Pasqua! A presto!
abba Filippo
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