Dziwisz: Giovanni Paolo II, il Papa della vita

«È un momento di grazia che si ripete» ci dice il cardinale Stanislaw Dziwisz, testimone privilegiato di Karol Wojtyla cui è stato vicino come segretario personale per quasi quarant'anni. Di lui ama parlare spesso...

Dziwisz: Giovanni Paolo II, il Papa della vita

da Teologo Borèl

del 02 aprile 2008

Miracoli. La scritta a caratteri cubitali sovrasta un grande ritratto di Giovanni Paolo II che copre l’intera facciata del palazzo arcivescovile.

 

È un Wojtyla nel pieno delle forze, sorridente, mentre viene sfiorato dalle mani dei fedeli. A tre anni dalla scomparsa del Papa polacco, i suoi connazionali torneranno a fare memoria di «Karol il Grande», ritrovandosi uniti ancora una volta nella commozione e nella preghiera. «È un momento di grazia che si ripete» ci dice il cardinale Stanislaw Dziwisz, testimone privilegiato di Karol Wojtyla cui è stato vicino come segretario personale per quasi quarant’anni. Di lui ama parlare spesso, gli facciamo notare all’inizio dell’intervista. «Sì, è vero – ribatte l’arcivescovo di Cracovia. Ma per me la cosa più importante non è tanto parlare di lui, quanto piuttosto parlare con lui. Intendo ovviamente un dialogo non fisico ma spirituale. Ogni volta che ho un problema difficile da risolvere mi rivolgo al servo di Dio Giovanni Paolo II, chiedo il suo aiuto. È un’esperienza non solo mia. Tantissima gente fa lo stesso, prega Dio per la sua intercessione e ne riceve grazia».

 Eminenza, allude a casi che si possono ritenere miracolosi?

Credo proprio di sì. Ed il fatto più sorprendente è che spesso si tratta del dono della nascita, del mistero di una nuova vita. Giovanni Paolo II è stato il Papa della difesa della vita, il Papa della famiglia. Ed ora ne vediamo gli straordinari effetti. Sono appena tornato da Gerusalemme e lì sono stato avvicinato da una signora polacca che mi ha raccontato di sua figlia. Aveva ricevuto la cresima dall’arcivescovo Wojtyla, poi si era sposata ma non poteva avere bambini. Recentemente si è recata a pregare sulla tomba di Giovanni Paolo II con quest’intenzione ed ora aspetta un figlio. Un altro caso: una coppia di italiani, residenti a Milano. Anche loro dichiarati sterili dai medici. «Pregate Papa Wojtyla», ha consigliato loro un amico. Ma non erano molto praticanti e non l’hanno fatto. Ci ha pensato lui, è andato a inginocchiarsi davanti alla tomba del Papa chiedendo la grazia per questa coppia. Poche settimane dopo lei è rimasta incinta. Ma sono soltan­to due esempi fra tanti di cui ho notizia.

 

Col passare del tempo i ricordi inevitabilmente tendono a sbiadire. Cosa resta della memoria di Wojtyla nel cuore della gente?

Io vedo che più passa il tempo più cresce il desiderio di conoscere meglio la sua figura ed il suo insegnamento. Adesso lo riscoprono in profondità, capiscono che tutto quel che diceva e faceva era in forza della sua comunione con Dio.

 

L’ultimo viaggio di Giovanni Paolo II in Polonia, nel 2002, era stato all’insegna della Divina Misericordia. E così pure la sua morte, alla vigilia della festa di Gesù Misericordioso i­stituita proprio da lui. Ci vede qualcosa di simbolico?

Prima del suo Pontificato questo tema non era molto diffuso nella Chiesa. È stato lui a metterlo in evidenza fin dall’enciclica «Dives in Misericordia». Ha mostrato che non c’è rimedio alla disperazione se non ci si affida all’abbraccio salvifico di Dio. «Qual è l’oggetto principale della sua preghiera?» gli domandò una volta lo scrittore francese André Frossard. E lui rispose: «Io prego affinché la misericordia di Dio avvolga tutto il mondo». Alla radice di quest’atteggiamento credo ci fosse la sua esperienza contemplativa. Era un uomo sempre immerso nel mistero di Dio. Parlava come viveva. Da qui la forza del suo insegnamento.

 

Sembra però che alcuni temi tanto cari a Papa Wojtyla oggi siano un po’ dimenticati da una parte dell’opinione pubblica. Ad esempio, quando oggi si parla dell’Iraq, pochi si ricordano degli interventi di Giovanni Paolo II contro la guerra.

Tocca agli studiosi esaminare quei fatti e mettere in luce il suo grande impegno per la pace. Ma, a proposito dell’Iraq, ho notato una grande consonanza fra il grido di Giovanni Paolo II cinque anni fa e le parole pronunciate recentemente da Be­nedetto XVI dopo il brutale assassinio dell’arcivescovo caldeo di Mosul monsignor Rahho.

 

Nei rapporti tra cattolici e musulmani molte cose sono cambiate dai tempi di Papa Wojtyla, non crede?

Giovanni Paolo II ha sempre considerato «lo scontro di civiltà » come un’autentica sciagura. Lui credeva nel dialogo, lo cercava a livello culturale e personale. E non perdeva occasione per praticarlo. Ma sempre con una chiara coscienza dell’identità cristiana. È rimasto memorabile il suo incontro coi giovani musulmani in Marocco. Mi ricordo che prima del viaggio si era riunito con vari esperti del mondo islamico che gli consigliarono di usare parole molto prudenti. E lui ribatté deciso: ah no, io sono il vicario di Cristo sulla terra e questo devo testimoniare!

 È come andò l’incontro?

Allo stadio di Rabat pronunciò un discorso che suscitò grande ammirazione. I giovani lo applaudirono più volte ed io, pensando a quanto succedeva da noi sotto il regime comunista, ho temuto che fosse tutto orchestrato dall’alto. Invece scoprii che nessuno si aspettava una reazione così entusiasta. E poi al Cairo e a Damasco mi ricordo che i capi religiosi dell’islam lo accolsero come «un amico». Si sentivano stimati da lui. Ed a loro volta riconoscevano nel Papa« il leader spirituale del mondo». Così venne definito durante il suo viag­gio in Siria.

 Oggi sembra dominare un linguaggio diverso...

Possono cambiare toni e accenti ma la scelta rimane quella del dialogo schietto e non della contrapposizione ideologica. Ogni Papa ha il suo carisma e Benedetto XVI sa affrontare anche le situazioni più difficili con grande saggezza e profondità culturale. E più volte, in modo molto chiaro, ha ribadito la sua netta presa di distanza dalla logica dello scontro di civiltà.

 

Eminenza, ci sarà presto la beatificazione di Giovanni Pao­lo II?

Le cose procedono bene. Naturalmente occorre tempo perché ci sono tanti documenti da esaminare e tante testimonianze da raccogliere, non solo a Roma o in Polonia ma in tutto il mondo. Noi, come arcidiocesi di Cracovia, non facciamo pressioni. L’ho detto anche al Santo Padre. La decisione tocca a Benedetto XVI che agisce sotto l’illuminazione dello Spirito Santo. Noi sempre preghiamo per questo.

Luigi Geninazzi

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