Ecco un'altra vittima della guerra dei diritti ad ogni costo.

Le sentenze relative al caso di Eluana Englaro non nascono dal nulla, ma sono l'esito inevitabile di una interpretazione estrema del concetto di autodeterminazione della persona, nel quale le libertà di cui ogni essere umano dispone si trasformano in diritti...

Ecco un'altra vittima della guerra dei diritti ad ogni costo.

da Attualità

del 17 novembre 2008

Eluana Englaro morirà di fame e di sete. Impiegherà «grossomodo 15-20 giorni  […] anche se non è possibile stabilire esattamente il tempo»: ce lo ha spiegato Mario Riccio, il medico che ha sospeso la ventilazione a Piergiorgio Welby e che giudica positivamente la conclusione della vicenda.

 

Alcune settimane di agonia, quindi, per Eluana, dopo quest’ultimo, definitivo pronunciamento della Cassazione, che segna una delle pagine più nere della giustizia italiana.

 

Ora tutto dipende da Beppino Englaro: resta valida la sentenza della Corte di Appello del luglio scorso, secondo la quale il padre di Eluana non è obbligato a sospendere la nutrizione artificiale, ma solo autorizzato a farlo “in hospice o in altro luogo di ricovero confacente”. In altre parole: secondo i giudici Beppino Englaro può lasciare morire di fame e di sete sua figlia in strutture sanitarie pubbliche o private, e pure a casa sua, purché il luogo scelto sia adeguato, ma nessuno è obbligato ad eseguire la sentenza e lui stesso potrebbe ancora decidere di fermarsi, e non andare avanti.

 

Chi accoglierà la richiesta del padre di Eluana e lo aiuterà a sospendere l’alimentazione di sua figlia, quindi, lo farà per una scelta libera e consapevole e se ne assumerà tutta la responsabilità, politica e morale, davanti al popolo italiano.

 

Dire che in questo modo Eluana sarà “lasciata andare” e morirà naturalmente non corrisponde alla realtà dei fatti: Eluana sarebbe morta naturalmente subito dopo l’incidente stradale per via del trauma cranico e di una emorragia cerebrale, solo se non fosse stata rianimata, come invece era doveroso da parte dei medici. La morte per mancanza di nutrizione di Eluana, adesso, non ha niente di naturale.

 

D’altra parte non è possibile parlare di alimentazione ed idratazione come di terapie mediche, solo perché vengono somministrate con un atto medico (con l’uso del sondino naso gastrico o anche con un “tubo nello stomaco”, come spesso viene detto), così come il parto continua ad essere naturale anche se viene fatto in ospedale, con il battito cardiaco del feto monitorato, e con interventi e manovre del ginecologo, più o meno invasive.

 

Se Eluana, pure in stato vegetativo, fosse ancora in grado di deglutire, potremmo dire che la sua alimentazione è “naturale” solo perché le suore che la accudiscono potrebbero usare un cucchiaio anziché un sondino?

 

E comunque, che differenza c’è fra Eluana, incapace di relazionarsi con il mondo esterno e completamente dipendente dalle persone che la accudiscono, e un grave disabile mentale, o anche un malato di Alzhaimer, incapaci anch’essi di relazione, senza consapevolezza di ciò che li circonda, e privi di qualsiasi autonomia?

 

Siamo sicuri che le sentenze dei vari tribunali su Eluana Englaro non si possano estendere molto presto anche ad altri disabili gravi?

 

E’ oramai evidente a tutti che solo approvando una legge che entri nel merito delle dichiarazioni anticipate di trattamento si può cercare di correggere la deriva eutanasica che è entrata nel nostro ordinamento giuridico. Come abbiamo già avuto modo di dire nei mesi passati, paradossalmente anche una norma che vieti esplicitamente l’eutanasia non impedirebbe la sospensione della nutrizione artificiale ad Eluana Englaro che morirà, secondo la giustizia italiana, non per eutanasia ma perché sarà rispettata la sua volontà, e cioè il rifiuto dei trattamenti a cui è sottoposta.

 

Le sentenze relative al caso di Eluana Englaro non nascono dal nulla, ma sono l’esito inevitabile di una interpretazione estrema del concetto di autodeterminazione della persona, nel quale le libertà di cui ogni essere umano dispone si trasformano in diritti: con la legge 40 sulla fecondazione assistita il punto in questione era il diritto al figlio (e pure sano). Con i DICO era in gioco invece il diritto ad essere riconosciuti come famiglia, indipendentemente dagli impegni assunti e dal sesso, mentre con Welby prima ed Eluana adesso si è passati dalla libertà di cura al diritto a morire, basandosi su una giurisprudenza che negli ultimi anni si è sempre più orientata in questo senso.

 

E intanto il Consiglio Superiore della Magistratura si è organizzato per difendere i giudici della Corte di Cassazione dagli attacchi che si sono levati nei loro confronti: è stata già formalizzata all’interno del Csm la richiesta di un intervento a tutela dei giudici della Cassazione che si sono pronunciati sul caso di Eluana Englaro.

 

Un’iniziativa a dir poco inquietante, e sicuramente insolita. Sappiamo bene che la legge va rispettata. Ma speriamo che, di fronte a una sentenza che lascia morire di fame e di sete una persona in base a frasi pronunciate vent’anni prima, e che introduce di fatto l’eutanasia nel nostro paese, rimanga almeno la libertà di criticare, anche energicamente, e di prendere pubblicamente posizione.

Assuntina Morresi

http://www.ilsussidiario.net

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