La cantante: il mio passato nel Quartaccio è la mia fortuna, non ho subìto la vita. E già da piccola provavo a proteggere mia sorella Fey
La cantante: il mio passato nel Quartaccio è la mia fortuna, non ho subìto la vita. E già da piccola provavo a proteggere mia sorella Fey
di Chiara Maffioletti, tratto da corriere.it
Nelle strade di Quartaccio, a Roma, qualche anno fa, c’era una ragazza con troppa libertà e grandi sogni. Li sentiva, avvertiva da sempre di voler fare «qualcosa di grande», ma non ci si soffermava e ancora meno si azzardava a condividerli con qualcuno, cresciuta com’era: quando devi difenderti da subito e per tutto, un talento o anche solo un’ambizione diventano per gli altri il tuo punto debole, il tasto dove andare a colpire. E quindi Elodie Di Patrizi non ne parlava, quasi non ci pensava. Ma dentro di lei sapeva che prima o poi, chissà come, ma da quel quartiere se ne sarebbe andata, che la sua vita non sarebbe rimasta quella che per vent’anni pareva l’unica possibile. «Oggi non mi sento tormentata e sono piuttosto lucida riguardo a quello che è stato. Considero il mio passato la mia fortuna: mi ha dato la possibilità di vedere la vita cruda fin dall’inizio e non l’ho subìta».
La famiglia
In ogni parola di Elodie c’è un carico di verità raro. Niente retorica, nessun dolore. Solo una finestra spalancata su un mondo che ti fa guardare a lei come a una specie di miracolo, incarnazione perfetta di uno quei fiori che contro ogni logica rompono l’asfalto e vedono la luce. «I miei si sono separati quando avevo otto anni ma anche prima non erano molto felici, a casa non c’era una bella arietta — racconta —. Mia mamma faceva la cubista, era una ragazza con problemi, mi ha avuta a 21 anni. Entrambi hanno sofferto molto ed erano onesti in questo, non hanno mai camuffato il loro malessere. Ma per me che ero una ragazzina e lì vedevo così erano dei folli». Anche lei era «un personaggetto particolare: le cose non mi scomponevano, ho avuto problemi complessi dentro casa, ma era come se li vedessi da fuori». I problemi dei suoi genitori, quando lei era solo una bambina, erano complessi davvero. «Tossicodipendenza. Io l’ho capito dopo un po’ ma non ho reagito arrabbiandomi, anche se poi ho avuto dentro di me tanta rabbia per parecchio tempo. Ho detto vabbè vi do una mano, cerco di capire come aiutare. Non mi va di addossare colpe a loro, ma sono stata anni a tentare di sistemare una cosa che non è sistemabile, non da una ragazzina.
Senza acqua calda
«Erano persone che stavano molto male». Un macigno che viaggiava «assieme a tutta una serie di rotture pratiche: tornavo a casa e non c’era l’acqua calda, non riuscivo a studiare, provavo a proteggere mia sorella che ha tre anni meno di me: cercavo di non farle capire quanto andassero male le cose. Una situazione che mi creava un nervoso, una rabbia enorme, ma che non mi ha mai fatto sentire una sconfitta». «Potrei fare un film dai miei otto anni ai 23, con tutti i personaggi della mia vita: anche solo sul pianerottolo c’erano spacciatori, gente sessualmente promiscua, alcolizzati, la mia famiglia che non era quella del Mulino bianco. Ma tutto il quartiere aveva volti parecchio coloriti: osservandoli è come se avessi studiato, ho amato tante di quelle persone. Mi hanno dato la possibilità di vedere le vita con serenità: tutte le cose si risolvono e anche quando soffri è una fortuna, perché stai vivendo». Un corso intensivo di umanità che oggi la fa sentire «tanto ricca: ho vissuto un sacco di esperienze anche senza girare, anche perché: dove andavo? Alla fine, siamo stati tutti tanto male ma adesso stiamo tutti bene. E sono orgogliosa della mia famiglia: sono frutto della loro storia». È felice però che nessuno, oggi, viva più in quella casa: «Sono successe troppe cose brutte». Lei ogni tanto torna a trovare le sue amiche storiche: «Le mie vicine del pianerottolo, altre ragazze con cui giocavo in cortile. Come me hanno vissuto cose difficili per la loro età, c’è chi l’ha presa in un modo, chi in un altro. Con alcune siamo riuscite a sviscerare quello che ci era successo solo da grandi, con altre non ne abbiamo parlato mai. Anche se ripeto sempre che non è colpa nostra, quello che è stato non deve condizionare la tua vita ma deve diventare un punto di forza perché significa che sei stato in grado di andare avanti e alzare l’asticella: dovremmo tutti sentirci più forti, mentre i figli di situazioni eccessive spesso se ne vergognano». Un primo passo necessario per evitare di sentirsi «dentro una gabbia, se no ci rimani incastrato. Parliamo di persone con situazioni hardcore, quindi dovrebbero essere iper aperti no? Invece c’è molta chiusura, c’è paura. In quei contesti non c’è un filtro aperto ma una totale mancanza di comunicazione». Anche lei si è vergognata, per qualche tempo, della sua storia.
La maturità mai fatta
«Ti senti sporco, questa è la verità. È un contesto che rischia di inghiottirti. Non studiamo, a nessuno gliene frega niente, ma chi ti chiede i voti della pagella? I miei genitori non sono mai andati a parlare con un professore. Io ho la terza media e per dirlo ci ho messo anni: mi vergognavo come una ladra». Nonostante la sua intelligenza non comune, Elodie anche oggi vive questa cosa come un difetto enorme: «Rimpiango moltissimo il fatto di essere ignorante. Mi fa sentire a disagio, anche perché sono stata vigliacca: ho fatto il liceo fino al quinto anno, senza mai essere bocciata. Arrivata a maggio, mi sono ritirata. Non mi sentivo all’altezza di fare l’esame. Certo, allora mica l’ho detto così, ho fatto la coatta: mi ero inventata una storia del tipo che non avevo bisogno che qualcuno mi giudicasse, che mi dicesse se fossi pronta o meno. Ma avevo solo paura del fallimento, una cosa che mi ha accompagnata a lungo». Non ha dubbi sul fatto che, specie in quartieri come il suo, «servirebbero delle super scuole, l’unica via d’uscita è lo studio, solo quello. Se tu studi vedi che ti passa la voglia di fare cavolate: ti si apre un mondo. Ma gli strumenti me li devi dare, invece se ne fregano. Senza, se sei giovane è un attimo che ti trovi a rubare o spacciare». Anche lei è stata «una ragazzina complicata. A 12 anni mi facevo le canne tutto il giorno: iniziavo la mattina e finivo la sera. Ogni giorno. Ho iniziato in seconda media, per stare tranquilla: ero sempre arrabbiata. Facevamo delle collette con le amiche e quelle erano le mie giornate: al liceo non capivo le lezioni, tornavo a casa e me le facevo di nuovo, tanto nessuno diceva niente, ognuno faceva come gli pareva. Bevevo anche, uscivo e tornavo alle 7 del mattino, a 15 anni: ho avuto una libertà totale. E se hai troppa libertà sbagli». Diverse sue amiche hanno avuto figli a 15, 16 anni. «Ecco io quello no, ero proprio vergine, anzi. Una delle più rigide su certe cose. Quando una mia amica si era fidanzata con un tossico di eroina ero impazzita: l’ho sequestrata dentro casa, le ho detto tu da qua non esci. Questo ha cecato di entrare, mia madre era spaventata, mi minacciava... ma cosa minacci, vatti a fa’ ‘na pera».
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