Facciamo centro all'Aporti!

Al seguito dell'esperienza vissuta, ricolma di una ricchezza d' inestimabile valore, invito ognuno a rischiare coraggiosamente nel fare un passo in alto, nel mettersi al servizio degli altri in qualsiasi spazio e tempo...

Facciamo centro all'Aporti!

del 17 gennaio 2019

Al seguito dell’esperienza vissuta, ricolma di una ricchezza d’ inestimabile valore,  invito ognuno a rischiare coraggiosamente nel fare un passo in alto, nel mettersi al servizio degli altri in qualsiasi spazio e tempo...

 

Tra la fine del vecchio e l’inizio del nuovo anno, assieme ad un gruppo di “pochi ma buoni” giovani adulti provenienti dal Triveneto e non solo, ho avuto la possibilità di varcare la soglia di un luogo rivestito da stereotipi e pregiudizi, situato lontano dalle luci e dai rumori della città che rallegrano l’aria di festa di questo periodo; un luogo “invisibile” quasi impercettibile perché capace di mimetizzarsi in maniera camaleontica tra il grigiore profondo e scuro della strada e gli alti e spessi muri che avvolgono l’intero edificio.

Per fortuna che la natura del Buon Creatore ha spezzato questa monocromia e monotonia regalando per quei giorni dei raggi di sole e un cielo azzurro, limpido, dolce e sereno. Il colore azzurro lo si è trovato nuovamente ed inconsapevolmente nella divisa dell’agente di polizia penitenziaria che ha accolto e registrato ognuno di noi all’ingresso, per accedere al Ferrante Aporti di Torino. 

Il nome dell’Istituto Penitenziario Minorile può sembrare un ossimoro rispetto al luogo, invece è possibile scorgere un barlume di speranza significativo nel considerare il carcere per i minori come un’ opportunità di cambiamento al bene e al bello della vita che è  donata anche ai ragazzi che sostano all’interno.

In questa realtà, ci ha fatto da apripista Don Domenico, chiamato amorevolmente da tutti don Meco: sacerdote salesiano e cappellano del carcere da più di 35 anni,  raccontandoci con la luce negli occhi e la passione che traspirava continuamente da ogni poro della sua pelle come in ogni giovane, anche il più disgraziato, vi è un punto accessibile al bene, e dovere primo dell'educatore è di cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore e trarne profitto.

Proprio questo mantra alla “Don Bosco”, che è riecheggiato nelle mie orecchie e che quotidianamente vivo attraverso la mia professione, mi ha permesso di rompere tutti gli schemi prefissati per le attività che si erano preparate con meticolosa cura, e come dei jazzisti io e gli altri compagni di cordata abbiamo imparato ad orchestrare assieme ai ragazzi, vivendo così dei forti e preziosi momenti di CONfronto, inCONtro e CONdivisione.

È la semplicità della preposizione “CON” che ha messo al centro la persona indipendentemente dalla storia di partenza e arrivo all’Aporti, dalle malefatte compiute volontariamente o intenzionalmente, dal colore della pelle o della religione. L'epicentro di questa esperienza sono stati i 13 ragazzi con una grande voglia di vivere,  di giocare, di dialogare, di essere ascoltati, accolti così com’erano con pregi e difetti annessi e connessi, di fare festa e divertirsi poiché i ragazzi che sono dentro non sono così diversi dai ragazzi di fuori.

Inoltre, i ragazzi nella loro naturalezza e stupore si sono interrogati sul perché dei giovani adulti pieni di ogni libertà e successo avessero scelto di trascorrere durante le feste natalizie del prezioso tempo con gente che ha percorso strade terribili e pericolose come unica via di conoscenza e salvezza.

La risposta a questa lecita domanda si può trovare nelle parole di Gesù: “ero in carcere e siete venuti a visitarmi”, inoltre sono convinta che occorre cercare Dio in ciò che non è, evadere dalle proprie zone di confort per spostarsi laddove la bellezza è solo negata ma non morta e sepolta.

Al seguito dell’esperienza vissuta, ricolma di una ricchezza d’ inestimabile valore,  invito ognuno a rischiare coraggiosamente nel fare un passo in alto, nel mettersi al servizio degli altri in qualsiasi spazio e tempo si è chiamati ad andare solo in questo modo si potrà contribuire a costruire un’umanità più fraterna. 

Tutti noi siamo nati per essere una missione su questa terra e abbiamo il costante compito di amare ed essere amati così facendo la nostra vita potrà essere piena di pieno e non di vuoto.

 

Mariachiara

 

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