“FACE TO FACE” del Rettor Maggiore alla Festa dei Giovani

L'educazione ispirata sempre a Don Bosco è una educazione che oggi ha una triplice sfida molto concreta, oggi l'educazione prima di tutto non si identifica con l'istruzione, non si identifica con l'insegnamento... Io ci credo! Credo nei giovani, credo nell'educazione, credo in voi!

“FACE TO FACE” del Rettor Maggiore alla Festa dei Giovani

da Rettor Maggiore

del 29 giugno 2009

MATTEO P.

Allora Don Pascual dobbiamo parlare un po' forte perchè la confusione della festa si sente ed entra in questa micro-conferenza. Abbiamo purtroppo poco tempo, abbiamo una mezz'oretta circa, quindi chiederei la partecipazione di tutti voi attraverso delle domande puntuali e precise a don Pascual sul tema dell'educazione della gioventù mondiale e dei nostri contesti. Quindi cerchiamo di non divagare troppo sul tema ma teniamo puntuale questa 'Barra dritta'. Io vorrei iniziare, don Pascual, ricordando che all'inizio di quest'anno, era gennaio 2009, ci siamo ritrovati a Roma per il congresso internazionale sul sistema preventivo e i diritti umani e la prima domanda che nasce è: di che diritti  ha ancora bisogno la gioventù del mondo e come il sistema preventivo può sostenere e  custodire questi diritti? La seconda domanda, lancio tre provocazioni generali, e poi lascio la parola a voi dopo le risposte di don Pascual, oggi parlavi dell'attualizzazione del sogno di don Bosco in ciascun giovane che cerca risposte alle domande del cuore, e in questo contesto sociale fatto di emergenze educative, ne  vediamo sui giornali e sui telegiornali tutti i giorni, fatti di immigrazione e di enorme povertà, vorrei chiederti come gli educatori che si ispirano a don Bosco possono ancora portare speranza? E la terza domanda è sulla multimedialità, sui sistemi informatici, sull'informazione, tema caro anche a don Pascual, che stanno cambiando le strategie educative, come possono essere questi strumenti di relazione educativa ancora oggi?

Ti lascio questi tre spunti, poi lui 'parlerà a braccio' come abbiamo visto questa mattina, è molto esperto della comunicazione, e poi lascio la parola a voi, basta alzare la mano, abbiamo questo microfono e teniamo sempre questo tema fondamentale. Sentiamo le risposte di don Pascual e poi andiamo alle domande.

 

DON PASCUAL CHÁVEZ

Allora avete sentito che  vi ha invitato a fare domande semplici e quelle che ha posto non sono semplici, sai?

 

MATTEO  P.

Non semplici ma precise!

 

DON PASCUAL CHÁVEZ

Ecco, allora, cercherò di rispondere velocemente per darvi l'opportunità. Per quello che riguarda la questione dell'educazione ai diritti, si deve dire che si deve cambiare la mentalità nel lavoro con i poveri. Sovente era una mentalità che cercava di palliare la povertà […]. La nostra opera non è un'opera palliativa che cerca di attutire la sofferenza. Don Bosco voleva, prima di tutto, trasformare la persona e trasformare la società di modo tale che la società possa offrire a tutti tutti i diritti. Perchè questo è così, i diritti sono inscindibili, sono il diritto della vita, il  diritto dell'educazione, il diritto del lavoro, il diritto della casa, assolutamente il diritto della libertà religiosa, questi elementi oggi non  si possono dividere e scegliere perchè altrimenti si diventa molto arbitrari nel dire quali diritti sono riconosciuti e quali altri invece sono negati o sono semplicemente considerati come optional da parte di chi ha la possibilità di darli. La congregazione salesiana sta facendo un passo in avanti in quello che era il lavoro sociale. Don Bosco è sempre stato molto sensibile alle cause dei più poveri, dei più bisognosi, però adesso ci rendiamo conto che i diritti umani possono arricchire il sistema preventivo, ci possono aiutare a vedere che, oggi, la forma di educare è di dare voce, di dare protagonismo ai giovani che noi curiamo nelle diverse opere, [e nello stesso tempo], il sistema preventivo può arricchire i diritti umani.

Per esempio quando [i diritti umani] non sono visti come una rivendicazione sociale ma prima di tutto come un riconoscimento della dignità della persona, della capacità di impegnare tutti noi nella costruzione di una società che possa essere più giusta, più fraterna, più uguale per tutti, questa è una prima risposta.

La seconda riguarda l'educazione. L'educazione ispirata sempre a Don Bosco è una educazione che oggi ha una triplice sfida molto concreta, oggi l'educazione prima di tutto non si identifica con l'istruzione, non si  identifica con l'insegnamento,  non si identifica con la abilitazione o sviluppo di  alcuni elementi o con il trasferimento di saperi. L'educazione è un'arte. È l'arte di formare la persona umana. È la prima cosa a cui deve tendere un’autentica educazione. Deve tendere a formare [..] i nuovi europei e le nuove europee per la nuova società che sta sorgendo in Europa. Come seconda cosa, l'educazione, deve garantire una formazione professionale di qualità, quando don Bosco diceva ai ragazzi: 'Vi voglio felici ora e nell'eternità!' non gli bastava che fossero felici mentre si trovavano con lui nell'oratorio, in qualche modo protetti in un ambiente. Lui sapeva che la società è molto dura, che la vita tende a scartare, a segregare, a emarginare coloro che non sono preparati; perciò don Bosco diceva 'Studiate', 'Sviluppate tutti i vostri talenti'. Oggi una educazione deve formare la persona umana, deve formare il professionista e deve formare il cittadino attivo. Vuol dire un cittadino che non si accontenta con la ricerca del successo personale, ma che vuole impegnarsi nella costruzione di una società più giusta e di una patria che sia casa per tutti. Questo è un secondo elemento.

Per quel riguarda le nuove tecnologie oggi, non c'è dubbio che parte del gap generazionale, che esiste tra gli adulti  e i giovani, ha  in buona misura a che vedere con la nuova comunicazione sociale. Perchè? Perchè la comunicazione sociale è un campo in cui i giovani si trovano molto a loro agio. Oggi ci sono tanti ragazzi che comunicano attraverso blog, attraverso facebook, attraverso youtube, attraverso SMS, creando una rete reale di rapporti. Questo mondo diventa sempre più estraneo agli adulti. Sembrerebbe quasi che i giovani si trovino in un campo, che è la loro patria, che è il campo della comunicazione sociale; con alcuni rischi, per esempio quello di una comunicazione meramente virtuale, perchè tutto è virtuale non è reale. Un virtuale che a volte tende a minimizzare quello che significa veramente la durezza di un rapporto continuo con una persona perchè è molto facile comunicare virtualmente. Alla fine non devi mica convivere con quella persona. È molto difficile quando devi stare con la persona con la quale ti stai rapportando, però il fatto  è che i giovani considerano che gli adulti non capiscono questo uovo mondo, sembrano estranei a un mondo esclusivo loro. Che cosa fare? Da una parte una formazione sempre più critica degli usi dei mezzi di comunicazione sociale per non minimizzare la comunicazione reale, sacrificandola ignara della comunicazione virtuale, e dall'altra parte si deve a poco a poco abilitare anche gli adulti ad entrare in questo nuovo mondo e in questa nuova forma di comunicazione.

 

 

DOMANDA

Don Pascual una domanda alla quale i miei salesiani allargano le braccia, adesso lei mi risponderà. Io esco dal io oratorio ogni giorno con il cuore pieno di gioia come voi. Attraverso le strade e le piazze e arrivo a casa triste perchè trovo i giovani, quelli veri. Quelli che 'reggono il muretto', bevono, fumano, perdono tempo. Allora io mi dico che non faccio più prevenzione. In oratorio noi abbiamo la crema. Qualche caso, quelli belli, quelli bravi, e don Bosco di quelli diceva: 'Non hanno bisogno di noi!'. Forse dovremmo un po' tornare alle origini, secondo me,  perchè io non ho più la sensazione di fare prevenzione. Lo stesso Vangelo ieri ci diceva che non serve a niente che tu saluti i tuoi amici, ma che tu fai qualcosa se tu saluti i tuoi nemici. Io mi chiedo ultimamente, sarà anche perchè sono un po' più vecchia degli animatori  di adesso, se io sto facendo la vera  prevenzione che voleva don Bosco? Grazie!

 

MATTEO  P.

Grazie a lei. Il signore in penultima fila. Allora un'altra domanda sulla prevenzione.

 

DOMANDA

Io vivo una esperienza non molto simile a quella della nostra amica. Perchè all'interno del nostro oratorio, parlo di un oratorio di base, non abbiamo quella che lei definiva la crema. Abbiamo situazioni di confine. Abbiamo situazioni di rischio. A differenza, magari, di una realtà organizzata e associativa: ADS, PGS, eccetera. Volevo formulare due domande velocissime molto secche. Non so se il Rettor Maggiore sarà così gentile. La prima riguarda il futuro della congregazione salesiana. centocinquant' anni sono trascorsi, che cosa vede il Rettor Maggiore per il prossimo futuro? La  seconda riguarda il ruolo del laico all'interno della congregazione. Quale tipo di collaborazione può fornire il laico, non sono il cooperatore, ma anche il collaboratore occasionale, quello che vive all'interno dell'oratorio senza aver nessuna 'promessa specifica'. Grazie.

 

DON PASCUAL CHÁVEZ

Bene allora rispondo a queste e poi ne sorgeranno altre. Per quello che riguarda la situazione dei giovani, don Bosco cominciò il lavoro con i giovani andando alle prigioni di Torino. Visitando le prigioni si rese conto che era molto difficile recuperare quei ragazzi che, per un motivo o per l'altro, erano caduti in esperienze negative che avevano marcato così negativamente la loro vita; ragazzi che, diceva don Bosco, andando in prigione, non soltanto non venivano raddrizzati nella loro vita, ma addirittura escono peggio di come sono entrati. A quel punto don Bosco diceva che [quei ragazzi avrebbero potuto aver risultati migliori] se avessero avuto un buon amico, in quell'età della vita in cui i giovani adolescenti cercano di tagliare tutti i rapporti con i genitori, nel momento in cui la persona tende a cercare la propria autonomia per l' autoaffermazione. È un po' la legge della vita no? Allora se in quel momento, diceva don Bosco, loro avessero avuto un buon amico non soltanto non sarebbero caduti in esperienze negative, ma al contrario avrebbero potuto sviluppare tanti dei loro talenti. Da lì lui ebbe la consapevolezza che doveva orientarsi a prevenire più che a rimediare. Da questo punto di vista il sistema preventivo era visto come un sistema che da un punto di vista positivo cercava di sviluppare tutte le energie buone dei ragazzi. Con la parolina all'orecchio, con la creazione di un ambiente che fosse veramente come un ecosistema dove la vita cresce con freschezza, con grande ricchezza. Dall'altra parte, negativamente, cercare di immettere, come diceva don Bosco, ai  giovani nell'impossibilità materiale e morale di peccare. Come diceva, un luogo dove 'possano orientarsi al bene'. Però devo dire che don Bosco non aveva soltanto in oratorio Domenico Savio. Si deve dire che già quando don Bosco comincia l'oratorio era la casa dei giovani poveri, a rischio. Tanto che la mamma di Michele Rua non voleva che il figlio, educato dai fratelli delle scuole cristiane, andasse da don Bosco; perchè diceva: ' Questo don Bosco mi rovinerà il mio Michelino'. Allora vuol dire che già era riconosciuto che non aveva tutti 'Domenico Savio', anzi, quando comincia con Michele Magone, Michele Magone è un ragazzo della strada, è un comandante di piazza, con una capacità di leadership naturale. Don Bosco deve cominciare a rendersi conto che, i giovani, adolescenti o ragazzi che per un motivo o per un altro sono andati a finire in esperienze negative, hanno mancato di esperienze positive da quelli che li aiutavano a formare una personalità sana, robusta, che questi dovevano darsi da fare. Da questo punto di vista cominciò una  re-interpretazione del sistema preventivo, che non è soltanto andare da coloro che sono sempre stati bravi, buoni, ben curati; ma da coloro, che se anche hanno subito delle esperienze negative, si potevano avvicinare per tentare di arginare le conseguenze negative e ricostruire una personalità. Questo lo fece con Michele Magone, del quale disse che, dopo un anno e mezzo, era cambiato completamente. Qui, in Italia, nel 1954, l'allora cardinale Giovanni Battista Montini disse ai salesiani 'Voi siete abituati a lavorare con ragazzi buoni, bravi, perchè il sistema preventivo vi porta questo; voi dovete confrontarvi con ragazzi che sono difficili che hanno già avuto esperienze negative, che sono a rischio di una totale perdizione', e voi sapete che ha offerto ai salesiani quella prigione per i giovani, la prigione correzionale di Arese. In quel momento i salesiani si sentirono veramente chiamati a confrontarsi con un altro tipo di esperienza. Da allora sino ai oggi i salesiani portano avanti lavori con ragazzi della strada, lavori con tossicodipendenti, lavori con adolescenti soldato, lavori con giovani sfruttati nel campo sessuale e  nel così detto turismo sessuale, lavori con i ragazzi affetti o infetti dall' HIV e AIDS. Oggi i salesiani non si trovano a lavorare esclusivamente con ragazzi che sono cresciuti sani e maturi. No! È naturale che quando uno viene dall'oratorio e va in strada si trova con questo tipo di ragazzi, che cosa fare? Non è che dobbiamo abbandonare quelli che stiamo curando, però si deve cercare di vedere come riuscire a far si che quest'opera abbia una maggiore ricaduta sul territorio, che diventi significativo e diventi a poco a poco un elemento di trasformazione. Ci sono nel contempo opere nuove, di trasformazione. Per cui dico che stanno sorgendo per esempio opere a favore dei rom, dei sinti, degli immigranti, cercando di rispondere a nuove situazioni.

 

Riguardo al futuro della congregazione. Ah la congregazione ha un grande futuro. Basti vedere queste migliaia di giovani con cui abbiamo a che vedere. Perchè se è vero che in Italia e in gran parte d' Europa facciamo fatica ad avere vocazioni come nel passato, tuttavia qui nel nord Italia, l'Ispettoria Veneta, l'spettoria Lombarda, l'Ispettria del Piemonte, riescono veramente a far maturare progetti di vita in tanti ragazzi. Però non sono sufficiente. In India noi abbiamo in questo momento 2500 salesiani, cioè più salesiani in India che in Italia. In un paese dove soltanto il 2% della popolazione è cattolica. Abbiamo l'ispettoria con più vocazioni di tutto il mondo in Vietnam, dove il 6% della popolazione è cattolica, mentre il resto è buddista, comunista. Però li abbiamo una media di 35 nuovi salesiani ogni anno. In una ispettoria di questo tipo?! L'Europa nel passato è stata molto generosa, molto fiorente, molto missionaria, adesso ci sono altri contesti in cui avviene tutto questo. Non soltanto in quei contesti si sta sviluppando bene il carisma, ma si sia avviato già quello che si chiama il 'Progetto Europa'.

Il 'Progetto Europa' cerca di essere una risposta di congregazione alla situazione in Europa dove assistiamo a questo invecchiamento del personale, a questa scarsità nel flusso vocazionale, a questo sempre maggiore impegno  dei laici dovuto alla mancanza di vocazioni. Io personalmente vedo con tranquillità il futuro, perchè il carisma è stato impiantato fedelmente e grazie a questo c'è identità salesiana, c'è una grande unità in tutto il mondo e c'è anche una grande vitalità. Basta stare oggi qui, questa mattina,  per vedere che sei mila ragazzi che godevano durante lo spettacolo, durante la messa erano raccolti. Raccolti vivendo in profondità un momento e differenziandolo dall'altro. Vuol dire che c'è una materia prima di grande qualità, quando si lavora con i ragazzi non si può essere pessimisti. I ragazzi rappresentano sempre il presente.

 

MATTEO  P.

C'è tempo ancora per un paio di domande. vediamo se c'è qualcuno che si fa sotto?!

C'è qualche domanda?

 

DOMANDA

Allora mi scusa per l'intromissione. Non son più giovane, però sono sempre giovane dentro! Volevo solo intervenire per darle un ricordo fatto da me in ricordo di questo giorno.

 

DON PASCUAL CHÁVEZ

Me lo porti, me lo porti! Che mi piace!

 

MATTEO  P.

Venga, venga signora! Ce n'è per tutti qui.

 

DON PASCUAL CHÁVEZ

Quando una persona mi vuole bene, mi fa sentire quanto mi vuole bene Dio!

 

MATTEO  P.

Benissimo! C'è qualcun'altro che ha qualche domanda per il Rettor Maggiore?

 

DOMANDA

Io volevo intervenire a proposito del sistema preventivo. La mia domanda è legata un po' alla delusione che c'è in questo momento per quanto riguarda la PGS in crisi. Io chiedo questo: quanto importante ancora è l'aspetto sportivo, o meglio del gioco come sottolineava don Bosco, nella prevenzione proprio dei disagi sociali? E quanto possiamo fare noi laici, ma anche sacerdoti e suore salesiane, nel mettere in pratica il sistema preventivo attraverso lo sport?

 

DON PASCUAL CHÁVEZ

Penso siano domande diverse perchè una domanda molto concreta è: quale valore ha coltivare lo sport dentro lo sviluppo della persona, e dunque, come una scelta che fa parte anche del sistema preventivo? Su questo mi trovo pienamente d’accordo, perchè don Bosco non ha voluto formare soltanto robot e dunque non voleva soltanto la scuola, voleva anche il cortile come un campo di sviluppo anche di tutta la parte fisica della persona, di tutta la sua anche energia fisica, dei suoi talenti, della sua capacità di creare amicizia con altri, per cui lo  sport come tale non è soltanto sport come tale. Per esempio noi nella Germania abbiamo una scuola di campioni di sci, quando mi hanno portato a vedere quella scuola finanziata dallo Stato e con strutture proprie per creare campioni, mi hanno detto: 'Che cosa le sembra?'. 'Beh questo non è salesiano!'. 'Perchè?' 'Perchè io voglio formare una persona! Non un atleta, una persona. Che può essere anche atleta. Però io voglio formare non soltanto il corpo, devo formare la mente, devo formare il cuore, devo sviluppare tutte le sue dimensioni'. Perciò dico dal punto di vista dello sport mi ritrovo completamente con lei, dopo per quanto riguarda una istituzione, si deve vede se quella istituzione continuava ad essere educativa, non propensa soltanto a sviluppare una delle dimensioni che per don Bosco era importante, ma non assoluta! Don Bosco non ha voluto formare soltanto preti, perciò non soltanto c'era una chiesa, una cappella; c'era la scuola e l'ambiente di accoglienza. C'era la capacità di preparare ad affrontare la vita. È qui dove la domanda, come dicevo, ha due risvolti diversi. Uno con cui mi ritrovo e l'altro che invece dobbiamo vedere fino a quale punto arriva una istituzione così. Per esempio quando io vedo un campo sportivo, certo che mi fa piacere. Quando vado in una palestra la prima  cosa che dico è: 'Come vorrei avere nelle mie opere una palestra!' perchè forma parte dell'insieme. Però dopo mi chiedo: 'Che cosa rende educativa una palestra?', 'La presenza di educatori'. Se non ci sono educatori allora tutto diventa semplicemente sport, ma non educazione attraverso lo sport. È questa un po' la differenza.

 

MATTEO  P.

Ahimè abbiamo finito il nostro tempo a disposizione. Adesso lasciamo che il nono successore di don Bosco stia in mezzo ai suoi giovani. Quindi don Igino, che è un po' il nostro capo, il nostro vertice, non vede l'ora di portarti un po' in giro e di accompagnarti  tra tutti gli stand che questi giovani hanno creato per questa festa. Quindi noi ti ringraziamo, ti diamo il benvenuto e l'arrivederci perchè ci vediamo anche tra poco. Grazie a tutti!

 

DON PASCUAL CHÁVEZ

Allora, prima di andare a visitare cosa vi è sembrato lo spettacolo di questa mattina?eh? Non si sente!

Bello? I ragazzi hanno fatto benissimo! Hanno persino insegnato al Rettor Maggiore ad essere attore! Eh? Ho imparato da loro! La cosa più bella è...ma avete visto quanti ragazzi e ragazze sono intervenuti? Cantando, ballando, manifestandosi! Era bello vedere tutto questo! Questa è la nostra forza! I ragazzi e le ragazze hanno bisogno non soltanto di proposte ma di un  ambiente che li sorregga, che gli faccia creare veramente un grande movimento. Immaginate cosa sarebbe cantare con sei mille di questi ragazzi in questa regione d'Italia. Tutti i problemi saremmo capaci di risolverli. È vero o non è vero? Non ci credete cari? Io ci credo! Credo nei giovani, credo nell'educazione, credo in voi!

 

MATTEO  P.

Grazie don Pascual! Grazie!

 

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