Sant'Agnese, un corpo così piccolo per una fede così grande...
“Non ancora capace di subire tormenti, eppure già matura per la vittoria”.
Così Sant’Ambrogio ricordava, nel suo trattato De Virginibus, Sant’Agnese, la vergine e martire romana di cui oggi la Chiesa ricorda la nascita al cielo.
Della sua vita si sa poco, mentre della sua morte si conosce ogni dettaglio perché fu una testimonianza di fede così grande che pose subito il nome della fanciulla nel Canone Romano accanto a quelli di altre celebri martiri: Lucia, Cecilia, Agata, Anastasia, Perpetua e Felicita.
Agnese aveva dodici anni quando fu costretta a scegliere tra la vita mortale e la vita eterna. Un’età in cui le fanciulle sue coetanee – scriveva Sant’Ambrogio – “tremano anche allo sguardo severo dei genitori ed escono in pianti e urla per piccole punture, come se avessero ricevuto chissà quali ferite”.
Lei invece no. Legata nuda in una pubblica piazza, provata dal ferro e dal fuoco, piuttosto di rinnegare il proprio amore per Gesù Cristo, preferì sacrificare il suo minuscolo corpo e offrirlo allo Sposo tanto atteso, a cui si unì per sempre mediante la palma del martirio.
Come accennato, si sa ben poco delle origini della giovane Santa. Non si ha la certezza nemmeno del nome “Agnese”, traduzione dell’aggettivo greco “pura” o “casta”, che secondo alcuni storici fu usato in maniera simbolica probabilmente per esplicare le sue qualità.
Informazioni sulla giovane martire, seppur vaghe e discordanti, si attribuiscono, oltre al già citato “De Virginibus” di Sant’Ambrogio del 377, anche alla “Depositio Martyrum” del 336, il più antico calendario della Chiesa romana; all’ode 14 del “Peristefhanòn” del poeta spagnolo Prudenzio e ad un carme di papa San Damaso, ancora oggi conservato nella lapide murata nella basilica romana di Sant’Agnese fuori le mura.
Dall’insieme di questi dati risulta che Agnese nacque a Roma, da un’illustre famiglia patrizia, in un periodo in cui era illecito professare pubblicamente la fede cristiana, probabilmente il III secolo. Durante la sua adolescenza, scoppiò infatti una forte persecuzione da parte dell’imperatore Valeriano, secondo alcune fonti, o Diocleziano, secondo altre. Tanti fedeli si arresero alla defezione, molti altri, invece, furono uccisi così in gran numero e così barbaramente che quel periodo storico meritò l’appellativo di “era dei martiri”.
Secondo il parere di alcuni studiosi, Agnese avrebbe versato il sangue il 21 gennaio di un anno imprecisato. La piccola fu denunciata dal figlio del prefetto di Roma, che invaghitosi di lei venne respinto dalla giovane che aveva deciso di offrire la sua verginità al Signore.
La sua fu dunque una duplice testimonianza: di fede e di castità. Esposta seminuda al Circo Agonale, nei pressi dell’attuale piazza Navona, venne messa a morte forse per decapitazione, come asseriscono Ambrogio e Prudenzio, oppure mediante fuoco, secondo San Damaso. L’inno ambrosiano Agnes beatae virginia ne pone in luce anche l’innato pudore per la giovane età, ricordando il tentativo di coprire il suo corpo verginale con le vesti e la candida mano sul viso nell’accasciarsi al suolo.
«E’ un’offesa allo Sposo attendere un amante» disse prima di morire ad un boia incredulo che si sentì rivolgere anche queste parole «Carnefice, perché indugi? Perisca questo corpo: esso può essere amato e desiderato, ma io non lo voglio».
Secondo alcune leggende, un uomo cercò di avvicinarla, ma morì prima di poterla sfiorare, risorgendo miracolosamente per sua intercessione, e quando fu gettata nelle fiamme, il fuoco si estinse per le sue preghiere. Morì, in silenzio, con il capo chinato, trafitta con colpo di spada alla gola, allo stesso modo in cui vengono uccisi gli agnelli. Per questo l’iconografia tradizionale la raffigura con una pecorella o un agnello sul grembo, quale simboli di candore e sacrificio.
Affascinante anche la storia delle reliquie della Santa. Il suo piccolo corpo martirizzato venne inumato nella galleria di un cimitero cristiano sulla sinistra della via Nomentana. In seguito sulla sua tomba, Costantina, figlia di Costantino il Grande, fece edificare una piccola basilica in ringraziamento per la sua guarigione, che fu poi ripetutamente rinnovata ed ampliata. Accanto ad essa sorse, inoltre, uno dei primi monasteri romani di vergini consacrate.
Il cranio della santa martire venne posto dal secolo IX nel “Sancta Sanctorum”, la cappella papale del Laterano, per essere poi traslato da papa Leone XIII nella chiesa di Sant’Agnese in Agone, che sorge sul presunto luogo del postribolo dove fu esposta. Tutto il resto del corpo riposa invece nella basilica di Sant’Agnese fuori le mura in un’urna d’argento commissionata da Paolo V.
Salvatore Cernuzio
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