Il rischio delle iniziative di alcune parrocchie è quello di scadere nell'attivismo, nel fare fine a se stesso, e non nel fare per Dio. Se ciò accadesse la parrocchia diventerebbe per i giovani una efficiente cooperativa sociale che eroga solo dei servizi agli utenti battezzati o non battezzati che siano.
del 24 agosto 2011
 
          Il riflesso pavloviano è inevitabile. Dici Giornata Mondiale della Gioventù e ti vengono in mente ragazzotti e fanciulle in braghette corte, t-shirt e foulard con il logo della GMG che festanti e ridenti camminano cantando sotto il solleone. Nell’immagine stereotipata - ma gli stereotipi sono tali perché hanno sempre un fondo di verità - non c’è mai posto per chi in realtà e alla guida di questi gruppi di giovani, cioè i sacerdoti. Forse perché spesso con abile mimetismo nell’abbigliamento questi ultimi si confondono tra i ragazzi e non è facile distinguerli.
          Anche loro però vivono appieno la GMG e viene da domandarsi cosa mai si porteranno a casa, meglio: in parrocchia, da questa esperienza madrilena. Ecco, il punto sta proprio in questa parola: 'esperienza'.
          Tale termine è diventato negli anni il mantra di tutta una certa pastorale giovanile che ha ingolfato le parrocchie e gli oratori di una serie di attività il cui numero farebbe impallidire un centro polifunzionale dei più avanzati. Grest, oratori estivi, castagnate, cineforum, fiaccolate, raccolta fondi, pesche di beneficienza, feste patronali e non patronali, campeggi, allestimenti teatrali, tornei sportivi, doposcuola, assistenza agli anziani, ai portatori di handicap, agli indigenti, ai tossicodipendenti, etc. Tutte attività assai meritorie, intendiamoci bene, però non sono il nocciolo duro dell’essere cattolico. Sarà banale ricordarlo ma il fine di ogni nostra goccia di sudore è Dio, o in chiave soteriologica - per dirla in teologhese - la propria salvezza. Qui sta il centro di gravità delle fede. Il rischio di tutte queste iniziative invece è scadere nell’attivismo, nel fare fine a se stesso. Non nel fare per Dio. L’inganno è dunque convertire queste attività da mezzi in scopi. Se ciò accadesse la parrocchia diventerebbe per i giovani una efficiente cooperativa sociale che eroga solo dei servizi agli utenti battezzati o non battezzati che siano.           L’esperienzialità punta tutte le sue fiches sull’io che è attore principale di una situazione significativa (o che dovrebbe essere tale nell’intento di chi la propone). Ecco quindi il vivere insieme alcuni momenti aggregativi, il porre l’accento sull’importanza dell’amicizia, gli effetti benefici della condivisione di esperienze formative, il confronto aperto, etc. Tutti strumenti indispensabili per una corretta crescita della persona e del credente, senza dubbio, ma se non veicolano un messaggio più alto diventano sterili, si ripiegano su se stesse, ristagnano senza slancio. Se non sono la cornice ove inserire un contenuto che sappia elevare, la pastorale è destinata a diventare un airbus pieno zeppo di passeggeri che rulla a terra e mai decollerà.            Invece la GMG così come è stata pensata da Benedetto XVI mira al trascendente. Le attività di questi giorni innestano al palo orizzontale della croce - il piano umano (le catechesi, gli incontri, i dibattiti, i discorsi, le mostre etc.) - quello verticale che indica Dio. L’adorazione eucaristica, la veglia di preghiera, il culto mariano, l’indulgenza plenaria, le confessioni (eccezionalmente anche il peccato di aborto potrà essere assolto da sacerdoti ordinari), la celebrazione eucaristica conclusiva sono il vero tesoro della GMG. Quello che lo precede è solo la mappa che indica il percorso, mappa preziosissima ma che non può essere confusa con il bottino finale. L’importante non è il viaggio come sostiene la filosofia di Jack Kerouac, ma è la meta.           La GMG di Benedetto XVI perciò rimette in ordine le priorità per il credente. Come ama spesso rammentare Vittorio Messori, il cristianesimo è la religione dell’et/et. Tutto tiene e tutto conserva. Ma ciò non significa che non ci siano 'et' più importanti di altri 'et'. La Chiesa si prende cura dell’uomo nella sua totalità - corpo e spirito - ma insegna che il vero fedele deve camminare su questa terra con lo sguardo rivolto sempre verso il cielo. Invece nelle nostre parrocchie la pastorale giovanile si guarda spesso compiaciuta la punta delle scarpe e antepone alcuni aspetti del vivere cristiano meno rilevanti ad altri ben più significanti di carattere spirituale. Anzi questi ultimi il più delle volte diventano veri e propri oggetti non identificati nei nostri 'spazi aggregativi ecclesiali'. Insomma, se la parrocchia fosse una casa d’aste ci verrebbe da sospettare che la settimana bianca con il don sarebbe battuta ad un prezzo ben superiore dell’ora eucaristica. Lo ripetiamo: i due aspetti non sono in contraddizione nè in competizione tra loro, ma alcuni hanno un peso specifico cattolico superiore ad altri. É Maria che a differenza di Marta 'si è scelta la parte migliore'. Considerare all’opposto la vita spirituale come la cenerentola dell’azione pastorale conduce ad un pernicioso umanesimo cattolico: una religione delle buonissime azioni. Uno scoutismo avanzato.           Non di rado poi la predilezione cade sul sociale, sul collettivo (Hegel e i suoi nipotini sono sempre in mezzo a noi). Non più quindi direzione spirituale condotta attraverso un rapporto personale, ma condivisione comune delle proprie difficoltà e incertezze; non più insistenza nell’indirizzare i giovani alla frequenza ai sacramenti (confessione ed eucarestia), ma preferenza per attività, seppur meritorie, meramente pratiche; non più orientare alla preghiera personale e ad altre pratiche di pietà individuale, ma atteggiamento di predilezione per i momenti di preghiera comunitari.            Allora le attuali giornate iberiche potranno essere da stimolo ai molti sacerdoti presenti per importare a casa loro questa lezione di pastorale, anzi questo laboratorio di pastorale che proviene dallo stesso Magistero. In questo senso possiamo guardare alla GMG di quest’anno come un’unica grande parrocchia universale che raggruppa in sé tutte le altre. Infatti non è un caso che il Pontefice indosserà la talare del parroco e confesserà lui stesso in prima persona. In questo gesto non si deve leggere né un intento esibizionistico - molti osservatori affermano che nella GMG la Chiesa mostra i muscoli - né uno scopo didattico, bensì pedagogico.            La pedagogia efficace del padre di famiglia che educa i suoi figli - e in primis i sacerdoti stessi - attraverso l’esempio di mettersi la stola viola, ricordando così mediante questo ed altri gesti concreti quali siano i fondamenti pastorali per condurre le anime verso una vita di santità. E la ricetta da duemila anni è sempre la stessa: sacramenti, preghiera, vita mariana, direzione spirituale e sana formazione.Tommaso Scandroglio
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