Francesco Mandelli: «Giro un documentario sulle missioni in Perù»

L’artista è reduce da un lungo viaggio con moglie e figlia: «Ho scoperto una diversa realtà umana e spirituale con Artesanos don Bosco. Voglio raccontare chi lascia tutto per aiutare gli altri»

Nei giorni precedenti il Natale ci è capitato di imbatterci sui social in Francesco Mandelli (popolare attore di cinema e tv, conduttore radiofonico e regista dalla comicità surreale, da I soliti idioti alla serie Cops - Una banda di poliziotti su Sky) a spasso per il Perù con compagna e figlia in visita alle missioni e alle cooperative artigiane di “Artesanos don Bosco”. Una organizzazione no-profit nata nel 1985 per iniziativa del sacerdote salesiano padre Ugo De Censi sulla Cordigliera delle Ande, ideatore delle missioni dell’Operazione Mato Grosso, che supporta l’educazione e il lavoro degli artigiani del Perù dando ai giovani l’opportunità di rimanere nei loro villaggi guadagnando da vivere per migliorare le loro vite. Attualmente sono 400 tra falegnami, intagliatori, scultori del legno e della pietra, mosaicisti oltre alle artigiane specializzate in maglia, telaio e ricamo di “Mama Ashu”. «C’è una nuova frontiera amici miei. E non è un luogo fisico, ma un luogo della mente e dello spirito, è fare qualcosa per gli altri. Ma qualcosa di vero, di concreto, che costa fatica» scriveva Mandelli in un post spiazzante su Instagram, facendosi fotografare accanto a Letizia, 24 anni e un neonato in braccio, volontaria in un puericultorio in Perù. «Fatevi ispirare da chi non ha paura di mollare tutto per cambiare, chi ha spezzato le catene del torpore per risvegliarsi nel vero senso della vita... Non sono un hippie. Solo un ragazzo dell’oratorio che vuole provare a resistere al nulla che avanza» scrive.

Mandelli, cosa è andato a fare in Perù?

La mia compagna Luisa Bertoldo, che è ufficio stampa per diverse aziende di design di mobili, è stata contattata da “Artesanos don Bosco”, per cercare di far conoscere di più il grande lavoro che viene svolto. Padre Ugo, un prete valtellinese, mandato negli anni 70 a ricostruire una parrocchia ai piedi di un nevaio, ha creato una realtà meravigliosa. Tante cooperative artigiane che realizzano mobili, tappeti, oggetti di design meravigliosi. Siamo andati là per trovare un modo per raccontare questa realtà e per farla andare avanti.

Cosa ha pensato di realizzare?

Siamo andati a fare dei sopralluoghi per girare un documentario, ma quello che mi interessa raccontare è soprattutto la spinta spirituale, il punto di vista di chi lascia tutto per aiutare gli altri. Dal primo momento in cui scendi dall’aereo sei catapultato in questo mondo in cui il concetto di ricchezza è completamente diverso, dove hai a che fare con persone che hanno capito che c’è qualcosa di più nella vita di quello che ci viene presentato come felicità. In questo caso è determinante la matrice cattolica, tutto ruota intorno alla fede, se non avessero la fede avrebbero già mollato. Hanno avuto dei morti, il primo è stato padre Giulio, rapito e ucciso dai guerriglieri di Sendero Luminoso.

Quanto conta essere «un ragazzo dell’oratorio» nel suo caso?

Quando ho visitato queste missioni ho provato quella sensazione di grande pace, positività e serenità che avevo all’oratorio, che è data dale piccole cose. Io sono cresciuto a Osnago, provincia di Lecco, la mia casa era proprio davanti all’oratorio. Don Angelo è stato molto importante nella mia vita: era un grande trascinatore di giovani, e l’oratorio è il luogo dove la fede mette dei semi. A me ha dato degli strumenti e anche la fede, le regole di vita, il rispetto verso gli altri. C’era il momento di preghiera, ma lì ho imparato anche a giocare e a recitare. Nel teatrino dell’oratorio ho fatto il mio primo spettacolo, grazie a don Angelo che mi diceva che dovevo fare l’attore. Lui è stato un padre spirituale, ha visto dentro di me quello per cui ero portato e mi ha indirizzato.

Lei in Perù ha incontrato volontari che hanno scelto tutt’altro stile di vita.

In Perù ci sono molti volontari lecchesi e brianzoli, ognuno è qui fare un pezzettino, con una umiltà. «Fino a quando?» gli chiedevo. «Fino a quando capirò» rispondevano. È un modello di vita: sono tutte persone che hanno ascoltato la voce interiore. Il Vangelo di Giovanni inizia con «In principio era la Parola, il logos». È quella parola che hai dentro che va ascoltata più di tutto. Loro hanno trovato Dio, e tu lo tocchi con mano.

 

Cosa ha visitato nei sui sopralluoghi?

Una ventina di missioni do- ve il lavoro di padre Ugo ha dato i suoi frutti: lui ha costuito prima gli asili, poi le elementari, poi le medie, poi i corsi per diventare artigiani e fare i mobili. Lì ti danno strumenti di lavoro. Questo è il libero arbitrio, il dono di Dio. In tutte le strutture c’è una bellezza a misura d’uomo, questa è sanità mentale. Noi siamo partiti da Lima, da un puericultorio affidato ai volontari di Operazione Mato Grosso. Poi siamo saliti a Jangas e Chacas, dove è stata installata la prima falegnameria. E poi a San Luis a Casa San Danielito, casa per ragazzi disabili fondata da padre Daniele Badiali, un altro martire rapito e ucciso nel 1997. Oggi due volontari di 30 anni con i loro 4 figli reggono questa comunità per disabili, hanno l’orto, li curano e li fanno stare bene. I sorrisi che ho visto lì mi commuovono ancora. Mi ha colpito anche la realtà di Chimbote, una baraccopoli nel deserto dimenticata da Dio, violenta, sembra la fine del mondo. Lì c’è una signora che assiste gli anziani morenti, lì sono stati costruiti asili e scuole.

Come ha vissuto la sua bambina un viaggio cosi impegnativo?

Mia figlia Giovanna ha 7 anni e l’importante è che lei abbia colto l’energia di questo viaggio. Ha potuto giocare e osservare tanti bambini diversi, mi auguro che possa capire che la vita non è a senso unico, che possa aprire lo sguardo e capire il punto di visa dell’altro.

Come vorrebbe raccontare tutto questo?

Presenterò un progetto, ovviamente a titolo gratuito, che serva a raccontare questa realtà con energia. Occorre trovare il modo di evitare la retorica e di raccontare il valore spirituale di questa cosa. Vorrei portare con me nel prossimo viaggio due amici, magari un collega e un mio amico storico, e raccontare queste realtà attraverso lo stupore dei loro occhi. E fare il punto sul senso della vita e sulla ricerca della felicità.

E a che punto sono la sua vita e la sua carriera?

Ho quasi 43 anni e inizio a domandarmi quale è lo scopo della mia vita. Che peso ha nella mia vita il mio lavoro? Quanto mi rende felice e mi da il tempo di fare le cose che mi rendono felice, come stare con la mia famiglia? Certo, poi grazie a Dio sto facendo la serie tv Sky Cops da 2 anni, mi diverte stare su quel set. Voglio cercare cose che vadano al di là, che siano vere scelte. Intanto sto scrivendo un altro film da regista e canto ancora con il mio gruppo. E poi mi riprometto, nel mio piccolo, di aiutare anche il mio vicino di casa.

 


Di Angela Calvini 

Tratto da avvenire.it

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