Generazione “bamboccioni”

Credono nella famiglia, ma hanno paura di lasciare quella d'origine per crearne una propria. Paura, precarietà lavorativa, incapacità ad affrontare difficoltà e sacrifici, amore per le comodità sono alla base di questa situazione che anche le istituzioni alimentano, non proponendo politiche adeguate.

Generazione “bamboccioni”

da Quaderni Cannibali

del 06 dicembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

           “Sindrome di Peter Pan”, “inverno demografico”, “suicidio demografico” sono tutte espressioni coniate per fotografare la condizione della società odierna, in cui i giovani tardano a lasciare il nido materno, a trovare un lavoro stabile, a mettere su famiglia e a fare figli.

          Qualche anno fa l’appellativo usato dal ministro Padoa Schioppa per rappresentare il giovane italiano tipo, “bamboccione”, suscitò sdegno e contestazioni, anche se dipingeva una realtà inconfutabile.

          Ecco l’identikit dei ragazzi moderni che, pur con le debite differenze tra il nord e il sud dell’Italia, tra il disagio, il benestare e l’opulenza, a grandi linee stazionano nella casa di origine fino a 35/38 anni, restano parcheggiati all’università ben oltre la scadenza del disco orario, scelgono forme di relazione diverse dalla famiglia, generano mediamente 1,4 figli ciascuno.

          I dati rivelano che in Italia è il 60% dei giovani tra i 25 e i 29 anni e un quarto di quelli tra i 30 e i 34 a vivere ancora con mamma e papà; i giovani che risiedono a sud dichiarano di farlo per mancanza di occupazione, per comodità o per l’insufficienza del proprio reddito da lavoro. Tutti sostengono che non è un gran sacrificio, che in fondo si sta bene, che godono di molta autonomia.

          Ed è davvero così. A fronte di una gioventù timorosa, incapace di assumersi responsabilità ed impegni, abituata alle comodità, c’è una classe, quella dei genitori, incapace di opporsi a questa situazione, che si fa carico anche dei più piccoli problemi dei propri figli, che li aiuta fin troppo e, di fatto, impedisce loro di crescere.

          La lentezza e la mollezza con cui la società progredisce è causa del calo delle nascite, problema che da trent’anni circa si sta manifestando in Italia, ma che solo oggi si impone prepotentemente all’attenzione delle istituzioni. La crescita demografica è bassissima e conta appena 600mila nascite annue (150 mila in meno di quelle che servirebbero per mantenere inalterato l’attuale trend, già allarmante, della crescita zero); in un paese che ha 60 milioni di abitanti, solo 1 su 5 ha meno di 20 anni, i nonni sono di gran lunga di più dei nipoti e gli ultranovantenni rappresentano mezzo milione di italiani.

          Insomma, anche le cicogne sono attanagliate dalla piaga della disoccupazione. Del resto, le giovani donne manifestano la difficoltà di conciliare il lavoro con la famiglia e quindi di occuparsi dei figli. Vivere senza lavorare è impensabile in una società che ha costi di vita elevati e che ha creato innumerevoli esigenze e bisogni da soddisfare. E poi c’è il discorso della realizzazione personale, che anche le donne oggi cercano nel lavoro e nella carriera, avendo investito tanti anni nello studio.

          Il valore della famiglia resta tra i più importanti per i giovani; ma è la famiglia di origine quella alla quale ci si riferisce usualmente. Un paradosso considerarla un bene imprescindibile e non crearne una propria, assunto confermato dai dati visto che di famiglie nuove, intese nell’accezione costituzionale di famiglie fondate sul matrimonio, se ne formano sempre meno.

          Questo il quadro che si profila alle soglie del terzo lustro del nuovo millennio. Indagare sulle cause non è attività complessa quanto la società che le ha generate. Gli ultimi 20 anni sono stati caratterizzati da forti mutamenti sociali, non basati su movimenti culturali o ideologici, che invece 40 anni fa segnarono lo snodo di un altro passaggio epocale, ma sull’agiatezza e sull’acquisizione di nuove consapevolezze. I modelli pedagogici sono cambiati, come sono cambiate le abitudini di spesa della famiglie. Il superfluo è diventato di routine, gli agi si sono naturalizzati, la tendenza è quella a facilitare, agevolare, proteggere, assecondare i giovani. Il contesto poi non aiuta. Disoccupazione, precarietà, crisi economica, redditi insufficienti fanno sì che oggi diventi un’impresa eroica quella di formare una famiglia e far nascere dei figli.

          A ciò si aggiunge una scarsa attenzione da parte delle istituzioni e politiche carenti o completamente inadeguate. In Italia succede ancora che le donne che si assentano dal posto di lavoro per la maternità paghino questa scelta in termini di carriera. Non esistono opportunità per lavorare da casa né asili sul posto di lavoro. Non c’è alcun elemento che lasci intuire attenzione nei confronti delle famiglie. Cosa che in altri paesi non accade.

          Basti pensare alla Germania, dove le politiche per la famiglia sono numerose ed efficaci. Gli alberghi e le strutture ricettive ad esempio applicano sconti fortissimi a chi ha figli e dotano le strutture stesse di tutto l’occorrente per accudire i bambini (lettini, scalda biberon, latte, fasciatoi). Stessa cosa accede nei paesi del nord Europa. Non serve andare in Svezia per accorgersene, basta fare un giro all’Ikea. Lì si trovano gli spazi dedicati ai più piccoli; molti prodotti sono pensati per loro e, cosa più sintomatica, esistono i bagni per la famiglia, all’interno dei quali si può portare il proprio figlio per non lasciarlo solo, così come ci sono i servizi con i fasciatoi che, all’occorrenza, dispongono anche di pannolini. E poi ci sono gli omogeneizzati, gli scala biberon e i menù pensati per i più piccoli, con i seggiolini per farli mangiare. Perché i figli sono il bene più prezioso, non solo per i genitori, ma anche per la società di cui rappresentano il futuro e la sopravvivenza. Senza parlare poi delle agevolazioni fiscali, dei contributi e di tutte le misure che incoraggiano a mettere al mondo prole.

          In Italia siamo ancora ben lontani da queste prassi e, a parte qualche occasionale contributo (simbolico) alle nuove nascite, niente si fa o si pensa per incentivare i giovani a crearsi una famiglia o anche semplicemente per aiutarli a fare questo importante passo. Ma non ci si limita all’inerzia, si ostacola anche l’integrazione degli stranieri che invece le famiglie le creano e i figli li mettono al mondo, costituendo una risorsa preziosa per il futuro del nostro paese.

Novella Caterina

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