"Giovani bit", quelli che imparano prima a chattare che a scrivere

Emicrania, insonnia, tachicardia. Sempre più spesso gli oltranzisti di internet accusano anche problemi fisici. Innamorati anche solo di un nickname, parlano attraverso avatar o si sentono figli di una società dai 'profili' perfetti con un semplice pollice in alto.

'Giovani bit', quelli che imparano prima a chattare che a scrivere

da Quaderni Cannibali

del 02 dicembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

           Voglia di esser connessi. Collegati ad una comunità virtuale o parte di una città immaginaria nei giochi di ruolo. Innamorati anche solo di un nickname, parlano attraverso avatar o si sentono figli di una società dai ’profili’ perfetti con un semplice pollice in alto. Ogni click non è solo un pulsante premuto su una tastiera, piuttosto una richiesta di legami, un bisogno di ’stare’ dentro una realtà, anche se intangibile e atemporale. Un vuoto d’interazione nel quotidiano che si cerca perciò di colmare davanti ad uno schermo, ma che sempre più spesso si trasforma in dipendenza patologica. Ecco che così si sta ore con gli occhi sgranati davanti al pc condividendo con gli ’amici’ virtuali ogni intimo segreto, confondendo i sentimenti online con quelli offline.

          I giovani della ’generazione bit’, quella che impara prima a chattare che a scrivere, rischiano sempre più di scivolare nei meandri del sovraccarico da internet: emicrania, irrequietezza, insonnia e tachicardia. Alla classe degli adolescenti in overdose di narcisismo ed impulsivi all’eccesso, perciò, occorre la guida degli adulti ed un educazione preventiva alla rete per non rimanere vittime della compulsione da web. Nessuna demonizzazione della tecnologia, o limitazione oraria alle connessioni, ma un patto adulti-ragazzi per un consumo razionale del mondo in versione www. 

          «Non è internet la causa della dipendenza, esso diventa casomai un nuovo ambiente facilmente disponibile per trovare soddisfazione immediata ai bisogni legati alle nuove insicurezze». La soluzione non è dunque chiudersi davanti alla modernità, spiega monsignor Domenico Pompili, ma porgere l’orecchio a quei messaggi nella bottiglia lanciati nel mare digitale. Intervenendo ad un incontro su giovani ed internet organizzato dal Policlinico Gemelli e dal ministero della Salute, il direttore dell’ufficio comunicazione della Cei parte difatti dalle necessità che spingono gli adolescenti online. Cercano un bisogno di realtà «in un mondo in cui non ci sono divieti», un bisogno di senso dovuto «alla caduta delle autorità» e alla «confusione che regna nel mondo degli adulti», poi ancora tentano di trovare relazioni ed affetto il «che rivela una sofferenza rispetto a una modalità culturalmente prevalente di individualismo narcisista». In una dimensione in cui si è contemporaneamente insieme e soli, infatti, i ragazzi vivono le relazioni senza i rischi reali dei legami. In più sono disabituati alla solitudine e all’ascolto di se stesso prima che degli altri, conclude Pompili, i teenager «vanno invece educati a riconoscere che il salto dal tecnologico all’antropologico esige la loro volontà e la loro libertà».          Un percorso formativo che però deve partire dagli adulti, a casa come a scuola. Quel ’divide’ generazionale che rende i genitori distratti e ansiosi, infatti, fa sì che si finisca col vigilare sui figli sanzionando semplicemente la rete, anziché «trovare regole positive all’uso di internet, stilando un patto di autoregolamentazione tra grandi e piccoli» nelle 13 milioni di cyber-famiglie italiane, dice Miela Fagiolo d’Attilia dell’Associazione nazionale genitori. Se inoltre si usassero le regole dei videogame (quella della curiosità, del trial and error, della motivazione in un contesto non sanzionatorio) anche per l’apprendimento a scuola, ipotizza poi Pier Cesare Rivoltella della Cattolica di Milano, «si apprenderebbe in prospettiva sociale all’interno di una comunità di affini che non è più il gioco, ma la classe».           Un meccanismo che permetterebbe di prendere il buono della rete, facendosi contemporaneamente gli anticorpi da bulimia mediatica, applicato pure al percorso evolutivo dei ragazzi. La linea della paura deve essere superata da quella della positività cibernetica, per il neuropsichiatra infantile Eugenio Mercuri, «i nostri ragazzi, secondo un’indagine inglese, sono più consapevoli di altri dei rischi del web». Quello che manca, invece, è una coscienza degli adulti, insegnanti e genitori, e una «educazione alla cultura interattiva, una guida all’uso precoce e razionale della rete a fini formativi».

Alessia Guerrieri

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