Da un punto di vista più interiore, mi sono sentita immersa nella dimensione del dono. Sono stata circondata da tante persone meravigliose che ogni giorno mi donavano il loro bene e la loro amicizia. Per tutti questi motivi mi sono sentita investita dell'onere e dell'onore di condividere tutto quello che ho imparato in Perù, al mio ritorno in Italia.
Erika, una giovane di 26 anni, ha scelto di vivere un anno di servizio civile in una realtà missionaria del Perù. E’ un modo molto concreto per costruire pace e per contagiare di pace il mondo. A lei abbiamo posto alcune domande sulla sua scelta e sul mondo giovanile di cui è parte. Nell’ascoltarla ci vengono in mente, e sembrano trovare conferma, alcune belle espressioni di Giovanni Paolo II rivolte ai giovani.
«Quello che vedo sorgere in voi è una nuova consapevolezza della vostra responsabilità ed una schietta sensibilità per i bisogni della comunità umana.
Voi siete presi dal vivo desiderio della pace, che tanti condividono con voi. Voi siete turbati dalle grandi ingiustizie, che ci circondano. Voi avvertite un opprimente pericolo nel gigantesco accumulo di armi e nelle minacce di una guerra nucleare.
Voi soffrite, quando vedete largamente diffuse la fame e la denutrizione. Voi siete interessati allo stato dell'ambiente, oggi e per le generazioni future. Voi siete minacciati dalla disoccupazione, e molti di voi sono senza lavoro e senza la prospettiva di un impiego adeguato.
Voi siete sconvolti dal grande numero di persone, che sono politicamente e spiritualmente oppresse e che non possono godere dell'esercizio dei loro diritti umani fondamentali sia come individui che come comunità». (Giovanni Paolo II)
Quali motivazioni ti hanno portata a questa scelta e quali valori hai colto in questa esperienza di servizio?
L'idea del Sevizio Civile è andata formandosi negli ultimi tre anni. Per famiglia e formazione ho sviluppato una sensibilità verso certe tematiche sociali, insieme al desiderio di impegnarmi concretamente per il mio Paese. Penso che questo anno, che ho scelto di vivere all'estero, sia stato una buona palestra di cittadinanza attiva. Ho voluto viverlo al termine dell'università desiderando chiudere in bellezza gli anni della giovinezza ed entrare così con più consapevolezza nell'età adulta.
Mi sono orientata subito ad un progetto all'estero, per la formazione universitaria ricevuta (scienze internazionali e diplomatiche), ma soprattutto per realizzare il desiderio di vivere un'esperienza di missione. Per questo ho scelto una realtà missionaria piuttosto che un’altra ONG meno “schierata”. Volevo che questo anno fosse un momento per crescere, non solo come cittadina, ma anche come credente, nella speranza di poter coniugare sempre questi due aspetti.
La vita di missione e di comunità è davvero travolgente e intensa. In Perù ho potuto fare e imparare tantissime cose. In particolare mi sono inserita nel centro medico come supporto nella gestione del magazzino di farmaci e materiali sanitari che arrivavano dall'Italia, ma ho collaborato anche in altri ambiti, come nel seguire alcuni malati insieme ad un'infermiera, nel collaborare in un progetto di costruzione di casette di legno per persone in estrema povertà. Non avrei mai pensato di imparare così tante cose interessanti e sempre utili. Questa esperienza mi ha aiutato a coltivare i valori della solidarietà, della disponibilità, della corresponsabilità, della condivisione e della tolleranza, valori che dovrebbero guidare la convivenza in qualsiasi società e a qualsiasi livello.
Da un punto di vista più interiore, mi sono sentita immersa nella dimensione del dono. In primo luogo perché al posto mio avrebbe potuto esserci qualcun altro e, poi perché sono stata circondata da tante persone meravigliose (i missionari, i giovani che frequentavano la comunità, i colleghi del centro medico, i membri della comunità) che ogni giorno mi donavano il loro bene e la loro amicizia. Per tutti questi motivi mi sono sentita investita dell'onere e dell'onore di condividere tutto quello che ho imparato in Perù, al mio ritorno in Italia.
Come vedi i giovani italiani e quale messaggio, a partire dall’esperienza vissuta, vorresti dare ai tuoi coetanei?
Il termine “giovani” oggi più che è del tutto da definire. Penso ai trentenni e quarantenni che ancora si definiscono giovani. Mi pare che in Italia siano sempre di più quelli che rientrano in questa categoria: persone che non sanno o non vogliono prendere in mano la propria vita. Tra i miei coetanei (nella fascia dei venti), vedo invece due attitudini: da una parte la rassegnazione derivante soprattutto dalle attuali condizioni economiche e sociali che sembrano condannarci ad un futuro di precarietà; dall'altra vedo giovani che proprio per questo si slanciano e si sbilanciano di più, si inventano e si mettono in gioco, magari anche uscendo da quel clima soporifero che si respira in Italia.
La categoria dei giovani, insomma, mi pare tutt'altro che omogenea e meriterebbe una maggiore attenzione concreta da parte di tutti. E’ inquietante il fatto che l'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile, nato proprio per promuovere la crescita umana e sociale dei giovani, riceva sempre meno fondi. Le iniziative che promuove dovrebbero invece essere ampliate, perché siamo proprio noi i cittadini di oggi e di domani, e come tali dovremmo essere aiutati a crescere e ad assumere con libertà e consapevolezza le nostre responsabilità nei confronti della società.
Con i miei coetanei, sono tante le cose che vorrei condividere, a patire dall’intensità dell’esperienza che ho vissuto. Consiglierei a tutti di fare il servizio civile, visto che almeno per i prossimi due anni ci saranno ancora fondi. A loro dico: “Non lasciatevi scoraggiare dai molti che lo bollano come una perdita di tempo, come un anno inutilmente sottratto allo studio o al lavoro. E’ invece un vero investimento sull'esistenza, un'occasione imperdibile di arricchimento umano e professionale che porterete con voi per tutta la vita”.
Vorrei poi invitare tutti i giovani ad avere un'attitudine di apertura, di confronto con se stessi e con il mondo, ad uscire dagli schemi preconfezionati e dall'inerzia e a mettersi in gioco. A porsi continuamente domande e uscire dal proprio guscio per cercare le risposte. E’ proprio questo che rende appassionante e appetitosa la vita. Per un giovane è fondamentale non appiattirsi su se stesso, ma lanciarsi sempre, osare di volare un po' più in alto, non lasciarsi trascinare a terra dal timore o dall'incertezza. Lasciar crescere il desiderio di partire per viaggiare dentro e fuori se stessi.
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