Quei figli hanno detto a quel medico che nell'ultima stanza del corridoio del suo reparto, nel primo letto, entrando, c'è il loro papà. Che ha un nome e una storia. Ha una dignità. Anche se piano piano si sta spegnendo. Il loro papà, che non sa nulla di quel che è accaduto venerdì, tra le 17.00 e le 18.00, dentro l'ambulatorio del medico, oggi...
«Autunno, primavera della terra: / serba l’albero il fuoco dei passati / soli, / come l’animo il caldo dei ricordi. / Autunno, tarda nostra primavera: / tempo che sull’amara / bocca dell’uomo / spunta il fiore tremante del sorriso» (Camillo Sbarbaro)
Il suo papà è nell’ultima stanza del reparto, quella in fondo al corridoio. In camera con lui, un anziano che non parla più. Il suo papà da maggio ha subito cinque interventi. L’ultimo è stata una cistectomia. Il suo papà fatica a deglutire. È debole per le operazioni, per una forte anemia. È debole perché da molto, ormai, non scende dal letto. È nell’ultima stanza, quella in fondo al corridoio.I figli hanno chiesto un colloquio con il medico. Appuntamento venerdì ore 17.00. Hanno bussato, sono entrati, il medico si è alzato, ha dato loro la mano, ha detto che non ha ben presente il caso: deve vedere le carte. Sapete, i degenti sono tanti e c’è carenza di personale. È vero. Ma lui non è un medico appena rientrato dalle ferie, è il dottore che segue anche i pazienti dell’ultima stanza, quella in fondo al corridoio. Segue da un paio di settimane anche il loro papà. Al colloquio i figli hanno ritenuto giusto far presente che il giorno precedente, dalle 14.30 alle 17.30 nella stanza non era entrato nessuno del personale ospedaliero. E che il filo del campanello che serve per avvisare se si ha bisogno era attorcigliato ed era troppo alto. Succede, ha detto il medico. A volte durante le pulizie lo legano, poi lo dimenticano lì. Avviserà che stiano più attenti. I figli hanno spiegato al dottore che sì, è vero, il loro papà è debole per gli interventi. È vero che mentre era sotto i ferri, le ultime due volte, una dottoressa li aveva avvisati che forse non avrebbe superato la notte. Invece è qui. Debole ma qui. Senza vescica ma qui. Con poco appetito ma qui. Anziano e malato ma qui. Quei figli hanno detto a quel medico che nell’ultima stanza del corridoio del suo reparto, nel primo letto, entrando, c’è il loro papà. Che ha un nome e una storia. Ha una dignità. Anche se piano piano si sta spegnendo. Hanno voluto raccontarglielo, il loro papà: dirgli che tipo è, che lavoro ha fatto nella vita, quali sono le sue passioni, come va preso quando perde la pazienza… Gli hanno chiesto se è possibile, quando uno di loro al mattino presto non può recarsi in ospedale, che qualcuno del personale gli lavi la protesi e poi gliela metta. Perché il loro papà si vergogna a farsi vedere senza denti quando gli amici vanno a trovarlo. Gli amici si siedono in parte al letto e lo assistono, facendo semplicemente quel che dice il verbo. Stanno seduti accanto a lui. Gli fanno compagnia. Parlano se vedono che ha voglia di ascoltare, ascoltano quando ha qualcosa da raccontare, stanno in silenzio se lo vedono affaticato. Il loro papà, che non sa nulla di quel che è accaduto venerdì, tra le 17.00 e le 18.00, dentro l’ambulatorio del medico, oggi, mentre la figlia lo imboccava, le ha raccontato che durante il giro del mattino era successa una cosa bella. Il dottore l’aveva chiamato per nome e avevano parlato un po’ di pesca e di barche. E che ad un tratto il medico l’aveva fissato e aveva sorriso. Si era accorto per la prima volta che gli occhi del paziente del letto 28, ultima stanza in fondo al corridoio, hanno il colore verde-azzurro del mare di Sicilia. Il suo mare lontano.
Saro Luisella
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