È molto difficile prevedere gli effetti che questa riforma avrà sulle nostre università e soprattutto sugli studenti italiani. Il sistema scolastico italiano urge di una ventata di aria fresca, di un profondo ringiovanimento e di cambiamenti sostanziali.
del 17 marzo 2010
 
 
 
 
          
 
            Il disegno di legge sulle università, presentato dal ministro dell’istruzione, università e ricerca scientifica Mariastella Gelmini e approvato dal Consiglio dei ministri il 28 ottobre 2009, è un provvedimento contorto e articolato, nato dopo un lungo periodo di numerosissimi ripensamenti e incertezze. È molto difficile prevedere gli effetti che questa riforma avrà sulle nostre università e soprattutto sugli studenti italiani, impossibile immaginare e aspettarsi immediati successi o improvvisi miglioramenti delle condizioni di lavoro e di vita di chi opera in questo settore.
           Il DDL, attesissimo e intorno al quale erano già trapelate alcune indiscrezioni, dovrebbe, entro e non oltre 6 mesi dalla sua approvazione, portare le università italiane ad attuare le nuove disposizioni.
1 Gestione degli Atenei
           Un cambiamento sarà l’invito agli atenei a fondersi tra loro o aggregarsi al fine di evitare duplicazioni e risparmiare sui costi. Oggi, a dire il vero, c’è già questa possibilità e il risparmio previsto sarebbe sul personale tecnico-amministrativo e sui collaboratori esperti linguistici.
           I bilanci delle università sono di per sé già chiari e trasparenti e se finora non hanno calcolato la base di patrimonio è perché questo è dello Stato e non degli atenei (almeno finché non diventeranno delle fondazioni private). Ora, comunque, il disegno di legge introduce una contabilità economico-patrimoniale uniforme secondo criteri nazionali concordati tra MIUR e ministero del Tesoro.
           Per evitare l’inserimento di docenti in micro settori scientifico-disciplinari, la riforma riduce questi settori dagli attuali 370 a circa la metà. Se questo è sicuramente un risparmio di risorse è vero anche che provocherà l’estinzione di settori disciplinari piccoli numericamente, ma forse non sempre così superflui.
           Inoltre, il compito di riorganizzare i dottorati di ricerca, al fine di creare un vero sistema di formazione di terzo livello sarà assegnato al ministro.
2 Governance
           L’adozione di un codice etico diventa indispensabile al riguardo. L’assunzione di quest’ultimo eviterà incompatibilità e conflitti di interesse legati a parentele.
           Per di più verrà fissato ufficialmente (in molti atenei c’è già) un limite massimo di complessivi otto anni al mandato dei rettori, inclusi quelli già trascorsi prima della riforma. L’intento è chiaramente di evitare l’accumulo di potere, spesso però questo non è tanto nei rettori quanto nelle mani di alcune persone dove si sommano diverse cariche (di facoltà e di dipartimenti); la riforma però non entra nel merito di questo aspetto.
           Il decreto ordina una distinzione netta tra le funzioni del senato accademico e del consiglio di amministrazione: c’è però il rischio che per l’intento lodevole di evitare le attuali concentrazioni di potere, se ne creino di nuove.Viene rafforzato il peso della rappresentanza studentesca in tutte e due gli organi prima citati.
           Verrà, inoltre, introdotto un direttore generale al posto del direttore amministrativo. Questo avrà compiti di grande responsabilità e dovrà rispondere delle sue scelte come un vero e proprio manager.
           Il nucleo di valutazione di ateneo sarà a maggioranza esterna per garantire una valutazione oggettiva e imparziale. Questo passaggio è delicato perché va anche a interagire con le nuove indicazioni della legge 15/2009 («Legge Brunetta»). Saranno da verificare poi le conseguenze di una valutazione negativa, al momento la massima sanzione per un docente è la sospensione dei fondi per la ricerca.
           Sarà poi semplificata la struttura interna degli atenei, ovvero tutti gli organi saranno razionalizzati evitando sovrapposizioni tra corsi di studio, consiglio di dipartimento e la facoltà in sé. Sarà anche qui importante verificare le modalità di attuazione, il rischio infatti dei grandi accorpamenti affini è di perdere la possibilità multidisciplinare e favorire il prevalere delle aree con più docenti.
3 Reclutamento e stato giuridico dei docenti
           Per questo terzo punto saranno adottate commissioni di abilitazione nazionale autorevoli con membri, per la prima volta, anche stranieri che valuteranno le capacità e il curriculum sulla base di parametri predefiniti, evitando l’assunzione di nuovi docenti senza un filtro. Le università, dunque, potranno assumere solo chi sarà ritenuto idoneo dalla commissione. Al momento però non è ancora chiaro con quale criterio un ateneo dovrà chiamare questo o quello tra i docente abilitati.
           Ci saranno inoltre incentivi economici al trasferimento dei docenti per rendere possibile la mobilità. Nei fatti questo avviene già abbastanza, il vero problema è quello della mobilità all’interno delle varie «fasce». Non è ancora descritto univocamente come passare da ricercatore a docente, e poi ai vari gradi.
           I professori dovranno svolgere 1500 ore annue di cui almeno 350 per docenza e servizio agli studenti, in modo da stabilire un riferimento uniforme per l’impegno dei docenti a tempo pieno per il complesso delle attività didattiche. La riforma qui tocca un punto importante, ma non è ancora chiaro come convincere i docenti più restii a seguire la didattica con più impegno.
4 Diritto allo studio
           Il diritto allo studio si modifica spostando il sostegno direttamente agli studenti per favorire accesso agli studi e mobilità.
           Il sistema scolastico italiano urge di una ventata di aria fresca, di un profondo ringiovanimento e di cambiamenti sostanziali per docenti, studenti e tutti coloro che operano nel settore universitario.
           Speriamo davvero che si possano trarre benefici, che sia possibile un sano confronto per migliorare, e non solo inutili polemiche che immobilizzano il progresso e la crescita culturale del nostro Paese.
Alessia Romano
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