I love you. Je t'aime. Te quiero. Ich libe Dich.Ti voglio bene insomma.
del 12 dicembre 2003
 
 
 
 
 
I love you. Je t’aime. Te quiero. Ich libe Dich.
Ti voglio bene insomma.
Io non so se ai tempi di Maria si usassero gli stessi messaggi d’amore, teneri come giaculatorie e rapidi come graffiti, che le ragazze di oggi incidono furtivamente sul libro di storia o sugli zaini colorati dei loro compagni di scuola.
Penso, però, che, se non proprio con la penna a sfera sui jeans, o coi gessetti sui muri, le adolescenti di Palestina si comportassero come le loro coetanee di oggi.
Con “stilo di scriba veloce” su una corteccia  di sicomoro, o con la punta  del vincastro sulle sabbie dei pascoli, un codice dovevano pure averlo per trasmettere ad altri quel sentimento,antico e sempre nuovo, che scuote l’anima di ogni essere umano quando si apre al mistero della vita: ti voglio bene!
Anche Maria ha sperimentato quella stagione splendida dell’esistenza, fatta di stupori  e di lacrime, di trasalimenti e di dubbi, di tenerezza e di trepidazione, in cui, come in una coppa di cristallo, sembrano distillarsi tutti i profumi dell’universo.
Ha assaporato pure lei la gioia degli incontri, l’attese delle feste, gli slanci dell’amicizia, l’ebrezza della danza, le innocenti lusinghe per un complimento, la felicità per un abito nuovo.
Cresceva come un’anfora sotto le mani del vasaio, e tutti si interrogavano sul mistero di quella trasparenza senza scorie e di quella freschezza senza ombre.
Una sera un ragazzo di nome Giuseppe prese il coraggio a due mani e le dichiarò: “Maria, ti amo”. Lei gli rispose, veloce come un brivido: “Anch’io” E nell’iride degli occhi le sfavillarono, riflesse, tutte le stelle del firmamento.
Le compagne, che sui prati sfogliavano con lei i petali di verbena, non riuscivano a capire come facesse a comporre i suoi rapimenti in Dio e la sua passione per una creatura. Il sabato la vedevano assorta nell’esperienza sovraumana dell’estasi, quando , nei cori della sinagoga, cantava: “O Dio tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco : di te ha sete l’anima mia come terra deserta, arida, senz’acqua”. Poi la sera rimanevano stupite quando, raccontandosi il a vicenda le loro pene d’amore sotto il plenilunio, la sentivano parlare del suo fidanzato con le cadenze del cantico dei Cantici: “Il mio diletto è riconoscibile tra mille.. I suoi occhi, come colombe su ruscelli d’acqua… Il suo aspetto è come quello del Libano, magnifico tra i cedri…”.
Per loro, questa composizione era un impresa disperata. Per Maria, invece era come mettere insieme due emistichi di un versetto dei salmi.
Per loro l’amore umano che sperimentavano era come l’acqua di una cisterna: limpidissima sì ma con tanti detriti sul fondo. Bastava un nonnulla perché i fondigli gli si rimescolassero e le acque divenissero torbide. Per lei, no.
Non potevano mai capire, le ragazze di Nazareth, che l’amore di Maria non aveva fondigli, perché il suo era un pozzo senza fondo. 
 
Santa Maria, donna innamorata, roveto inestinguibile di amore,
noi dobbiamo chiederti perdono per avere  fatto un torto alla tua umanità. Ti abbiamo ritenuta capace solo di fiamme  che si innalzano verso il cielo, ma poi, per paura di contaminarti con le cose della terra, ti abbiamo esclusa dall’esperienza delle piccole scintille di quaggiù. Tu, invece, rogo di carità per il Creatore, ci sei maestra di come si amano le creature.
Aiutaci, perciò, a ricomporre le assurde dissociazioni con cui, in tema d’amore, portiamo avanti contabilità separate: una per il cielo (troppo povera per la verità), e l’altra per la terra (ricca di voci, ma anemica di contenuti).
Facci capire che l’amore è sempre santo, perché le sue vampe partono dall’unico incendio di  Dio. Ma facci comprendere anche che, con lo stesso fuoco, oltre che accendere lampade di gioia, abbiamo la triste possibilità di fare terra bruciata delle cose più belle della vita.
Perciò santa Maria, donna innamorata, se è vero, come canta la liturgia, che tu sei la “Madre del bell’amore”, accoglici nella alla tua scuola.
 
Insegnaci ad amare.
E’ un arte difficile che si impara lentamente. Perché si tratta di liberare la brace, senza spegnerla, da tante stratificazioni di cenere.
AMARE, VOCE DEL VERBO MORIRE, SIGNIFICA DECENTRARSI. USCIRE DA SE’. DARE SENZA CHIEDERE. Essere discreti al limite del silenzio. Soffrire per far cadere le squame dell’egoismo. Togliersi di mezzo quando si rischia di compromettere la pace di una casa. Desiderare la felicità dell’altro. Rispettare il suo destino. E scomparire, quando ci si accorge di turbare la sua missione.
Santa Maria, donna innamorata, visto che il Signore ti ha detto: “Sono in te tutte le mie sorgenti”, facci percepire che è sempre l’amore la rete sotterranea di quelle lame improvvise di felicità, che in alcuni momenti della vita, ti trapassano lo spirito, ti riconciliano con le cose e ti danno la gioia di esistere.
Solo tu puoi farci cogliere la santità che soggiace a quegli arcani trasalimenti dello spirito, quando il cuore sembra fermarsi o battere più forte, dinanzi al miracolo delle cose: i pastelli del tramonto , il profumo dell’oceano, la pioggia nel pineto, l’ultima neve di primavera, gli accordi di mille violini suonati dal vento, tutti i colori dell’arcobaleno…
Vaporano allora, dal sottosuolo delle memorie, aneliti religiosi di pace, che si con attese di approdi futuri, e ti fanno, sentire la presenza di Dio.
Aiutaci, perché, in quegli attimi veloci di innamoramento con l’universo, possiamo intuire che le salmodie notturne delle claustrali e i balletti delle danzatrici del Bolscjoi hanno la medesima sorgente di carità. E che la fonte ispiratrice della melodia che al mattino risuona in una cattedrale è la stessa del ritornello che si sente giungere la sera… da una rotonda sul mare: “Parlami d’amore Mariù”.
 
 
 
 
 
Incredibile…! E’ un articolo che si accorda proprio bene con la festa dell’Immacolata. Maria è infatti  l’Immacolata Concezione, è la donna senza macchia di peccato (immacolata) fin dal suo concepimento (concezione).
Significa che è una esperta di amore, di quello vero… quello che ha a che fare con la purezza… quello di chi ha un cuore dilatato.
E’ così…: più uno è vicino a Gesù, più è vicino ai fratelli… Proprio perché Maria è stata la persona sulla terra più vicina a Lui è la più grande esperta d’amore.
Riflessioni buone solo per i miei chierichetti? Solo qualche tizzone ardente che ci scalda il cuore tra le nebbiose notti d’inverno (faccio anche il poeta a tempo perso)?
O nella nostra affettività entra l’amore del Signore o siamo cristiani solo di nome.
Cari amici mi piacerebbe sapere i vostri commenti…
Affezionatissimo in Ges√π Cristo,
Il Vostro Teologo Borel
 
Amici, amici, amici,
questa volta altro che un articolo… ho tra le mani una BOMBA!!!
Tutte quelle riviste stile tele romanzo, …  Si quelle che riempiono (o meglio svuotano…) la mente e il cuore dei nostri ragazzi! Oh ma proprio tutte da quelle che parlano del primo, del secondo… del millesettecentosessantaquattresimo bacio... a quelle che ti propongono le foto del tappetino scendi letto che ha in camera Ronaldo… Beh insomma quelle lì hanno cercato di corrompermi perché non pubblicassi questo incredibile intervento di Mons. Tonino Bello… (Tratto dal libro di ANTONIO BELLO, Maria donna dei nostri giorni).
No, perché a dire amore siamo tutti capaci, a riempirlo di significato, di contenuti e soprattutto di vita è molto più difficile. Non crederete hai vostri occhi… Questa volta a parlarci d’amore è Una che se ne intende!!!   
don Giovanni Battista Borel
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