Ho ucciso una santa...per un'adolescenza maledetta

Intervista di Panorama a Veronica, una delle ragazze che nel 2000 a Chiavenna hanno ucciso Sr. Maria Laura Mainetti. parla dell'omicidio, ma parla soprattutto della noia, del disinteresse per tutto nel periodo dell'adolescenza. Intanto a Roma il processo di beatificazione della religiosa prosegue.

Ho ucciso una santa...per un'adolescenza maledetta

da Attualità

del 07 aprile 2008

Nel numero in edicola di Panorama, c’è un’intervista a Veronica una delle tre ragazze che nel giugno 2000 uccidono con 19 coltellate Sr. Majnetti a Chiavenna, un tranquillo paese della Valtellina. Veronica è uscita dal carcere nell’agosto 2006, Milena l’aveva preceduta nel maggio di quello stesso anno, a novembre 2008 uscirà anche la terza ragazza, Ambra. Hanno cercato di ricostruirsi una vita, senza dimenticare, perché non si può…anche se resta il mistero di come sia nato questo efferato delitto e cosa abbia scatenato tanta violenza. Veronica cerca di trovare la causa in tanta noia e in un’adolescenza che lei definisce “maledetta”.

 

Veronica, come si decide di uccidere a 16 anni?

Stando sedute sei ore davanti a una birra in un piccolo bar di paese. Tutto quello che dicevamo, pensavamo, facevamo era senza valore.

 

Secondo la sentenza definitiva, la «mente» dell’uccisione di suor Maria Laura Mainetti è stata Ambra.

È una sciocchezza Non è stata lei a progettare l’omicidio. L’idea era di tutte e tre.

Da qualcuno sarà partita.

Nei pomeriggi in quel caffè, quando una diceva una cosa forte, allora l’altra la diceva più grossa per stupire. Era un andarsi sopra, un cercare di superarsi tra di noi non c’era un capo

Se fosse andata via, che cosa sarebbe successo?

Non lo so: non posso saperlo.

 

Quel giorno potevate colpire chiunque?

Sì. Ho persino avuto paura che Ambra e Milena se la prendessero con me, visto che si erano nascoste in attesa che arrivassi con la suora ed era quasi buio. Mi era venuta la fobia: ora arrivo su e loro non mi riconoscono...

 

Che sensazione ha provato a uccidere?

Paura allo stato puro. Non ho mai avuto così tanta paura come quella sera lì. Ho sentito solo terrore. Una sensazione bruttissima. Prima di farlo pensavo che uccidere fosse come tutte le altre sciocchezza. Ma non è così.

 

Ma allora perché non vi siete fermate? Avete colpito suor Maria Laura con 19 coltellate…

Credo che quando inizi diventi impossibile fermarsi, ma non lo so con certezza.

 

Quando ha avuto la percezione esatta del vostro gesto?

Quando mi hanno arrestata: tre settimane dopo il delitto, il giorno del mio diciassettesimo compleanno. Alle 7 del mattino sono entrati nel mio appartamento otto carabinieri, due in divisa, gli altri in borghese. Sono arrivati e mi hanno detto di seguirli. In casa c’era mia mamma che pensava mi volessero semplicemente sentire come testimone. Sono stata in caserma dalle 8 del mattino a mezzanotte.

 

Solo allora si è resa conto della gravità di quello che aveva fatto?

Forse neppure in quel momento. Non c’ero con la testa, non mi rendevo conto. Tutto quello che stava accadendo non mi toccava. Non so quando ho iniziato a capire. Forse dopo la prima udienza del processo. All’uscita i carabinieri mi hanno incappucciata e mi hanno messo sotto il sedile, ho intravisto i flash dei fotografi e mi sono detta: allora è tutto vero...

 

Come avete fatto a non confessare subito?

Adesso non riuscirei a tenermi dentro quel segreto per così tanti giorni, ma allora, dopo la paura iniziale che mi ha fatto sentire viva, sono tornata la ragazza di sempre, quella a cui non importava niente di nessuno. Non è che non mi dispiacesse. Forse sì. Però sono ridiventata apatica, priva di emozioni.

 

Chi è oggi Veronica?

Dopo tanti anni di psichiatra mi conosco un po’ meglio. Non mi faccio più tanto schifo.

 

Avrebbe voglia di tornare a Chiavenna?

Con tutto quello che ho fatto per venire via... Quello è un bel posto per invecchiare.

 

Che adolescente era?

Sino a 11 anni sono stata una bambina invisibile. Quindi ho iniziato a combinare guai. Mi ubriacavo tutti i sabati: vodka, tequila, Martini, whisky, quando non c’era niente bevevo anche lo spumante. La prima sbronza l’ho presa a 12 anni: la guardia medica mi voleva portare in ospedale, dove lavorava mia mamma. L’ho picchiato per scendere e non farmi beccare.

 

Droga?

Anche se in paese dicevano che ero cocainomane ed eroinomane, mi sono sempre fatta solo canne. Il fumo lo compravo a scuola o al Parco Sempione a Milano. Un po’ lo rivendevo ai ragazzini più piccoli, sono diventata una spacciatrice senza accorgermene.

 

Quando ha sentito di aver toccato il fondo?

A 16 anni ero diventata un disastro. Fuori ero goffa e dentro ero brutta. Ero circondata da tante persone e non assomigliavo, neppure lontanamente, a nessuna di loro. Era come essere su una nuvoletta e guardare tutto dall’alto.

 

Che cosa c’era di diverso in lei?

Non mi interessava niente dei vestiti di marca, di andare a ballare; non me ne fregava niente di niente, ma per assomigliare agli altri mi doveva importare di qualcosa e allora mi accodavo. Era un macello.

 

Perché ha Iniziato a esagerare?

Ho cercato di far sapere al mondo che c’ero.

 

È credente?

No. In famiglia non c’è nessuno di particolarmente religioso. E una cosa che non ho mai sentito. Ho smesso di andare a messa il giorno dopo la cresima: per me la religione era una delle tante cose inutili.

 

È stata anche autolesionista...

Mi sono rotta un polso prendendo a pugni il muro del bagno per un’ora e mezzo. Un’altra volta mi sono scalfìta la rotula del ginocchio a colpi di padella: sono andata in gita andata in gita scolastica con le stampelle. A 12 anni ho cominciato a ferirmi. Ricordo la prima volta: durante una lezione di matematica. Mi graffiavo per noia. Incidevo delle lettere sulle mani. Sangue ne perdevo poco. Poi a casa da sola ho iniziato ad usare i bisturi di mia madre.

 

Ha mai pensato al suicidio?

Sì, ma non me ne importava niente neppure di quello. Prima dell’omicidio della vita mi interessava poco: in due occasioni mi sono addormentata sul davanzale di casa, un’altra sulla balaustra di un ponte. Quando attraversavo la strada non guardavo se arrivassero macchine. Una volta una si è fermata ad un centimetro da me. Facevo l’autostop a tutte le ore, anche in piena notte, da sola.

 

Quando ha smesso di dare senso alla vita?

In quel periodo lì. Ma l’ho chiaro solo adesso.

Giacomo Amadori

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