I luoghi più invivibili del pianeta, ecco la lista nera

L'ha stilata la ong americana Blacksmith institute: discariche grandi come città, zone industriali e di estrazione di metalli pesanti dislocate soprattutto nei Paesi poveri.

I luoghi più invivibili del pianeta, ecco la lista nera

 

Sono i “buchi neri” della Terra: regioni altamente contaminate da rifiuti tossici, discariche grandi come città, che si trovano soprattutto in Africa ma anche in Asia e in America Latina. La denuncia arriva dalla ong americana Blacksmith institute che ha stilato una lista nera dei luoghi del pianeta più invivibili per l’uomo. Se ne parla in un articolo di Miela Fagiolo D’Attilia pubblicato su Popoli e missione. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il 23% dei morti nei Paesi poveri è dovuto a cause ambientali: esposizione a sostanze chimiche nocive che provocano avvelenamenti, deficienze cognitive, malformazioni, problemi respiratori, tumori. Diverse sono le cause dell’inquinamento: dai traffici criminali alla dispersione incontrollata di scorie industriali, dai disastri nucleari all’accumulo dei rifiuti in discariche.

 

La black list. Nella “hit parade” del Balcksmith institute troviamo il Citarum, il fiume più inquinato del mondo, in Indonesia. Sempre in Indonesia, nell’isola del Borneo, si trova il Kalimantan gravemente contaminato dal mercurio. In Argentina, il bacino Matanza-Riachelo, nella provincia di Buenos Aires è gravemente inquinato dalle scorie industriali. In Africa, il petrolio fuoriesce dalle vecchie condutture contaminando il delta del Niger. Nell’ex Unione Sovietica c’è Cernobyl, che a più di 25 anni di distanza dalla catastrofe radioattiva minaccia ancora 10 milioni di persone, e le città industriali di Dzerhinsk e Norilsk. In Zambia, le miniere di zolfo e piombo di Kabwe hanno lasciato in eredita alla popolazione il saturnismo. E poi ci sono le grandi discariche come a Dacca in Bangladesh, un enorme accumulo di rifiuti tossici che cresce ogni giorno di più.

 

Soprattutto l’Africa è la grande pattumiera della vecchia tecnologia, la “spazzatura dell’Occidente” e della Cina. Gran parte della cosiddetta e-waste in disuso finisce in Benin, Costa d’Avorio, Ghana, Liberia, Nigeria e Senegal. Nonostante la Convenzione di Bale del 1992 e quella di Bamako del 2013 che proibiscono la circolazione di rifiuti pericolosi il flusso di scarti tecnologici sembra destinato a crescere in maniera esponenziale divenendo insostenibile entro il 2017. Per provi un freno – si legge nell’articolo – il Parlamento europeo “ha programmato l’aumento dei controlli alle frontiere entro il 2016 e lo smaltimento interno di 45 tonnellate di e-waste ogni 100 tonnellate di nuovi prodotti”. Ma la priorità resta la lotta alle ecomafie.

 

Ma i rifiuti tecnologici possono diventare anche una risorsa, come ha dimostrato Kodjo Afate Gnikou, togolese che ha inventato una stampante in 3D a basso costo utilizzando gli e-waste. “Bisogna mettere la tecnologia nelle mani di chi ha bisogno e dare all’Africa l’opportunità di non essere soltanto uno spettatore ma di giocare un ruolo di primo piano in una rivoluzione industriale più virtuosa – dice nell’articolo”.

 

 

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