I PUGNI IN TASCA

Dal presupposto romantico di una dimensione adolescenziale acerba, incompiuta, tramata di ambiguità, disagi, sogni e paure, timidezze e narcisismi, il film diventa discorso corrosivo tra rabbia e disincanto su un microcosmo-famiglia, privato, chiuso nel suo isolamento, tra vecchiezze ammuffite, stravaganze malate e violente bizzarrie...

I PUGNI IN TASCA

da Quaderni Cannibali

del 28 novembre 2005

Regia: Marco Bellocchio

Interpreti: Lou Castel, Paola Pitagora, Marino Masè

Origine: Italia 1965

Durata: 107’

 

In una villa un tempo ricca ed ora fatiscente, vive una famiglia borghese in un isolamento pressoché totale. La madre dei quattro figli è cieca e non gestisce l’educazione dei figli nè l’amministrazione della casa. Piuttosto è Augusto, il maggiore dei figli e il capo famiglia, che sembra proiettato con la mente al momento in cui lascerà la villa. Il suo lungo fidanzamento con Lucia, una ragazza di città, dovrebbe infatti portare presto al matrimonio. I fratelli di Augusto, Alessandro e Leone, e la sorella Giulia mostrano d’avere disturbi mentali. Leone è affetto da epilessia e non è in grado di ragionare. Giulia, apparentemente normale, è invece ferma ad uno stato totalmente infantile ed è legata da un rapporto morboso al fratello Alessandro. Quest’ultimo, infine, soffre pure di epilessia, ma dimostra una fredda lucidità mentale. Egli difatti, concepisce e mette in pratica progetti omicidi nei confronti di tutta la famiglia: getta la madre in un dirupo e affoga nella vasca da bagno Leone. Rivela poi l’accaduto alla sorella, la quale gli si mostra alleata per eliminare Augusto. Alessandro, però, palesa una freddezza, che spaventa Giulia. Durante una crisi epilettica, la ragazza si trattiene dall’aiutarlo, abbandonandolo al suo destino.

 

 

Hanno detto del film

Dal presupposto romantico di una dimensione adolescenziale acerba, incompiuta, tramata di ambiguità, disagi, sogni e paure, timidezze e narcisismi, il film diventa discorso corrosivo tra rabbia e disincanto su un microcosmo-famiglia, privato, chiuso nel suo isolamento, tra vecchiezze ammuffite, stravaganze malate e violente bizzarrie. (…) Ma è evidente che la diagnosi al negativo di Bellocchio dietro la famiglia rimette in discussione il sistema socioculturale in cui essa ha dovuto e deve realizzare le sue funzioni, assumendosi un impegno di protezione e di servizio in condizioni di isolamento e precarietà.

                                                                      (Alberto Pesce, Family Life, A.N.C.C.I. 1991)

 

La famiglia di Ale vuol essere come uno specchio distorto della attuale società italiana, della quale il regista denuncia le superstiti strutture sociali e ne puntualizza qua e là l’urto alienante. Da ciò la ribellione anarchica di Ale, che distrugge uno a uno i pesi assommati alle sue spalle: prima la madre, poi il fratello deficiente, infine tenta di uccidere anche la sorella, ma, come per un fatale impulso di nemesi, egli soccomberà dopo una crisi del male.

                                                                (Camillo Bassotto, Cineforum 52, febbraio 1966)

 

La casa e il cimitero sono i due luoghi fondamentali del dramma e la loro funzione si rivela alla fine analoga: custodire la negazione della vita. Un film che emoziona e mette a disagio, nel suo essere più reale di un sogno ma più assurdo della realtà.

                                                            (Enrico Terrone, Segnocinema 105, sett./ott. 2000)

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