Questa polemica lanciata in una situazione come quella che stiamo vivendo, alimenta giudizi sommari da parte dell'opinione pubblica e dall'altra parte mette a rischio un sistema di solidarietà e di sostegno ai più deboli, che è un tassello fondamentale della coesione sociale del nostro paese.
del 10 dicembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
In gioco non ci sono soldi, ma la libertà
 
La nuova offensiva che MicroMega, la rivista della sinistra intellettuale edita dal gruppo Repubblica, ha lanciato sul tema Ici-Chiesa, aldilà dell’impostazione tecnica marchiata da faziosità e da incompletezze, ha una inquietante rilevanza culturale. Questa polemica lanciata in una situazione come quella che stiamo vivendo, alimenta giudizi sommari da parte dell’opinione pubblica e dall’altra parte mette a rischio un sistema di solidarietà e di sostegno ai più deboli, che è un tassello fondamentale della coesione sociale del nostro paese. Innescare processi di questo tipo in una situazione come quella che stiamo vivendo, in cui le strutture di solidarietà saranno verosimilmente chiamate a svolgere un compito che non ha precedenti nella nostra storia recente, è una gravissima irresponsabilità.
Ma le cose si spiegano se si guarda al ceto sociale cui appartiene chi ha innescato la polemica: borghesi, di cultura radicale, moralizzatori per professione. Persone che per andare in ferie non devono ricorrere a una casa vacanza a prezzi calmierati perché gestita anche grazie al lavoro di volontari, ma si accomodano in begli alberghi di Cortina e Capalbio. Che se vanno a Venezia non devono ricorrere alle strutture di accoglienza di don Orione o dei Valdesi (tutte le confessioni religiose hanno le stesse esenzioni che valgono per la Chiesa), perché hanno quattro o cinque stelle alla loro portata. Persone che guardando con diffidenza a quell’istituto arcaico che è la famiglia e non sanno cosa vuol dire poter avere un’organizzazione non profit garantisce servizi di asilo nido o scuola materna per i bambini. Persone che non hanno mai servito un piatto a una mensa allestita, senza nessun onere per lo stato, per i più poveri. Oppure che non sanno qual è il valore degli oratori estivi dove centinaia di migliaia di bambini trovano un luogo dove stare a luglio, quando la scuola è finita ma non è finito il lavoro dei genitori.
Non è una questione di soldi (a questi signori bisognerebbe ricordare che i servizi garantiti dalla chiesa e dal non profit sono tutti servizi dei cui costi lo stato si ritrova sgravato, come ha ricordato il presidente dell'Arci Paolo beni). È una questione culturale: operazioni come queste, con la portata demagogica che le contraddistingue, mettono nel mirino l’identità stessa di un popolo, come il nostro, che ha nella solidarietà, nella libertà d’intrapresa e nella capacità di costruzione di reti sociali il proprio software. Mi chiedo con quale calcolo si faccia tutto questo. E l’unica risposta che mi riesco a dare è che il disegno è quello di arrivare ad un modello sociale regolato da una tecnocrazia. Una società di uomini monadi, svincolati da ogni appartenenza identitaria, slegati da ogni rete, e saldamente nelle mani di chi tiene le fila del potere.
 
 
Giuseppe Frangi
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