Da un punto di vista musicale l'azzurro assomiglia a un flauto, il blu a un violoncello o, quando diventa molto scuro, al suono meraviglioso del contrabbasso; nella sua dimensione più scura e solenne ha il suono profondo di un organo (Kandinsky).
del 23 aprile 2007
Che cos’è il blu?
Il blu è il cielo, è il mare. Guardare il cielo è il gesto più naturale che si possa fare. A volte viene da sospettare che il nostro sguardo sia fatto per guardare in alto. Lo sa chi ama una città come New York e ama sapere che c’è sempre altro al di là della propria capacità di cogliere il reale con uno sguardo ad altezza d’uomo. Ma lo stesso vale per chi ama le montagne, ovviamente. Poco cambia: il picco di una montagna o la punta dell’Empire State Building si stagliano nel blu.
 
Siamo immersi nell’aria, cioè in un blu che non è mai “dipinto di blu” perchè è trasparenza. Ma cielo e mare ci appaiono blu. La loro caratteristica è la profondità abissale, misteriosa. Il blu è il più profondo dei colori: lo sguardo vi si può tuffare senza ostacoli e perdervisi. Dunque è il colore della profondità e dell’immersione. “La vocazione del blu alla profondità è così forte, che proprio nelle gradazioni più profonde diviene più intensa e intima“, scrive Kandinski. Solo nel blu è possibile il “dolce naufragar” di leopardiana memoria. E tuttavia qui intimità e paura sembrano toccarsi. L’immersione infatti può giungere anche all’inabissamento provocando la “peur bleu”, la “paura blu”.
 
Ma è anche, nello stesso momento, il colore dell’irraggiungibilità. L’ampiezza e l’illimitatezza del cielo e del mare comunicano un senso di nostalgia profonda e insanabile. Dunque è il colore dell’altezza inarrivabile: più il blu è profondo e più richiama l’idea di infinito, suscitando la nostalgia del soprannaturale. Ma proprio in quanto colore nostalgico esso può essere il colore della malinconia.
 
Ma che cos’è la nostalgia se non una forma di legame, in fondo? Colore della lontananza, è il colore del legame che resta aperto, tesa al raggiungimento di una meta che resta non raggiunta e proprio per questo desiderata (de + sidus, -ĕris, cioè mancanza di stelle, cioè di cielo e dunque tensione all’azzurro). Dunque il blu è il colore del legame con l’infinito, un legame fedele perché mosso da qualcosa di profondo che assorbe radicalmente.
 
A Parigi qualche mese fa ho visitato una mostra dedicata al pittore Yves Klein e al suo “periodo blu”. Davanti al suo blu oltremare intenso, luminoso e avvolgente, il mio occhio non era assorbito da nessun punto fisso, da nessuna figura o riferimenti tradizionali. Non restava che abbandonarsi nella sensibilità e profondità di un blu ipnotico davanti al quale la distinzione tra l’osservatore, il soggetto della visione e il suo oggetto perdeva di importanza. Il blu è fusionale. E’ il colore dello spazio infinito, che essendo vasto, può contenere tutto. E’ dunque anche il colore dell’armonia, anche musicale: “da un punto di vista musicale l’azzurro assomiglia a un flauto, il blu a un violoncello o, quando diventa molto scuro, al suono meraviglioso del contrabbasso; nella sua dimensione più scura e solenne ha il suono profondo di un organo” (Kandinsky).
 
Dunque nel blu convivono intimità e nostalgia, paura e senso di infinito, malinconia e contemplazione. E’ il colore del rapporto con la realtà e di tutte le sue connotazioni. Non sono forse queste, ad esempio, le dimensioni di un rapporto umano intenso? Non è questo il gusto dell’esperienza più vera?
 
Aveva ragione Nick Drake nella sua splendida Way To Blue a cantare:
 
perché non vieni a dirmi
se conosci il cammino per il blu?
Hai visto la terra che vive nella brezza?
Riesci a comprendere una luce tra gli alberi?
 
La sua risposta è l’attesa:
Aspetteremo al tuo cancello sperando come ciechi.
 
Il blu merita questa attesa.
Antonio Spadaro S.I.
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