Il codice della mediocrità

Perché tanto allarme e tanta deprecazione in questi giorni? Quale insegnamento è offerto abitualmente ai cristiani se le loro convinzioni sono così fragili da annebbiarsi di fronte alle immagini di una pellicola? A che discernimento spirituale sono stati abituati se non sanno distinguere tra l'ultimo scoop e ciò che è stato loro tramandato da secoli e per il quale uomini e donne di ogni dove hanno dato la propria vita?

Il codice della mediocrità

da Teologo Borèl

del 17 maggio 2006

“Il cristianesimo non è opera di persuasione, ma di grandezza”, scriveva Ignazio di Antiochia ai cristiani di Roma alla fine del i secolo, durante il suo viaggio verso la capitale dell’impero, dove avrebbe subìto il martirio. È innegabile che la fede cristiana si sia progressivamente affermata a partire dal ceppo dell’ebraismo, non per via di eloquenza e di parole, ma manifestando grandezza d’animo. Ripercorrendone la storia, sovente si dimenticano le ostilità che il cristianesimo conobbe nei primi tre secoli, prima di assurgere – anche per opportunità politiche – a religione dell’imperatore. Sono i secoli delle persecuzioni, del martirio di intere generazioni di fedeli, dai vescovi all’ultimo degli schiavi: stagioni di sofferenze e di prove nei quali “il sangue dei martiri” diveniva “seme dei cristiani”.

 

Ancora oggi, se i cristiani sapessero restare solidamente attaccati (“fede” significa innanzitutto “adesione”) al nucleo centrale della buona notizia – la pienezza di vita offerta da Dio all’umanità intera attraverso il mistero dell’incarnazione, passione, morte e resurrezione di Gesù, suo Figlio e uomo come noi – non si lascerebbero dettare tempi e modalità della loro riflessione da romanzi e film di cassetta, non sarebbero turbati né dal sadismo sanguinario di chi si sofferma sulla passione di Gesù come atrocità disumana, né dalle scempiaggini di codici inventati che proiettano sul passato deformazioni tipiche di chi è abituato a confondere la realtà con la finzione. Le operazioni mediatiche attorno alla figura di Gesù che ci vengono imposte in questi ultimi anni sollevano in questo senso alcuni interrogativi alle comunità cristiane sul loro modo di porsi e di testimoniare la propria fede nel mondo di oggi. Interrogativi seri che rischiano invece di restare elusi se si accetta di inseguire una confutazione scientifica e storica a panzane astutamente assemblate per sfornare un prodotto di successo: a questi mistificatori di codici, infatti, non importa nulla dell’inattendibilità scientifica dei loro racconti. Non di questo si dovrebbero preoccupare i cristiani, ma piuttosto del fatto che la loro vita quotidiana non riesce più a dar conto della loro speranza: scopo della chiesa nei secoli, infatti, non è trasmettere una serie di convinzioni e di dati storici attraverso una gerarchia che li calerebbe su un popolino credulone e succube, e nemmeno di alimentare o proteggere misteriosi intrighi di potere, bensì fare in modo che ogni essere umano, di ogni tempo e di ogni luogo, possa incontrare Gesù di Nazareth come realtà vivente, possa sperimentare la vita piena che Dio ha pensato e voluto per l’umanità e il creato.

 

In queste settimane non sta accadendo nulla di nuovo e la storia testimonia che fin dalla sua nascita il cristianesimo ha dovuto confrontarsi con “altre” interpretazioni della figura di Gesù Cristo e del suo messaggio, il vangelo. D’altronde, lo stesso cristianesimo nasce plurale: diversi sono i quattro Vangeli, diverse le predicazioni dei primi missionari, diverse le letture sedimentate nelle numerose comunità sparse nell’area mediterranea. Certo, alla fine del i secolo queste comunità si riconoscevano in una confessione di fede convergente e possedevano alcuni testi (Vangeli e Lettere apostoliche) riconosciuti come autentiche testimonianze della vicenda di Gesù di Nazareth – vissuto, morto e risuscitato – confessato come il Signore della chiesa. Tuttavia nel ii secolo vanno perduti – assieme alle comunità di giudeo-cristiani spazzate via dalla tragedia delle conquiste di Gerusalemme da parte dei romani (prima nel 70 e poi nel 135 d.C.) - alcuni Vangeli, chiamati dai padri “degli Ebrei” o “degli Ebioniti”, mentre vengono elaborati altri testi che, accanto ai quattro Vangeli della grande chiesa, cercano di colmare “anni oscuri” della vita di Gesù, tempi su cui regnava il silenzio. La curiosità popolare aiutò la genesi e determinò la fortuna di questi testi fantasiosi, ricchi di elementi leggendari e miracolistici: così il Vangelo di Giacomo si interessa all’infanzia di Gesù, mentre quello di Pietro narra la risurrezione di Gesù quasi “in diretta”... Una creatività che tuttavia mostrava da un lato una curiosità non soddisfatta dalla predicazione ecclesiale e, dall’altro, una debolezza dei credenti di fronte al mistero scandaloso del Dio fattosi veramente uomo in Gesù e della sua morte infame sulla croce.

 

La chiesa non accettò mai questi testi come “canonici”, capaci cioè di essere “canone”, regola per la fede cristiana, ma li tollerò e a volte se ne servì per soddisfare il bisogno popolare di trovare il miracoloso, lo straordinario nella vita di Gesù oppure per rinforzare l’apologia del “Figlio di Dio” rifiutato e condannato a morte dal suo popolo, considerato perciò meritevole di essere condannato e sostituito dal “nuovo” popolo cristiano. Molti tratti di questi scritti erano antigiudaici, carichi di disprezzo per il popolo ebraico e forse anche per questo non furono accolti dalla chiesa che si limitò a conservarli e a usarli nella predicazione corrente. Così, pur esclusi dal canone ufficiale, essi hanno attraversato i secoli: basterebbe contemplare alcuni dipinti di Giotto per rendersi conto di come gli eventi narrati da quei testi abbiano influenzato la “biblia pauperum”, quella versione “povera” della Scrittura che erano le immagini sacre raffigurate nelle chiese.

 

Sempre nel ii secolo emergono gruppi di cristiani marginali che producono interpretazioni di Cristo e del suo vangelo molto sofisticate: si ispirano a dottrine esoteriche che operano sincretismi con elaborazioni dualiste. Fiorisce la “gnosi”, dottrina in cui la materia e, quindi, la corporalità dell’uomo è disprezzata. È in questo ribollire di nuove dottrine che emerge anche il Vangelo di Giuda, contro cui reagisce già il grande Ireneo di Lione, denunciando questa “eresia dei cainiti”, i discendenti di Caino. Questi scritti – detti “apocrifi”, cioè nascosti, segreti – sono sempre stati noti alla chiesa, pubblicati in diverse epoche e traduzioni, anche ai nostri giorni, e hanno la loro utilità per comprendere il cristianesimo antico e le sue vicende. Ma tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere che i quattro Vangeli canonici sono i più antichi, i più attendibili sul piano storico e, soprattutto, quelli maggiormente capaci di trasmettere gli insegnamenti di Gesù e il cuore del messaggio evangelico.

 

Perché, allora, tanto allarme e tanta deprecazione in questi giorni? Se la fede dei cristiani oggi fosse scossa da un romanzo mediocre ben congegnato o dal restauro archeologico di un apocrifo già noto, che fede sarebbe? Quale insegnamento è offerto abitualmente ai cristiani se le loro convinzioni sono così fragili da annebbiarsi di fronte alle immagini di una pellicola? A che discernimento spirituale sono stati abituati se non sanno distinguere tra l’ultimo scoop e ciò che è stato loro tramandato da secoli e per il quale uomini e donne di ogni dove hanno dato la propria vita?

 

Sì, credo sia l’occasione di porsi domande serie all’interno delle comunità cristiane. C’è autentica conoscenza del fondamento storico della fede cristiana? Non c’è forse un prevalere della trasmissione dell’etica cristiana rispetto al suo fondamento che è l’evento di Gesù di Nazareth, la sua vita, la sua morte, la sua risurrezione? Va riconosciuto che, grazie al concilio, negli ultimi decenni la bibbia e il vangelo sono maggiormente presenti nella vita dei cattolici e che oggi esiste un rapporto diretto tra singolo cristiano e Libro in cui è contenuta la parola di Dio, ma poco si dice e si insegna sulla storia del cristianesimo e delle prime comunità cristiane. In questa “ignoranza diffusa” nella comunità cristiana diviene allora possibile il fascino e la seduzione di presunte novità sulla vita di Gesù e del cristianesimo antico.

 

Ma vorremmo essere più precisi in questa denuncia. Innanzitutto, da anni si è cercato di abituare i cristiani allo scoop: basta ricordare che periodicamente ricompare la notizia del ritrovamento di un frammento del Vangelo di Marco databile una quindicina d’anni prima della data stabilita da storici e biblisti. Si sono fatte battaglie contro “le lobby dei biblisti ufficiali ... l’esegesi dominate” e così si è allettata la curiosità dei semplici cristiani per ritrovare quelle parole che, uscite direttamente dalla bocca di Gesù, sarebbero diventate pagine scritte, quasi stenografate. E non ci si accorge che così si va alla ricerca di un fondamentalismo cristiano che esclude ogni mediazione ecclesiale e che contraddice proprio il principio cattolico. Se si accusano gli esegeti di tener nascosta la verità, prima o poi questa medesima accusa ricadrà sulla chiesa.

 

Cercando di leggere il fenomeno odierno in cui tornano alla ribalta testi apocrifi e gnostici eloquenti e accattivanti, occorre osservare che il problema è sempre lo stesso: curiosità quasi morbosa sui periodi oscuri della vita di Gesù, bisogno di “santificare” personaggi evangelici in cui ci si riconosce, desiderio di proiettare su Gesù i nostri sentimenti anziché far penetrare in noi i sentimenti di Gesù, rimozione dello scandalo della croce, cioè della morte ignominiosa e infamante patita da Gesù. L’immaginario umano si ferma dunque su Giuda il traditore e si cerca non solo di giustificarlo, ma di esaltarlo come eroe, riattivando processi psicologici in realtà impossibili da percorrere per noi oggi. Non sopportiamo che uno dei “dodici”, chiamati, scelti, amati da Gesù abbia tradito e preferiamo pensare addirittura a un patto di complicità tra vittima e traditore; non sopportiamo l’incredulità di Tommaso e forziamo il testo per farne uno che ha messo il dito nella piaga del corpo di Gesù risorto: il vangelo, infatti, di lui non dice che ha “toccato”, bensì che ha visto e ha creduto, manifestando così la beatitudine di chi ha creduto senza vedere.

 

C’è poi la tentazione di ridurre Gesù non solo a immagini umane – e qui non è priva di colpe una predicazione che a forza di insistere sulla divinità di Gesù ne svuota l’umanità – ma alle nostre quotidiane banalità. Così, sulla croce Gesù avrebbe vissuto la tentazione del rimpianto per l’amore fisico, oppure sarebbe sfuggito alla morte di croce (con qualcun altro che ne avrebbe preso il posto, come recita il Corano) per continuare la propria vita, unendosi alla Maddalena, un altro dei personaggi del vangelo da secoli capace di accendere ogni tipo di curiosità... Che tristezza! Aveva ragione Goffredo di Strasburgo, il trovatore che già nel xii secolo si lamentava: “Il Cristo glorioso viene piegato come la stoffa di cui ci si veste: nella sincerità e nella menzogna è sempre ciò che si vuole che lui sia!”.

 

E su tutti questi “pruriti di udire cose nuove” e sul tentativo di immaginare vicende di Gesù modellate sulla nostra desolante mediocrità, ecco anche le giustificazioni più raffinate fornite da nuovi gnostici, sovente ritenuti “maestri spirituali” all’interno delle stesse comunità cristiane, che spiegano come occorra “reinterpretare nella fede cristiana la dimensione del femminino, sempre vergine e sempre fecondo”, “reintegrare nel cristianesimo le potenzialità dell’amore carnale”, come sia “venuta l’ora di leggere la sessualità di Gesù”, “di capire che tutto è puro per i puri”...

 

In realtà tutto questo obbedisce alla “religione fai da te”, in cui ognuno aggiunge alla sua fede un pizzico di quanto più gli piace, impegnando tutte le proprie energie intellettuali nel rifiuto dello scandalo della croce e della fondamentale realtà di un Dio fattosi uomo come noi in tutto eccetto che nella sudditanza al male. Sì, anche da questi testi antichi – comunque non anteriori al ii-iii secolo d.C. – si finisce con il prendere solo quello che garba: in un’epoca in cui si esalta il corpo e la sessualità, se ne cercano le tracce in testi gnostici che invece la disprezzano, così come si ascrivono ad antesignane del femminismo opere sprezzanti verso le donne...

 

Sì, la buona notizia della vita più forte della morte – il cuore del messaggio cristiano – ha ben poco a che fare con giochi di potere, mogli negate, discendenze occultate, interessi economici, meschinità travestite da nobili parole: questa è la triste realtà con cui ci confrontiamo ogni giorno, cristiani e non cristiani. Dalle pagine del Nuovo Testamento emerge invece ben altra speranza, testimoniata dai cristiani ma aperta a tutti: quella di un mondo in cui regni finalmente il rispetto dell’altro, il riconoscersi fratelli, l’armonia con il creato, la giustizia, la pace e la vittoria della vita sulla morte. Sta ai cristiani, al loro modo di presentare e comunicare il vangelo, alla loro capacità di narrare l’autentico volto di Dio la possibilità che questa parola di vita continui la sua corsa nella storia e nel mondo. Davvero la buona notizia che può destare la fede non è affidata a un libro o a una pellicola, ma a uomini e donne in carne e ossa: è la vita dei cristiani che deve essere un racconto credibile del vangelo, un racconto che nessun intrigo romanzesco può sconfessare.

Enzo Bianchi

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